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mi partío da le genti, e ricorsi al solingo luogo d'una mia camera, e puosimi a pensare" di questa cortesissima".

l'onnipotente Mi fa gir come ebriato... E via via, per significare ogni forza di affetto e rapimento di sensi, si arriva fino a capire e passare il forte inebriato del Manzoni ».

11. mi partio da le genti. Non passi inosservato che chi ama fugga le genti e si ritiri in luogo solitario e, da nessuna cosa distratto, si immerga tutto nel pensiero della donna amata.

12. cortesissima. Per solito Beatrice, come abbiamo visto, è detta gentilissima, cioè nobilissima; qui cortesissima per aver salutato Dante, come ha detto poco fa, « per la sua ineffabile cortesia ». Cfr. anche XII, 7, e Pons de Capdueil (MAHN, Werke, 1, 311):

Et avetz mais de cortezi 1.

Il LISIO, 131, rileva che questo paragrafo si apre con due endecasillabi e si chiude con una serie di settenari, e nota: « di versi il Convivio è poverissimo, come ricchissima è la V. N. In questa, se bene non mi sia riuscito trovare pure un capitolo senza versi, le parti dichiarative delle Rime, meglio rispondenti alle razos provenzali, ed alcuni capitoli di mero ragionamento, quali dal xxv al xxx, di solito ne vanno privi: tra le altre, quelle meglio esprimenti abbandoni lirici e di più soave e mesta ricordanza, più volentieri si adornano di vaghezza di suoni ». Per altro, cfr. anche il PARODI, nel Bull, X, 73.

III

E pensando di lei, mi sopragiunse un soave sonno, nel qual m'apparve una maravigliosa visione': chè mi parea vedere ne la mia camera una nebula di colore di fuoco', dentro a la quale i' discernea una figura d'un signore, di pauroso aspetto a chi la guardasse. E pareami con tanta letizia, quanto a sé3, che mirabil cosa era: e ne le sue parole dicea molte cose, le quali non intendea, se non poche; tra le quali 'ntendea queste: Ego dominus tuus. Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormir nuda', salvo che involta mi parea in un drappo

III. 1. E pensando ecc. Dal pensare passa ad addormentarsi e infine a sognare anche nel Purg. XVIII, 141-145:

Nuovo pensiero dentro a me si mise,
del qual più altri nacquero diversi:
e tanto d'uno in altro vaneggiai,
che gli occhi per vaghezza ricopersi,

e il pensamento in sogno trasmutai.

2. nebula, latinismo, nuvola. La visione dantesca « rassomiglia singolarmente, pel fondo e la figura principale, a parte della prima visione d'Ezechiele [1, 26-27[, cioè all'aspetto dell' uomo sedente sul trono e circondato di fuoco >> (SALVADORI, 15). Aggiungi che nella detta visione Ezechiele vide prima di tutto una grossa nuvola », e cfr. col PASQUALIGO, 316, anche Salmo XCVII, 2-3; S. Matt. XVII, 5; Fatti degli Apost. I, 9.

3. pauroso, che metteva paura, cfr. 11, 3.

4. letizia; allegro vedremo Amore anche nel § XXIV.

5. quanto a sè si contrappone a a chi la guardasse. Amore appariva terribile a chi lo guardasse; ma pareva lieto in sè stesso.

6. dicea molte cose ecc., allegoricamente, nota il Casini, « vuol dire che nel principio di ogni affetto le percezioni e i sentimenti sono molteplici, ma per lo più non si intende che la forza d'amore, non si sente altro che il nuovo dominio [ego dominus tuus, io il tuo signore] che tiene lo spirito ». 7. una persona dormir nuda, salvo che ecc. Beatrice era nuda, senza camicia, perchè colta da Amore nel sonno; ma da lui stesso per pudore era stata involta in un drappo, ch'era di una leggera tinta sanguigna, rosea, come la veste con la quale era apparsa la prima volta a Dante (1, 10). Alcuni critici si sono meravigliati che Dante si lasci qui andare a un sogno

