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LA VITA NUOVA

[PROEMIO]

In quella parte' del libro de la mia memoria,' dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una ru

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PROEMIO. 1. In quella parte. Il poeta immagina che la sua memoria sia un libro contenente i ricordi e diviso in due parti per mezzo della rubrica Incipit vita nova. Nella prima parte poco può leggere, cioè della prima età poco ricorda, essendo difficile conservare memoria compiuta delle cose vedute, sentite, fatte nella fanciullezza; nella seconda parte, immediatamente dopo la detta rubrica, trova scritto quello che vuol trascrivere nella presente operetta, cioè i ricordi della successiva età.

2. libro de la mia memoria. «< Assomigliare la memoria ad un libro è facile, poiché essa serba ciò che una volta l'intelletto ha appreso, siccome un libro quel che vi è stato scritto: e come si rileggono le note scritte, così l'intelletto, che dai filosofi del medio evo è giudicato facoltà divina, separata dalla memoria, e superiore ad essa, vi rilegge appunto e rievoca ciò che una volta ha veduto e provato e notato. E se spontanea è la rappresentazione della memoria come libro, par naturalissima della mente di Dante, che filosofo e poeta insieme trova l'espressione più concreta e sensibile di ogni concetto più astratto e profondo ». Così lo ZINGARELLI nel Bull. I, 98-101; cfr. anche il suo Dante, 374. Che se, come lo Zing. medesimo crede probabile, Dante apprese questa immagine da Pier della Vigna, il quale in una lettera diplomatica aveva scritto In tenaci memoriae libro perlegimus, è notevole che essa in lui « si amplia », acquista contorni vivi e precisi, divenendo quella di un quaderno con la rubrica (cfr. la n. 4) e i paragrafi (1, 42) e le chiose (Inf. xv, 88-89). Prima che nel presente luogo, Dante l'aveva usata nella canz. E' m'incresce di me, 58-59, 66: Secondo che si trova Nel libro della mente che vien meno... E se il libro non erra.... La usò inoltre nell' Inf. II, 8; XV, 88-89; nel Par. XVII, 91; XXIII, 52-54. Di altri luoghi (Inf. xxiv, 4; Parad. II, 78; XII, 121; XV, 50-51; XXXIII, 86) in cui Dante usa metafore e immagini da libro, carta, scrivere, leggere, quello che ne contiene una più vicina al libro della memoria (per tacere del dubbio Purg. III, 126) è il quarto dove Cacciaguida dice: leggendo nel magno volume U' non si muta mai bianco nè bruno, cioė nel gran libro immutabile della divina sapienza. « Questo volume della mente che mai non vien meno, e le cui note sono eterne, immutabili, è una rappresentazione grandiosa, accanto alla quale sorge per contrasto l'idea più modesta del libro della mente umana: ma l'una e l'altra hanno una stessa origine fantastica e poetica» (Zingarelli).

3. dinanzi a la quale, cioè dinanzi alla quale parte. In questo breve proemio ricorre 4 volte il pronome relativo. La frequenza, l'abuso anzi, di esso, secondo il LISIO 187, << non trova ragione psicologica; se pure non fu per voglia di legare, voglia ben manifesta in Dante, sempre però tra concetti vicini... Tale costrutto relativo, moltiplicato, ma ben distribuito, pesa, ad

brica, la qual dice: INCIPIT VITA NOVA. Sotto la qual'io trovo scritte le parole, le quali è mio intendimento" d'as

ogni modo, assai più su la prosa che su la poesia dantesca ». Il PASCOLI, 132133, mette a riscontro con questo alcuni passi delle Confessioni di S. Agostino (1, 6, 10; 7, 12) in cui « Il Santo parla dell'età sua prima « che non si ricorda d'aver vissuto, e di cui credė ad altrui ». Dice: « mi rincresce d'annumerarla a questa mia vita che vivo in questo secolo... Ma ecco, io tralascio quel tempo. E che ho da far io con ciò di cui non ritrovo alcuna traccia? ».

