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29. persona, corpo, come spesso nella Comm.; cfr. per es., Inf. v, 101. 30. piena di grazia, pare che si debba riferire ad anima. Il Carducci ricorda Ave Maria, gratia plena.

31. ch'entrar no li può ecc., che non può nascere nel suo animo alcun buon sentimento e quindi nemmeno quello della pietà. Il D'Ancona ricorda Inferno XIII, 36: Non hai tu spirto di pietate alcuno? benegno: è di tipo senese-aretino... Ricorre pure, a tacer dei poeti anteriori, nelle Rime di Cino... e in quelle del Boccaccio... » (PARODI nel Bull. III, 95, n. 4). 32. No è di cor villan ecc., « il che viene a dire che un cuore villano (incapace d'amore) non potrebbe avere tanto ingegno da immaginare (vederla nel pensiero) quale si fu quella mirabile donna, nè potrebbe quindi pregiarla debitamente e piangerla. Solo ai cuori gentili, fatti all'amore, dato di giungere col pensiero a tanta bellezza e sospirarla ». Così il Giuliani, e il D'Ancona « nota che, secondo Dante, l'ingegno, per quanto nelle sue speculazioni si levi alto, non basta a comprender la perfezione se non è accompagnato da gentilezza di cuore ». Dei cuori villani Dante toccò pure nella canz. Donne ch'avete, vv. 33 sgg. del § XIX.

33. ma ven ecc.; ordina e spiega: ma a chi, essendo gentile, considera qualche volta e intende quanto divina fosse Beatrice e perchè (come) ella ci è tolta, vien dolore e desiderio di sfogarlo coi sospiri e col pianto, ed egli rifugge da ogni conforto. E perchè ci è tolta? Perchè ella splendeva di benignitade, e la terra era indegna di lei (cfr. DELLA GIOVANNA, Frammenti cit., p. 13). Ma come potrebbe anche spiegarsi con quanto grave danno o semplicemente che. Quanto al rifuggir da ogni conforto, cfr. XXII, 39. Il complemento indiretto dipendente da ven è sottinteso e si deve ricavare dal chi che è sogg. di vede: costruzione irregolare, ma naturale in chi parla concitato dal dolore. Altri invece di ven leggono n'ha, con che spari rebbe l'irregolarità.

31. spoglia, priva; metafora analoga a quella del verbo vestire; cfr. x1, 6 e Par. xv, 11-12:

chi, per amor di cosa che non duri,
eternalmente quell'amor si spoglia.

Cino, cIII, son. Dante io ho preso l'abito di doglia, 4:

d'ogni allegrezza e d'ogni ben mi spoglia

E il Petrarca, canz. Perchè la vita, 74-75:

E perchè mi spogliate immantenente
del ben cho ad or ad or l'anima sente?

35

chi vede nel pensero alcuna volta
42 quale ella fue, e com'ella n'è tolta.
Dannomi angoscia li sospiri forte36,
quando 'l pensero ne la mente grave
mi reca quella che m'ha 'l cor diviso":
e spesse fiate pensando a la Morte,
vïemmene un disío tanto soaves,
che mi tramuta lo core nel viso39.
Quando lo imaginar mi vien ben fiso,
giungemi tanta pena d'ogni parte,
ch'io mi riscuoto per dolor ch' i' sento;
e sí fatto divento,

56

che da le genti vergogna mi parte1o.

Poscia piangendo, sol nel mio lamento

chiamo Beatrice42; e dico: « Or se' tu morta ? »

e mentre che la chiamo, me conforta3.

Pianger di doglia e sospirar d'angoscia mi strugge 'l core ovunque sol mi trovo,

35. Dannomi angoscia ecc. << Il poeta distingue la pura rimembranza di Beatrice che lo fa divenir pallido come persona morta, e lo immergersi del suo pensiero nella imagine di lei appresso il quale egli trema nel suo dolore ed evita l'incontro degli uomini. Allora gli torna in mente come quella orribil cosa potrebbe essere non avvenuta, e grida chiamando: Sei tu veramente morta? e, com'egli dice, crede udir la risposta come d'uno spirito presente e gli ritorna, addolcitrice, la beatitudine del dolore >> (Witte). 36. forte, fortemente.

37. quando ecc., quando il pensiero richiama alla mia memoria grave pel dolore, ossia addolorata, quella (cioè la morte di Beatrice) che m'ha spezzato il cuore. Il Cavalcanti, son. Perchè non foro, 12-14:

chi gran pena sente

guardi costui e vedrà lo su' core

che morte porta 'n man tagliato in croce.