sanguigno leggeramente; la qual i' guardando molto intentivamente, conobbi ch'era la donna de la salute', la quale m'avea lo giorno" dinanzi" degnato di salutare. E ne l'una de le sue mani mi parea che questi tenesse una cosa, la quale ardesse tutta"; e pareami che mi dicesse queste parole: Vide cor tuum. E quando elli era stato alquanto, pareami che disvegliasse questa che dormía; e tanto si sforzava per suo ingegno, che le facea mangiare questa

cosi poco pudico, mentre in XIX, 62 si mostrerà premuroso di levare ogni vizioso pensiero », e quindi hanno concluso che la donna nuda non sia una donna reale, ma solamente e semplicemente una donna allegorica. Lo Scherillo invece ha opportunamente osservato che « il costume in cui Dante sognò che Beatrice dormisse è un tocco realistico veramente singolare e potente; e tale da sgannare, esso solo, tutti i più ferventi... investigatori e sognatori di simboli e d'allegorie... Poichè la bella dormente non s'era accorta della presenza di quel Signore, « tanto che solo una camicia » avesse potuto vestire, essa continuava nelle sue braccia a tranquillamente dormire nuda. Cosi appunto le donne (e gli uomini altresi) dormivano a' tempi di Dante o che fossero madri amorevoli, come quella della similitudine di Inf. XXIII, 38; o gentildonne capricciosette, come quella di cui si legge nel Decamerone, III, 3; o pulzelle, come quelle ritratte in un affresco della chiesa di San Lucchese in Poggibonsi. Quel costume molto semplice e primitivo, che richiamava si vivamente colei « il cui palato a tutto il mondo costa, era dunque cosi generale in Firenze, che Dante non sospetta possa ai fedeli o agl'infedeli d'amore sembrare sconveniente che la sua gentilissima non vi si sottraesse! ». Così lo SCHERILLO, nel Bull. IX, 181, del qualc si può vedere anche L'uso della camicia nei secoli XIV e xv, a proposito d'una similitudine dantesca, nella Lettura, Milano, aprile 1902.

S. molto intentivamente, con molta tensione del senso, con molta attenzione, a cagione dell'adombramento che gli fa la nebula. . . e più perchè la donna che lo aveva salutato era vestita di colore bianchissimo, essendo questa all'incontro nuda, ed involta in un drappo sanguigno leggermente » (PASQUALIGO, 366).

9, la donna de la salute: ha contemporaneamente due significati: 1.o la donna del saluto; 2.o la donna che apporta la salvezza. Beatrice, infatti, non solo era la donna che lo aveva salutato, ma apportava salvezza (XIX, 31; XXXII, 20), anzi essa stessa si chiamava « gentilissima salute » (XI, 11). Nel doppio senso Dante adopera salute anche nei vv. 9-13 del son. Di donne io vidi ricordato in v, 14 e riferito in XXIV, 20. Gli antichi usarono spesso la salute, la saluta, le saluti, le salute nel senso di saluto, saluti; e spessissimo salute nel senso di salvezza. In Jatino, salus (da salvus) significò in gene rale integrità, incolumità, salute, salvezza, e in particolare salute augurata, cioė saluto. Il D'Ancona nel presente passo legge: la donna delle salute; e nel § XI la speranza delle mirabile salute. Ma vedi quel che ne scrivono il RENIER, nel Giorn. st. II, 372, e il D'OVIDIO nella N. Antologia, 266. 10. lo giorno, in quel giorno, in quello stesso giorno; lat. illo die. Nello stesso senso lo troveremo in v, 9.

11. dinanzi, non si lega con lo giorno, quasi Dante volesse dire il giorno precedente, ma coll'idea sottintesa della presente visione; vuol dire quindi: prima della visione; e dopo giorno si farà nella lettura una piccola pausa. 12. una cosa, cioè, come appare dalle seguenti parole latine [vide cor tuum, vedi il cuor tuo], il cuore di Dante che ardeva d'amore.

