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il Convito, e non limitato ai soli Trattati primo e terzo, si fece a sentenziare che «< Arrigo correva a Dante sotto la penna da sè; e » forse fu scritto e cassato per la memoria ancora fresca di Firenze >> assalita dalle armi imperiali e dalle poetiche. 1 >> Riporto qui il passo ch'è nel capitolo III: Federigo di Soave (di Svevia) ultimo Imperatore de' Romani (ultimo dico per rispetto al tempo presente, nonostante che Ridolfo e Adolfo e Alberto poi eletti sieno appresso la sua morte e de’suoi discendenti), domandato che fosse gentilezza, rispose ec. Per me la conseguenza naturale e vera, che si può trarre da questo passo, si è che Dante scriveva quelle pagine imperando Alberto d' Austria. Che le scrivesse imperando Arrigo successore d'Alberto, o sivvero Lodovico successore d'Arrigo, non posso mai consentirlo; e tanto meno se Arrigo correva a Dante sotto la penna da sè; nè veggio ragione di sospettare, il di lui nome poter essere scritto e poscia cassato, giacchè la frase rispetto al tempo presente l'esclude. Or dunque, se rispetto al tempo, in cui dall' Alighieri scrivevasi quel filosofico Trattato, l'ultimo eletto Imperatore era Alberto, non vien forse con bastante chiarezza indicato un punto di quel periodo che corse fra l'elezione e la morte di esso? Abbiamo frattanto l'anno 1298 al 1308.

Una data press' a poco conforme sta racchiusa pure in altre espressioni di questo Trattato, le quali trovansi al cap. VI: Nulla filosofica autorità si congiunge colli vostri reggimenti, nè per proprio studio, nè per consiglio..... E dico a voi, Carlo e Federigo Regi, e a voi altri Principi e Tiranni, e guardate chi a lato vi siede per consiglio; e annumerate quante volte il dì questo fine dell' umana vita per li vostri consiglieri v'è additato. Meglio sarebbe, voi come rondine volare basso, che come nibbio altissime rote fare sopra cose vilissime. Non v'è punto bisogno di dichiarazione e di analisi a rilevare che quest' apostrofe è diretta a Carlo e a Federigo nel tempo in cui sedevano sui loro troni, l'uno 'di Napoli, l'altro di Sicilia. Se questi Regnanti non fossero allora più stati fra i vivi, l'apostrofe porterebbe altri nomi, o non leggerebbesi. Federigo regnò dal 1296 al 1337, Carlo dal 1289 al 1309.

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Il Trattato adunque fu composto non prima del 1296, nè dopo

il 1309.

Cosi laddove nel cap. XVI dall' Alighieri si definisce che debbe Intendersi per Nobiltà, incontrando noi quelle frasi, — Asdente, il calzolaio di Parma, sarebbe più nobile che alcuno suo concittadino; e Alboino della Scala sarebbe più nobile che Guido da Castello di Reggio; chè ciascuna di queste cose è falsissima, veniamo a rilevare che il Trattato fu composto innanzi il 1300. Alboino 'dice il signor Scolari) morto nel 1311, prese in moglie » nel 1298 una figlia di Matteo Visconti, Caterina di nome. La casa » Visconti era di parte ghibellina, e Matteo avea stretto il negozio » per acquistarsi un fautore nello Scaligero. Adunque prima del 1298, » e prima assai del Priorato e dell'esilio, emerge scritto il Trattato quarto, e prima anzi che Dante aderisse al partito degl' Imperiali; imperciocchè altrimenti non avrebbe mai recato dispregio » ad un fautore de' suoi, e meno al fratello del gran Lombardo, suo » primo rifugio, qual fu Can Grande. » Ma questa argomentazione dello Scolari mi sembra, a dir vero, non molto stringente, e tanto meno poi s' io considero, che come Dante non potea punto sapere, avanti il fatto, se Cane sarebbe stato un giorno il suo principale benefattore, così, non che nel 1297, ma pur nel 1307 (l'anno antecedente all' elezione di Arrigo), egli avrebbe potuto lasciarsi a scrivere quelle espressioni. Con una nuova argomentazione mi farò adunque a rafforzare questa dello Scolari. Asdente, il calzolaio di Parma, dovea già nel 1300 esser morto, se Dante lo potè collocare fra'dannati nell'Inferno (XX, 118), caratterizzandolo per quell' Astrologo,

