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la quale era di famosa bieltade, e fue già molto donna" di questo primo mio amico". E lo nome di questa donna era Giovanna, salvo che per la sua bieltade, secondo che altri crede, imposto l'era nome Primavera: e cosí era chiamata. E appresso lei guardando, vidi venire la mirabile Beatrice. Queste donne andaro presso di me cosí l'una appresso l'altra, e parve che Amore mi parlasse nel cuore, e dicesse: « Quella prima è nominata Primavera solo per questa venuta d'oggi"; ché io mossi lo imponitore del nome" a chiamarla cosí Primavera, ciò è prima verrà, lo die che Beatrice si mosterrà" dopo la imaginazione del suo fedele. E se anche voli considerare lo primo nome suo, tanto è quanto dire prima verrà, però che lo suo nome Giovanna è da quello Giovanni, lo qual precedette la verace luce, dicendo: Ego vox clamans in deserto:

gione << secondo che altri (il Cavalcanti, opina il Butti) crede » — ch'ella fosse bella come questa stagione, ma secondo Dante per un'altra ragione che dirà fra poco. Da lei si crede ispirata la ballata Fresca rosa novella, Piacente Primavera e il sonetto Avete 'n voi li fior e la verdura E ciò che luce od è bello a vedere. Da Dante è menzionata nel son. del presente paragr. e nel sonetto cit. in v1, 3, ed è curioso notare che nell'uno e nel l'altro in alcuni codici sono avvenute certe sostituzioni di nomi (su che cfr. il CASINI e il RENIER nel Giorn. st. IV, 122 n. 3 e 330 e il Barbi nell'opu scolo Un sonetto ecc.).

10. fue già molto donna, già è molto, ossia molto tempo addietro, fu donna ecc. E si potrebbe anche intendere: fu già, per molto tempo, donna ecc. Nell'una e nell'altra interpretazione molto denoterebbe tempo. Altri pen sano che molto afforzi l'idea contenuta in donna, e spiegano: ebbe molta signoria, signoreggiò molto.

11. di questo primo mio amico, cioè del Cavalcanti. Dice questo, perché Dante immagina ch'egli sia presente a lui come la persona cui è dedicato il libello: cfr. xxx, 14. Questo periodo e il primo del § xxxv cita il LISIO, 158, come esempi, allorchè dice che « nella V. N. prevale di gran lunga l'uso di collocare la proposizione principale [io vidi venire verso me] nel centro del periodo: di qua e di là, con certo proporzionato equilibrio, si adagiano le parti secondarie ».

12. solo per questa venuta d'oggi ecc.; nel sonetto seguente è taciuta la ragione del soprannome Primavera (cfr. la n. 18), fondata su quel principio illustrato in XIII, 13. « Fantasticando sui nomi di Giovanna e Primavera, Dante rinviene che ambedue significano la medesima cosa; perchè Giovanni Battista precesse a Gesù, come Giovanna a Beatrice: e cita il vangelo dell'altro Giovanni: e in certa guisa assimiglia la donna sua al Redentor del mondo. Se amore cosiffatto non finiva in un dramma sacro, io non so qual migliore esito avesse potuto sortire » (Tommaseo).

13. lo imponitore del nome, colui che primo impose il soprannome di Pri

mavera.

14. si mosterrà, si mostrerà.

15. dopo la imaginazione del suo fedele, cioè dopo la visione narrata nel paragr. preced.

parate viam domini" ». Ed anche mi parve che mi dicesse, dopo, queste parole: « E chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore Amore, per molta simiglianza che ha meco" ». Onde io poi ripensando, propuosi di scrivere in rima al mio primo amico (tacendomi certe parole le quali pareano da tacere"), credendo io che ancora lo suo cuore mirasse" la bieltade di questa Primavera gentile. Dissi questo sonetto, lo quale comincia cosi:

16. Ego ecc., io [sono] la voce che grida nel deserto: preparate la via del signore. Sono le parole di Giovanni Battista precursore di Cristo: cfr., p. es., Matteo III, 3. Il SALVADORI, 87: « forse il paragone espresso ne fa intendere un altro sottinteso, balenato a quella mente improntata fin dalla fanciullezza dall'idea di missione, e che anche a noi non riesce strano: Beatrice e il suo poeta predestinati a indicare al mondo la via della verità e della vita: Giovanna e Guido i precursori di due messi di Dio »>.