4. rubrica, titolo. Rubriche si chiamavano anticamente i titoli o i sommarii delle parti o dei capitoli di un'opera, perchè di solito scritti in rosso (lat. ruber; rubrica, sc. terra). In particolare, dai titoli rossi delle leggi, si dissero rubricae le leggi stesse (cfr. QUINT. XII, 3, 11). Oggi questa parola si adopera in un senso derivato dall'antico, quando parlando di un giornale si dice, p. es., « la rubrica delle Note mondane »; ma più spesso si adopera a denotare un « quadernetto co' margini scalettati e segnati colle lettere dell'alfabeto per facilitare le ricerche ».

5. Incipit vita nova, incomincia la vita nuova, cioè la vita giovanile (Fraticelli). Quest'espressione non ha limiti cronologici precisi, ma si riferisce a quell'età che viene ad essere preceduta dall'incoscienza infantile e seguita dalla riflessione matura » (RAJNA nel Bull. v, 103-106). Cfr. a p. 5. l'append. 6. le parole. È chiaro che con questa voce Dante accenna a ricordi della sua memoria; ma si disputa se intenda di quelli espressi nelle poesie o di quelli espressi nelle prose o nelle une e nelle altre. Noi, considerando tutto quello che Dante, nell'attuare il suo intendimento, effettivamente trascrisse nel << libello », incliniamo all'ultima opinione. E la voce parole denota tanto la prosa, come di solito nel linguaggio comune, quanto i versi. In questo senso Dante l'adopera (cfr. RENIER, nel Giorn. st. II, 370 e VII, 258) in formule come «mi propuosi di dire alquante parole... e dissi questi due sonetti » (§ VIII) parallele a questa del § XIII: « mi giunse volontà di scrivere parole rimate; e dissine allora questo sonetto» e a questa del § XLI: pregando che io mandassi di queste mie parole rimate... E dissi allora un sonetto, nelle quali la designazione specifica del componimento è preceduta dalla designazione generica di versi fatta per mezzo di parole o parole rimate; e, fuori di simili formule, in XIII, 2: « avendo già dette le parole ch'Amore m'avea imposte di dire », come è chiaro specie a chi metta in relazione questo passo con quello del § XII: « voglio che tu dichi certe parole per rima». E si potrebbe ricordare il principio del son. Parole mie e l'analogo uso della voce « detto » nel senso di composizione in rima, p. es., nel Purg. XXVI, 112, e dei verbi parlare (cfr. vII, 7) e dire (cfr. vII, 26). Che se le poesie erano scritte, ciò non nega che Dante immaginasse di trarre anch'esse dalla memoria. L'argomento desunto dalla fine del § 1 è stato portato in favore della prima e della seconda delle tre opinioni; e quindi sarebbe prudente trascurarlo; ma, dopo matura riflessione, mi pare di poter dire che ivi « parole » non indica necessariamente e solamente il 1.o sonetto, ma in generale le « cose > (poco prima Dante dice: « trapassando molte cose »), i fatti scritti nella memoria sotto più lunghi paragrafi. Cfr. anche CARDUCCI, nella Strenna dantesca II, 59.

7. intendimento, intenzione, proposito. La V. N., pertanto, doveva essere il racconto genuino dei ricordi di Dante; ma poi, in realtà, accolse anche alcune digressioni di vario genere, cioè quella del § xxv intorno alle personificazioni; e quella del § XXIX in cui si mostra che Beatrice era la mirabile Trinità. Nè i ricordi stessi Dante trascrisse fedelmente e puramente quali erano nella memoria, ma spesso interpretandoli con sentimenti e pensieri del tempo in cui metteva insieme l'operetta. Quanto al § xi, in cui

semprare in questo libello', e, se non tutte, almeno la loro sentenzia1o.