«Che avere atteso al cuoio ed allo spago

Ora vorrebbe, ma tardi si pente. »

D'altronde, per tutto il contesto apparisce, che quando Dante scriveva il brano del Convito da me or or riportato, l'indovino Asdente era vivo. E lo prova la ragion grammaticale nella voce sarebbe, che appella a tempo presente e non a passato, e lo prova il trovarsi Asdente menzionato unitamente ad altri due personaggi (Alboino della Scala e Guido da Castello), che appunto innanzi il 1300 eran vivi. Dunque innanzi il 1300 era pure scritto il Trattato.

Chi non approva l'indagine accurata intorno le date, tacciandola di minuziosa smania e contenziosa, o rifiuta di muovere da punti stabilmente fissi le asserzioni in fatto di storia, per seguire invece la propria fantasia o la propria opinione, parmi non pensare a questo che, senza l'aiuto di date certissime e spesse, non hassi modo a parlare con esattezza e con verità delle cose di Dante, ed a rettificare tutto quello che ne fu detto d' erroneo. Se non fossimo stati mancanti di lavori cronologico-critici accurati ed esatti, non avrebbe Quirico Viviani accumulati tanti spropositi in quelle poche pagine che formano la Prefazione alla sua stampa del Codice Bartoliniano; nè il Foscolo, per rilevare gli spropositi appunto di quell'editore, con altri parecchi ch' eran corsi finallora intorno la storia del Testo della Commedia, e intorno le opinioni e le particolarità a quello spettanti, si sarebbe trovato costretto ad affrenare il suo fervido ingegno nella minuta ricerca di date, nella istituzione di confronti e nella prolissità dell' analisi. Lavoro è quello del Foscolo non scevro affatto d' inesattezze (e come potrebbe esserlo opera d'uomo?) e di opinioni speciali non ammissibili facilmente; ma lavoro, che, sebbene criticato da molti ed inteso da pochi, fia pur ventura l'averne più d' uno di simili. Dopo quello del Foscolo, vide la luce un altro libro, attissimo a schiarire e a fissare molti punti delle cose Dantesche, ed a tener luogo di eccellente cartone istorico de' tempi dell' Alighieri. È questo il libro del conte Troya.1 I lavoro poi dell' Arrivabene, quantunque abbia riempito un vuoto, e sia stato diretto ad uno scopo utilissimo, riunendo tanti materiali storici e tante notizie, che qua e là sparse era d'uopo rintracciare per l'intelligenza di Dante, e particolarmente per conoscere i personaggi di lui contemporanei da esso posti in iscena, pur nonostante riconoscesi talvolta difettoso di critica, talaltra insufficiente a spianare alcune difficoltà, quivi appunto lasciate intere, perchè credute distrutte.

Il libro intitolato Del Veltro allegorico di Dante, Firenze 1826, fu dal Troya in gran parte rifuso e inserito nell'altro suo libro, che ha per titolo Del Veltro allegorico de' Ghibellini, Napoli 1856, libro importantissimo per le cose storiche che vi si discorrono e per i documenti che vi si contengono.

Non poco certamente è ciò che ancora resta a schiarire della storia biografica di Dante Alighieri; storia così legata colle opere di lui, che, non schiarita questa, restano quelle in più luoghi non facile intese o tortamente. Gherardo da Camino, signor di Trevigi, è da Dante ricordato molto onorevolmente nella sua Commedia:

« Ben v'en tre vecchi ancora, in cui rampogna

L'antica età la nuova, e par lor tardo
Che Dio a miglior vita li ripogna;
Currado da Palazzo, e 'l buon Gherardo,
E Guido da Castel..... >>

Purgatorio, XVI, 121–25.