38. viemmene un disio; intorno a questo dolce desiderio di morire con fronta XXIII, 37.

39. che mi tramuta lo core nel viso, che mi trasporta quasi il cuore dal suo posto normale nel viso, cioè fa apparire la commozione del cuore nel colore pallido del viso. Altri, invece di lo core, leggono lo color.

40. quando ecc., quando io penso fissamente alla morte di Beatrice, sono assalito da angoscia si grande che per il dolore mi riscuoto da quel pensiero e divengo cosi trasfigurato che la vergogna (che mi nasce al guardarmi) mi fa allontanare dagli uomini. Cfr. 11, 10. Nel v. 49 la lezione volgata ha tien invece di vien.

41. Poscia, cioè dopo che sono solo, lontano dagli uomini.

42. Beatrice; per la prima volta nelle rime della V. N. ricorre, nella forma intera, questo nome; cfr. p. 22 e lo ZINGARELLI, 123.

43. me conforta, il sogg. grammaticale credo sia Beatrice; ma il poeta ha voluto significare che l'invocarne il nome lo consola perchè gli dà quasi l'illusione di parlare a Beatrice viva e vicina. Cfr. Petrarca, canz. Che debb'io far, 31-33:

Piangendo la richiamo:

questo m'avanza di cotanta speme,
e questo solo ancor qui mi mantêne.

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si che ne 'ncrescerebbe a chi m'audesse11 :

e quale è stata la mia vita, poscia

che la mia donna andò nel secol novo15,

lingua no è che dicer lo sapesse :

e però, donne mie, pur ch'io volesse"",

non vi sapre' io dir ben quel ch' io sono;

sí mi fa travagliar l'acerba vita;

la quale è sí 'nvilita",

che ogn' om par che mi dica: « Io t'abbandono13 », veggiendo la mia labbia tramortita".

Ma qual ch'io sia, la mia donna il si vede3°,

70 ed io ne spero ancor da lei merzede.

Pietosa mia canzone, or va piangendo;

e ritruova le donne e le donzelle,

a cui le tue sorelle52

11. a chi m'audesse: il nostro codice e molti altri hanno m'audisse, che il Beck accetta, mentre il Casini e il Passerini (ed. Sansoni) leggono 'l vedesse per togliere l'imperfezione della rima (m'audisse: sapesse), Ma a tal fine par lecito modificare leggermente m'audisse in m'audesse. Non leggiamo venesse per venisse nell'Inf. 1, 46? Cfr. l'edizione pubblicata dal Passerini coi tipi del Paravia (Torino, 1900), il BARBI nel Bull. VIII, 30, e il PARODI nel Bull. 111, 129 e (sulle rime imperfette) 111. n.

45. nel secol novo, nella vita eterna, cfr. II, 4. In questa frase novo credo abbia il senso di diverso da quel di prima.

46. pur ch'io volesse, se anche io volessi.

47. 'nvilita, abbattuta, prostrata: ha qui, come spesso nell'antica lingua, senso, per cosi dire, psicologico, non etico; cfr. xxxv, 19.

48. Io t'abbandono. È una nuova e più forte espressione di quel sentimento manifestato già nel v. 59: li è rincrescimento, qui è ripugnanza. 19. labbia ecc., « il colore e l'espressione del mio viso che sembrano d'uomo morto» (Witte): cfr. XXVI, 36.

50. Ma qual ecc., cfr. Petrarca, ball. Amor, quando fioria, 11-12:

nel mezzo del meo cor Madonna siede,

e qual è la mia vita ella sel vede.

51. pietosa, commovente.

ritruova ecc., va a trovare quelle donne e quelle donzelle gentili alle quali le altre canzoni intorno a Beatrice solevano apportare gioia. Cfr. PASCOLI, 108-110.

52. le tue sorelle, cioè le altre rime intorno a Beatrice. Cosi nel son. Parole mie, 10-11:

Ma gite attorno in abito do ente

a guisa delle vostre antiche suore;

e nella canz. Amor che nella mente, 75-76:

Canzone, e' par che tu parli contraro al dir d'una sorella che tu hai;

cioè della ballata Voi, che sapcte; e nel Conv. III, 9 spiega: « Per similitudine dico sorella; chè siccome sorella è detta quella femmina che da uno medesimo generante è generata; così pote l'uomo dire sorella quell'opera, che da uno medesimo operante è operata, chè la nostra operazione

erano usate di portar letizia;

e tu, che se' figliuola di trestizia,

vatten disconsolata a star con elle".