Dante vuol dare a intendere ciò che il saluto di Beatrice virtuosamente operava in lui, son d'accordo con chi ci vede nel colorito l'effetto della speculazione successiva di Dante, ma non credo esatto quello che dice lo ZINGARELLI, 374, che cioè esso non faccia parte dei ricordi. Vero è che Dante dice di scriverlo uscendo alquanto dal suo proposito, ma non intende dire con ciò « uscendo dai ricordi », sibbene « lasciando l'argomento che sto trattando, cioè gli effetti della negazione del saluto », come mostra anche il principio del § XII: « Ora tornando al proposito, dico che, poi che la mia beatitudine mi fu negata, mi giunse tanto dolore etc ». (Cfr. ora anche BARBI, nel Bull. XI, 37).

8. assemprare, esemplare, trascrivere. Deriva da exemplare (ad exemplar effingere) come assempro da exemplum, e in questo senso ricorre nell'Inf. xxiv, 4 e nel Cavalcanti, canz. Io non pensava, 43-41. La suddetta interpretazione è confermata dalla fine del § I, dove Dante chiama la memoria «esemplo », da cui potrebbe << trarre » certe cose. Altri leggono assembrare, derivandolo da adsimulare (simul, insieme), e intendendo mettere insieme, raccogliere come nel v. 4 della canz. Quantunque volte del § XXXIII e in Cielo dal Camo, Rosa fresca, 8: L'abere d'esto secolo tutto quanto assembrare e in Brunetto Latini, Tesoretto, 2355 sgg.; gli atti de l'amore Che son così diversi Rassembra e mette in versi.

9. libello. Qui, nei §§ XII, xxv e xxvIII, e nel Conv. 11, 2 la V. N. è chiamata libello nel significato primitivo di piccolo libro, libretto. Ed opportunamente il Todeschini osserva: Poco prima Dante ha mentovato il libro della sua memoria: al paragone di questo libro, era ben giusto che l'operetta breve e d'argomento tenue ch'egli si poneva a scrivere, non fosse chiamata che libello ». Del resto, si noti che Dante chiama libelli nel Par. XII, 135 certi libri di Pietro Ispano e che Cino, cxIII, son. In fra gli altri, celebra la Commedia come il libello Che mostra Dante signor d'ogni rima. È noto che ora, come già in qualche scrittore latino, libello significa libro destinato malignamente a togliere a qualcuno la riputazione. 10, se non tutte ecc., se non trascriverò tutte le parole - siano in prosa, siano in versi, trascriverò almeno il concetto generale significato con esse, la sostanza o la somma delle cose. Così farà, p. es., verso la fine del § 1, dove, espresso il concetto generale che il suo amore è retto dalla ragione, tralascerà altre parole sullo stesso argomento. Così farà quando tralascerà alcune delle cosette per rima scritte per la prima donna dello schermo (v) o il serventese in lode delle più belle donne di Firenze (vi) O in generale altre delle poesie che avrebbero, poca o molta, relazione coi fatti della V. N. Occorre appena rilevare che nel dar la sentenzia delle parole omesse, Dante non terrà sempre la stessa misura: cosi delle tralasciate cosette per rima ci darà, si può dire, una semplice e vaga notizia, e del serventese ci darà un'idea meno oscura.

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APPENDICE ALLA NOTA 5. Occorre appena ricordare che Nuovo e Novello nella nostra antica lingua vale spesso giovanile; p. es. nel Par. XVII, 80 è detto di novella età Cangrande per esser nato solamente da nove anni (cfr. anche Inf. xxxIII, 88), e il Petrarca nella canzone Una donna più bella, 23-24 dice d'aver passato contento l'età sua nova. (Per altri signifi cati cfr. xiv, 17, 48; XVIII, 11). Nè è necessario allegare esempi della forma latina novus in tal senso, considerato per quanta parte la latinità medie

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