17. E chi volesse ecc. Le sue idee intorno all'Amore Dante espone nel Conv. III, 2. Del resto cfr. le nn. 29-30.

18. tacendomi ecc., tacendo il significato del soprannome Primavera e del nome Giovanna; il quale era che la donna di Guido fosse precorritrice della vera bellezza, di Beatrice. E Dante tace ciò nel sonetto, perchè il dirlo, nota il Carducci, sarebbe stato un dare a Giovanna una condizione inferiore rispetto a Beatrice, di bellezza e d'amore, e non sarebbe stato gentile verso essa Giovanna e il suo poeta », dal quale credeva Dante, quando scriveva il sonetto, che ella fosse amata ancora. Quando scrisse la prosa, avendo saputo di no, potè dire liberamente quello che prima aveva creduto delicato tacere (cfr. ERCOLE, p. 100). Il Casini: « Forse è più esatto il dire che componendo il sonetto Dante non pensò neppur per ombra tutto questo; poi volendolo collegare con la canz. del cap. precedente non scppe far di meglio che sottilizzare sui nomi proprii, com'era suo costume ». Ma la speculazione sui nomi serve a quel collegamento? Cfr. anche SCARANO, 58.

19. mirasse, ammirasse o fosse rivolto. Vedi quello che dice il PASCOLI (63-65 e 137) a proposito di tutto il presente luogo.

20. questo sonetto. « Appartiene, scrive il Casini, ad una serie propria dei rimatori dello stil nuovo, i quali si compiacquero di rappresentar simili incontri con le loro donne accompagnate ad altre: questo di Dante è una meravigliosa pittura, che rende con sicurezza e precisione di tocchi l'agitarsi del sentimento nell'animo del poeta e il fatto esterno che lo sviluppa; e per la pronta percezione del reale e per la naturale fusione col fantastico segna un notevole avanzamento nella lirica dantesca ». In un'occasione simile a quella.in cui scrisse il presente son. Dante avrà scritto quello ricordato già in III, 9 e v, 14 Di donne vidi, dove Beatrice non è preceduta, ma accompagnata dal dio Amore (cfr. il BARBI nel Bull. IX, 43):

Di donne vidi una gentile schiera
quest'ognissanti prossimo passato;
ed una ne venia quasi primiera,
seco menando Amor dal destro lato.

Dagli occhi suoi gettava una lumiera,
la qual pareva un spirito infiammato;
ed i' ebbi tanto ardir, che in la sua cera
guardando vidi un angiol figurato.

[SONETTO XIV]

Io mi sentí' svegliar dentr'a lo core
un spirito amoroso22 che dormía:

e poi vidi venir da lungi Amore
4 allegro sí, che appena il conoscía;

dicendo: «Or pensa pur di farmi onore »,
e 'n ciascuna parola sua ridía24.

E, poco stando meco il mio Segnore25,
8 guardando in quella parte, onde venía,
io vidi monna Vanna e monna Bice27

A chi era degno poi dava salute
con gli occhi suoi quella benigna e piana,
empiendo il core a ciascun di virtute.

Credo che in ciel nascesse esta soprana,
e venne in terra per nostra salute;

dunque beata chi l'è prossimana.

21. svegliar.... dormia, cfr. xx, 18.

22. un spirito amoroso, come s'intende da ciò che è detto nella prosa, è il tremore che comincia nel cuore di Dante prima ancora di veder Beatrice. Per la forma, cfr. xxvi, 39.