in alcun modo è generazione». Cfr. anche il Petrarca, canz. Gentil mia donna, 76:

Canzon, l'una sorella è poco inanzi,

e l'altra sento in quel medesmo albergo
apparecchiarsi; ond'io più carta vergo;

e Fazio degli Uberti, Rime, ed. Renier, Firenze, 1883, pp. 46 e 68. 53. letizia: nella V. N., delle rime precedenti a questo paragrafo si può dir che portino letizia soltanto la canz. Donne ch'avete (§ XIX), la stanza Si lungiamente (§ XXVII) - la quale, essendo un componimento rimasto incompiuto, pare non sia stata divulgata — e i sonn. Negli occhi, Io mi senti', Tanto gentile, Vede perfettamente (§§ XXI, XXIV, XXVI). — figliuola di tre stizia, cioè prodotta, scritta da un animo addolorato.

51. disconsolata, cfr. Gianni Alfani, ball. Ballatetta dolente, 7 (D'ANCONA e BACCI, Manuale, 1, 118):

La prega che t'ascolti, o sconsolata.

Cfr. anche Petrarca, canz. Che debb'io far, 82. Dopo il verso 76 in alcuni testi seguono altri tre, che son da credere un'arbitraria aggiunta di qualche copista perchè il 2.° di essi molto simile al v. 13 della canz. e il 3.o è identico al v. 14, e perchè della loro contenenza non si fa cenno nella divisione. Eccoli ad ogni modo:

Di': Beatrice più che l'altro belle
n'è ita a piè di Dio immantenente
a ha lasciato Amor meco dolente >

XXXII

Poi che detta fue questa canzone, si venne a me uno', lo quale, secondo li gradi de l'amistade, è amico a me immediatamente dopo lo primo; e questi fu tanto distretto di sanguinitade con questa gloriosa, che nullo piú presso l'era. E poi che fue meco a ragionare, mi pregò ch'io li dovessi dire alcuna cosa per una donna che s'era morta; e simulava sue parole, acciò che paresse che dicesse d'un'altra, la quale morta era certamente": onde io accorgendomi che questi dicea solamente per questa benedetta, sí li dissi di fare ciò che mi domandava lo suo prego. Onde poi pensando a ciò, propuosi di fare uno sonetto, nel quale mi lamentassi alquanto, e di darlo a

XXXII.

1. uno ecc., pare che fosse un fratello di Beatrice, come si può argomentare dalle parole illustrate in XXXIII, 11 « l'una de le quali si lamenta come fratello ». Ma quale tra i cinque fratelli di Beatrice? Al tempo cui si riferisce il presente paragrafo erano certamente (come si deduce dal testamento di Folco) maggiori Manetto e Ricovero, fors'anche Pigello. A credere che l'amico di Dante fosse Manetto, fa inclinare la ragionevole congettura dell'ERCOLE (pp. 145-146 e 355) che questi fosse anche amico del Cavalcanti, fosse cioè quel Manetto a cui il Cavalcanti indirizzò il son. Guata, Manetto, quella scrignutuzza.

2. lo primo, Guido Cavalcanti.

3. distretto di sanguinitade ecc., congiunto con lei, per sangue, cosi strettamente che nessun altro le era parente più vicino che lui. Il padre era morto; il marito non era propriamente consanguineo; gli altri fratelli le erano così vicini come l'amico di Dante, non più: quindi le indicazioni date da Dante mi pare siano non in contraddizione, ma d'accordo con lo stato della famiglia di Bice Portinari.

4. dire alcuna cosa, scrivere alcuni versi; cfr. xvII, 5.

5. simulava ecc., intendi: parlava in modo da far credere che chiedesse i versi per una donna, anch'essa realmente (certamente) morta (dicesse d'un'altra), diversa da colei che aveva in mente. E perchè voleva far credere ciò? Per un riguardo delicatissimo, risponde il Casini, quale specialmente un fratello di Beatrice doveva usare verso l'innamorato poeta cantore di lei ». « Quanta realtà in questi fingimenti! - nota lo ZINGARELLI, 123 ma i due amici s'intesero benissimo, pur senza confessarsi nulla, e Dante tornò volentieri a scrivere rime di dolore per Beatrice ».

6. certamente, realmente. Altri: cortamente, cioè da poco tempo.

7. per questa benedetta, cioè per Beatrice.

8. alquanto. Il Witte osserverebbe: « in questo son. l'aut. non si lamenta che alquanto, acciocchè paresse che non per sè stesso, ma per l'amico l'avesse fatto ».

MELODIA.

La Vita Nuova.

15

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