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Ecco i Commentatori asserire, che l'epiteto di buono, dato qui a Gherardo, fa congetturare che questi fosse un di lui ricettator generoso nell' esilio. Ecco l' Arrivabene ripetere che « si sa che Dante » trattò familiarmente con Gherardo da Camino; » 1 ed altrove con maggiori particolarità, che «< caduto Dante nello sfavore di Cane, si volse a Gherardo da Camino signor di Trevigi. 2 Ecco Quirico Viviani annunziare, come Dante prima di passare all'ospitalità patriarcale nel Friuli, erasi trattenuto in Trevigi presso Gherardo da Camino. Ma quando ciò succedeva, anche per consentimento degli eruditissimi Illustratori? Nel 1317; e certo non prima, se non piuttosto dopo. Ma nel 1317 era egli forse signor di Trevigi Gherardo? Se cotesti Illustratori avessero consultati almeno gli Annali d'Italia, avrebbero appreso come Trevigi fino dal 1313 si reggeva a Repubblica, cacciato a furia di guelfo popolo, in sulla fine del 1312, Guecelo da Camino, fratello e successore di Ricciardo, figlio e successore di Gherardo il buono. La signoria di Trevigi era dunque, spento Gherardo, passata fino dal 1312 in mano di altri due Caminesi, e cotestoro ti appresentano Dante nel 1317 presso l'ospite suo Gherardo in Trevigi!!! E già l'istoria avea narrato come Ricciardo da Camino, figlio di Gherardo, fu da Arrigo VII creato nel 1311 Vicario Imperiale di una parte del Trivigiano, e come

Il secolo di Dante, vol. I, pag. 256.

Ivi, vol. II, pag. 287.

Prefazione all'Edizione del Codice Bartoliniano, pag. 4, 7, ed altrove.

nel 1312 venne proditoriamente ucciso mentre stava giuocando a scacchi. E già un documento ch'è del 1254, riportato dal Muratori ' e dal Tiraboschi, portando come a quel tempo Gherardo da Camino, signor di Trevigi, avesse più figli non giovinetti ma adulti, fa buona riprova che quel signore sarebbe stato nel 1317 ancora più che decrepito. Non so se negli antichi Cronisti si rinvenga esattamente notato quando Gherardo venisse a morte: comunque sia, io credo che non passasse l'anno 1298. Infatti negli Annali d'Italia non si trova fatta più menzione di lui oltre il 1294, e dal Tiraboschi 3 si pone Gaia, la figlia di Gherardo, fra le poetesse, che fiorirono poco dopo la metà del secolo XIII.

Come adunque può essere che Dante faccia da un'anima ricordare nel Purgatorio il buon Caminese siccome vivente nel tempo della visione ch'è del 1300 ?

<< Ben v'en tre vecchi ancora, ec. »

La risposta sembra un poco difficile, ma fortunatamente l' Alighieri medesimo ce ne somministra il modo. Gherardo da Camino avea meritato per le sue virtù il soprannome di buono, e in quel passo del Purgatorio i tre vecchi, viventi nell' ultimo anno del secolo XIII, sono rammentati a rappresentare i costumi cavallereschi, il valore e la cortesia della passata generazione, giacchè

<< In sul paese ch' Adige e Po riga

Solea valore e cortesia trovarsi. >>

Purgatorio, XVI, 115–16.

Inteso da Marco Lombardo nominarsi un Gherardo, il Poeta artificiosamente rivolge a quello la parola, interrogandolo :

<< Ma qual Gherardo è quel, che tu per saggio

Di'ch'è rimaso della gente spenta,

In rimproverio del secol selvaggio? »>

Ivi, 133-35.

Per poco che il Lettore abbia in pratica questo poeta, e ne co

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