23. allegro ecc.: cfr. III, 4. LO ZINGARELLI (121) pensa che Dante vedesse Giovanna e Beatrice « come qui descrive, nel calen di maggio del 1290 ». La letizia di questo sonetto acquista maggior rilievo, poiché esso segue immediatamente alle tristi poesie dei §§ XXII e XXIII. Forse, dopo la morte del padre di Beatrice e la propria infermità e l'« erronea fantasia », Dante per la prima volta in quell'incontro rivide Beatrice in tutta la sua gentile bellezza, e n' ebbe quindi quella gioia straordinaria che volle esprimere in versi.

24. pur, bene: pleonastico, rafforzativo. ridia, era un riso in ciascuna sua parola: tutte erano liete le parole ch'ei mi dicea nel cuore » (Giuliani). Dino Frescobaldi (NANNUCCI, 1, 335), son.

Questa è la giovinetta, ch' Amor guida...
Vienle dinanzi Amor, che par che rida...

25. E, poco ecc. E dopo che Amore (il mio Segnore) fu stato con me un po'. 26. onde venia, dalla quale era venuto.

27. monna Bice; monna, forma popolare di madonna. « La qualificazione di monna o madonna era..., come l'altra di messere, riserbata a una data condizione o stato civile [cioè alle donne maritate], mancando il quale mancava altresi al nome proprio femminile l'apposizione suddetta... Per questa osservazione di fatto soccorre opportunamente la Cronica domestica del Velluti » (DEL LUNGO 67 e 101). Da ciò vien confermato che Beatrice avesse marito. Conviene distinguere bene», osserva il FLAMINI (Bull. I, 150), « madonna usato genericamente nel senso di la mia donna da monna

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e madonna premesso a un dato nome: il primo caso è frequentissimo; il secondo ch'io sappia molto raro nei nostri antichi dicitori. A buon conto, son tutte maritate le monne Lise, monne Ciole, monne Lape del noto sermintese pucciano », pel quale cfr. vi, 7. Quanto a Bice cfr. la p. 22.

venire inver lo loco là ov'io era,
11 l'una appresso de l'altra maraviglia 28 :
e sí come la mente mi ridice,

Amor mi disse: « Quell'è Primavera,

14 e quell' ha nome Amor29, sí mi somiglia3° ».

Questo sonetto ha molte parti: la prima de le quali dice, come io mi sentí' svegliare lo tremore usato nel cuore, e come parve che Amore m'apparisse allegro nel mio cuore da lunga parte"; la seconda dice, come mi parea che Amore mi dicesse nel mio cuore, e quale mi parea; la terza dice come, poi che questi fue alquanto stato meco cotale", io vidi ed udio certe cose. La seconda parte comincia quivi: Dicendo: Or pensa pur di farmi onore [v. 5]; la terza quivi: E poco stando [v. 7]. La terza parte si divide in due: ne la prima dico quello ch'io vidi; ne la seconda dico quello ch'io udío. La seconda comincia quivi: Amor mi disse v. 131.

28. l'una, ecc., l'una cioè Bice, dopo (appresso) dell'altra meraviglia cioè, Vanna. Cfr. la prosa: « E appresso lei guardando ecc. ». Il Casini senza buon fondamento spiega appresso per a lato e crede che solo più tardi Dante, scrivendo in prosa l'illustrazione del sonetto, traesse « questa voce alla significazione più determinata di dietro, per metter anche questo verso in relazione col suo modo di interpretare, dipendente dal significato assegnato ai nomi della donna del Cavalcanti ». Cfr. anche il BUTTI, op. cit. p. 152, e, quanto alle relazioni tra il metro e il periodo nei vv. 7-11, il LISIO, 105 e 107, n.

29. quell'ha nome Amor. Amore dunque era il senhal di Beatrice (come della donna di altri poeti). Cfr. anche XIX, 32, la p. 22 del presente commento e il FLAMINI, I significati reconditi ecc., II, 175, n. 1.

30. Si mi somiglia, e cosi nel § VIII, 23, volendo Amore onorare una gentildonna morta, assume le sembianze di Beatrice. Cfr. anche vIII, 15. « Era troppo naturale che l'innamorato si raffigurasse l'Amore il più delle volte colle parvenze della giovinetta amata. E se diceva: Tutti li miei pensier parlan d'AMORE; ovvero: Spesse fiate vengonmi alla mente L'oscure qualità ch'AMOR mi dona: ei confondeva il sentimento amoroso con lei che glielo ispirava » (SCHERILLO, Il Nome, p. 17). Nota nell'ultima terzina la frequenza di sillabe con m e cfr. LISIO, 131.