cosa che 'n mano l'ardea, la quale ella mangiava du

13. le facea mangiare ecc. Che Amore dia a mangiare alla donna il cuore dell'amante, pare oggi orribile e strano; ma l'orrore e la stranezza vengon temperati, e forse spariscono, se si guarda più al significato allegorico dell'immagine che all'immagine, se si considera che si narra un sogno, non un fatto vero, e se si pensa che, essendo questa frequentemente adoperata nell'età di Dante, non faceva la repugnanza che fa in altri tempi e con altri costumi. Nella letteratura francese, nella provenzale e nell'italiana delle origini era stata accolta la leggenda, d'origine certamente asiatica, che l'uomo tradito, per vendetta, desse in pasto alla donna traditrice il cuore dell'amante. Si ricordino i casi di Guirone, d'Ignaurès, del Castellano di Couci, di Guglielmo di Cabestaing, della 62.a nov. del Novellino, e della 9.a della 4. giornata del Decamerone. Talora il cuore fu mangiato non per vendetta d'amore, ma per assimilarne le virtù. Così il Malaterra narra che i Saraceni, ucciso il duce avversario Serlone, ne strappano il cuore e lo mangiano, « ut audaciam eius, quae multa fuerat, conciperent » (Rer. It. S., v, 575). E Sordello nel Compianto in morte di ser Blacas, credendo che per questa fosse avvenuta anche la morte di ogni virtù, non vede altro riparo a ciò se non che i vili baroni del suo tempo si cibino del cuore di quel grande:

Qu'om li traga lo cor, e qu'en manjol baro
Que vivon descorat, pueys auran de cor pro.

....e

(Cfr. Vita e poesie di Sordello di Goito per CESARE DE LOLLIS, Halle a. S., 1896 p. 151 e vedi anche la p. 92 in cui il De Lollis scrive: « La figura. l'azione di Sordello nel Purgatorio furono inspirate a Dante dal compianto per la morte di Blacas » [su ciò cfr. anche D'Ovidio, 6-13, e i critici da lui citati]). Analogo al fine per cui i Saraceni mangiano il cuore di Serlone e i baroni dovrebbero mangiar quello di Blacas è il fine per cui Ezechiele mangia il rotolo di un libro ed Elia fuoco. Ezechiele (111, e cfr. la n. 2 di questo paragrafo) narra: «... colui il Signore] mi disse: Figliuol d'uomo, mangia questo rotolo; poi va, e parla alla casa d'Israele. Ed io apersi la mia bocca, ed egli mi fece mangiar quel rotolo . . . Ed io lo mangiai, ed esso mi fu dolce in bocca, come mele. . . » (cfr. anche Apocalisse, x, 9-10 cit. dal PASQUALIGO, 390). S. Isidoro narra (De vita vel obitu sanctorum § LVI): « Helias Thesbites, de terra Arabum, cum esset in utero matris suae in Galaath, Suba pater eius somnium vidit: quod nascentem Heliam viri candidis utentes vestibus salutabant. Quem in igneis institis fascibus obvolvebant, atque pro cibo ignem ei ad nutriendum eum subministrabant. Hoc visum pater eius prophetis in Hierusalem indicavit, hocque ab eis recepit responsum : Ne timueris, inquiunt; erit enim natio eius lumen, verbumque eius sapientia. Iudicabit enim Hierusalem in gladio et igne ». Che il cuore venga mangiato nelle circostanze e col fine indicati da Dante, non si ha esempio prima di lui. Egli forse avrà contaminato l'idea generica di cibar la donna del cuore dell'uomo, l'idea o il fine specifico di assimilarne certe qualità; qualche scorcio o colore avrà tolto dalla leggenda di Elia che poté apprendere o da Isidoro o da Brunetto Latini che la narra nel Trésor (p. 56); (qualche ispirazione avrà avuta questo pensa il CHISTONI, 74 dal mistero della Eucaristia) e n'avrà formato la sua visione, significante che Beatrice, per quanto timidamente, facesse suo l'ardente affetto di Dante e quindi gli corrispondesse. Questo il costrutto o meglio il giudizio che ad illustrazione del luogo dantesco a me è parso di dover ricavare dalle notizie e dalle osservazioni che, a proposito del cuore mangiato, han fatto parecchi critici (D'ANCONA, 32-36; CRESCINI, Contributo agli studi sul Boccaccio, Torino, 1887, pp. 58-59; SCHERILLO, 227-233; il RENIER nel Giorn. st. xv, 280; il TORRACA

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bitosamente". Appresso ciò, poco dimorava" che la sua letizia si convertía in amarissimo pianto: e cosi piangendo si ricogliea" questa donna ne le sue braccia, e con essa mi parea che si ne gisse verso il cielo; ond'io so

nel Giorn. Dant. IV, 41, n. ; il DOBELLI, ivi, IV, 335-336). Solo voglio aggiungere: 1.o che il cibarsi del cuore, non significando innamorare nei racconti noti, non va avvicinato all'azione espressa con le frasi comuni prendere, rapire, possedere il cuore (cfr. Ix, 14); 2. che per questa ragione e per aitre dipendenti dall'interpretazione generale che io do di tutta la visione dantesca, non credo che il D'Ancona (p. 35) ben si apponga quando scrive che Dante abbia voluto significare << come l'amante si trasformasse nell'amata, pel pieno possesso da lei acquistato degli affetti onde la fonte è nel cuore »; 3.o che nelle imitazioni del compianto Sordelliano fatte da Bertran de La Manon e Peire Bremon (MAHN, Werke, III, 142 e 253) non si ritrova il motivo del cuore mangiato. L'uno canta

L'altro:

Que las dompnas valens lo [cor] partran entre lor
Et en luec de vertutz lo tenran per s'onor..

....

Jeu partirai lo cors en mantas terras grans...

In fine, rileveremo (cfr. D' Ancona, p. 35) che della visione dantesca si è evidentemente ricordato il Boccaccio nel sogno del re di Marmorina, raccontato sul principio del libro del Filocolo, nel quale si adombra il destino dei due amanti Florio e Biancofiore.

14. dubitosamente, paurosamente. Nel v. 13 del son. seg.: paventosa. Cfr. anche XXIII, 76.

15. dimorava, stava.

16. amarissimo pianto. Col MANACORDA (Giorn. st. XLII, 192) ricordiamo che Amore piangerà per la morte di un'amica di Beatrice (vi), sarà sbigottito e verrà sospirando pensoso per la fine del primo schermo (IX), sospirerà e piangerà pietosamente per il negato saluto (XII), cerchierà di corona di martiri gli occhi di Dante e tramortirà quando questi si pentirà dell'affetto per la donna gentile (XXXIX) e — s' intende piangerà spesso anche per la morte di Beatrice (XXIII, XXXIV, XLI).

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17. ricogliea, non è precisamente uguale a raccogliea. Il FORNACIARI (ne] suo commento alle Nov. del Boccaccio, Firenze, 1881, p. 14, n. 5) scrive: « raccogliere e ricogliere, coi loro derivati, sono spesso sinonimi e si adoperano ne' più de' casi l'uno per l'altro. Nondimeno anche dove paiono sinonimi, non si può negare che l'uno non vi stia meglio dell'altro, e in molti luoghi poi non si potrebbero scambiare senza alterare il senso o la proprietà della lingua. Infatti i due verbi non sono intieramente uguali: ricogliere si compone della prepos, inseparabile re e non esprime altro che questo: cogliere tirando in dietro, o [come qui] tirandosi in dietro: raccogliere, oltre il re, ha anche incorporata la prep. ad, e val quanto accogliere, cioè implica, di più che l'altro verbo, il concetto di aggiunta, unione, collezione, o sim. L'uno pone meglio in chiaro il concetto di pigliar da (senz'altro); il secondo di abbracciare pigliando, comprendere e sim. I moderni, almeno nelle scritture, si son lasciati quasi perdere il verbo ricogliere, non senza danno della proprietà. Il popolo fiorentino, per molti significati di tal verbo, usa invece raccattare, e dice exempligrazia raccatta quel sasso, la levatrice mi ha raccattato una bimba, dove gli antichi userebbero con maggior finezza ricogliere. » Cfr. anche il VACC LUZZO, nella Russ. crit. 1, 123 seg., il D'OVIDIO, 203 e L. PERRONI-GRANDE, Un sonetto di Guido ecc., Messina, 1901. p. 37, n. 1.

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