31. che Amore ecc., che Amore, tale da apportare allegrezza nel mio cuore, apparisse ecc., oppure: il mio cuore vide venire Amore allegro ecc. La vulgata non ha le parole nel mio cuore, che, in vero, non hanno le corrispondenti nei vv. 3-4 del son da lunga parte, da lontano. È notevole che, come lungo si usò per lontano, così lontano per lungo: vedi Inf. 11, 60: Par. xv, 49, e cfr. il PARODI nel Bull. III, 152-153.

32. cotale, cioè allegro.

XXV

Potrebbe' qui dubitare persona degna da dichiararle ogni dubitazione', e dubitare potrebbe di ciò ch' io dico d'Amore, come se fosse una cosa per sè, e non solamente sustanzia intelligente, ma sí come fosse sustanzia corporale3.

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XXV. 1. Potrebbe ecc. Anzitutto a meglio comprendere questo paragrafo giova riassumere così il ragionamento che Dante vi fa: Ho rappresentato Amore come un corpo, anzi come un uomo, facendolo muovere, parlare e ridere; mentre esso non è sostanza, ma accidente in sostanza. Tuttavia l'ho rappresentato in quel modo, poiché, avendolo così rappresentato i poeti erotici latini che sono i nostri modelli e perchè anteriori a noi e perchè s'intende perfetti, è lecito anche ai poeti erotici volgari che non differiscono sostanzialmente da quelli. Si avverta però che non è lecito alle persone grosse, a quelle cioè che, richieste, non saprebbero esporre senza personificazione il pensiero espresso con essa. A me... fa meraviglia che Dante, il quale fu poi senza dubbio il più felicemente ardito fra tutti i poeti, si induca egli stesso a tale spiegazione. Per me questa è una preziosissima prova della tenuità delle cognizioni classiche che egli possedeva nel tempo che stendeva il libretto amoroso... » (CHISTONI, 57). (contrappone il BARBI, nel Bull. x, 319), per quanto possa parere ingenuità di critico quel giustificarsi d'aver dato ad Amore atti e reggimenti di persona reale », pure tutto quel capitolo xxv ha una grande importanza, perchè rivela già nel poeta il proposito determinato di dare per norma alla poesia volgare l'arte classica ». Quanto al periodare di questo paragrafo, cfr. LISIO, 211.

<< Ma

2. persona degna da dichiararle ecc., persona i cui dubbi meriterebbero d'essere confutati. Non è chiaro se Dante accenni a persona indeterminata o determinata, e, in questo caso, chi ella sia, solo potendosi dire che doveva essere tra gli illustri rimatori del tempo, poichè Dante la dice degna di confutazione. Il Carducci congetturò che Dante volesse rispondere all'autore che ad alcuni, però, sembra che sia Dante stesso (cfr. xx, 3) - del sonetto Molti, volendo dir che fosse amore, i cui versi 9-11 suonano così:

Ma io dico ch'Amor non ha sustanza, nè è cosa corporal, ch'abbia figura, anzi è una passione in disianza.

Anche il Cavalcanti trovò chi lo rimproverasse d'avere scritto nella ball. Poi che di doglia, 8: fare' ne di pietà piangere Amore, cioè Guido Orlandi, che nel son. Per troppa sottiglianza, v. 9, gli osservò: Che amor sincero nè piange nè ride. E il Cavalcanti gli rispose col son. Di vil matera.

3. una cosa per sè ecc., una sostanza e non solo una sostanza intelligente, ma anche una sostanza corporea. Sostanza è l'ente in sè, l'essenza; accidente è ciò che nella sostanza può essere o non essere : « l'accidente, dice il Rosmini, è un'entità che non si può concepire se non in un'altra entità per la quale esiste ed alla quale appartiene. La realtà, che non costituisce

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