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Imperciocchè ei sarebbesi accorto che alla sua ingegnosa illazione faceva contro l'autorità dell' Alighieri medesimo; e simile in ciò al paladino del Ferrarese, che mari e monti discorre per giungere al luogo ove crede posare la donna delle sue brame, ed a quello arrivato conosce aver percorso una via molto dalla vera distante, egli sarebbesi a malincuore, e dolente della fatica e del tempo perduto, tornato indietro dal mal incominciato, e mal compiuto cammino. Se non a torto quell' egregio or nominato scrittore va dicendo, che molti critici meritamente celebri o non lessero attenti il Poema di Dante, o forse non lo percorsero mai dal primo all' ultimo verso, dacchè veggiamo indizi evidenti che essi guardarono solamente a que' passi i quali suggeriscono date, nè li raffrontarono con altri che avrebbero fatto risaltare in un subito le fallacie dei loro computi; quanto a maggior ragione potrò io dire che pochi ebbero familiari e pronte all' uopo tutte le opere e tutta la biografia del divino Poeta, abbenchè di esso lungamente tengano ragionamento! Ad un illustratore della Divina Commedia dovrebbe certamente esser noto, che quel grandioso Poema non fu dettato da Dante nel breve giro di poche lune, dacchè oltre l'averne tante istoriche testimonianze, l'accenna il Poeta medesimo nel XXV del Paradiso,

«Se mai continga che il poema sacro,

Al quale ha posto mano e cielo e terra
Si che m'ha fatto PER PIÙ ANNI macro cc.; »>

eppure un illustratore della Divina Commedia, il Viviani, 2 asseri

» devan l'Italia, e che rendevano lecita la libertà della satira assai più che » la libertà della lode. Non è finalmente necessario fermarsi a mostrare >> che non il solo Inferno era noto a' contemporanei di Dante, se Giovanni » Villani cita un passo del Canto VI del Purgatorio, e se questa citazione >> distrugge tutto quanto cotesto ingegnoso edifizio di false ipotesi e di ci>> tazioni piccanti. » Nè io, dirò, avrei fatto qui luogo a questa nota, se non avessi veduto, che certi odierni scrittori delle cose di Dante hanno rimessa in campo come una verità dimostrata la falsa opinione del Foscolo.

1 Discorso sul testo e sulle opinioni diverse prevalenti intorno alla storia e alla emendazione critica della Commedia di Dante, § XVIII, P. I, 37. Prefaz. all'Ediz. della Divina Commedia, giusta la lezione del Cod. Bartoliniano, Udine, 1823, vol. I, pag. 15.

d'aver contezza come Dante nel 1319 dettò in Udine la Cantica del Paradiso, mentre nel 1318 avea atteso in Trevigi all' altra del Purgatorio, dopochè poco innanzi, meditando e scrivendo fra i profondi valloni di Tolmino, avea delineato le spaventevoli bolgie dell' Inferno!

Ma non è qui mio particolar divisamento il tener discorso di ciò che riguarda l'opera maggiore di Dante, e il rilevare le inesattezze e le contradizioni degli annotatori e dei critici: mêsse troppo abbondante si è questa, e tale che vasto campo richiede. Laonde io mi limiterò a far parola di sole quelle cose che potranno servir all'illustrazione del Convito, ed all'esplanazione di alcune difficoltà per lungo tempo credute insormontabili : difficoltà che han dato luogo a giudizii e a controversie, e queste ad altre controversie ed a nuovi giudizii.

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Colla scorta adunque dei fatti più certi della vita di Dante, dei varii luoghi del Convito che accennano a date storiche e di quelli pure della Commedia che possono al mio subietto servire, io procurerò di rintracciare, e determinare, quando il Convito fosse dall'Alighieri dettato. E se colle ragioni le meno equivoche, e con le deduzioni storiche le più sicure mi verrà fatto di provare, Convito essere stato dall' Alighieri dettato nel 1297 al 1314, e per meglio dire, il Trattato primo ed il terzo nel 1314, il secondo ed il quarto nel 1297, io non so quanto si dovrà ritenere per saldo e per inconcusso il teorema dal dotto autore del Discorso sul testo della Commedia piantato, là dove dice 1 che il determinare il principio, il progresso, ed il termine d' un'opera con la guida della cronologia di fatti rammentati dall' Autore, sia dottrina, la quale, quantunque applicata da uomini di forte o di debole ingegno, di scarso o di molto sapere, e con metodi letterarii o scientifici, riesca fatica perduta e dannosa. Della quale arrischiata sentenza s' io imprendessi a dimostrar la fallacia, nulla di più acconcio mi si farebbe davanti che l'argomento somministratoci dall' istesso Foscolo in quel libro medesimo ove tali parole riscontransi. Imperciocchè se egli teoricamente dichiarò opera perduta e dannosa l'accingersi a

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rintracciare i tempi dell' incominciamento e del termine d'un' opera con que' mezzi che l'opera istessa presenta, egli di tali mezzi appunto si valse a rischiarare molti punti oscuri o controversi degli scritti e della vita di Dante; e a far brillare la luce là dove non era che un leggiero crepuscolo e talvolta profonde tenebre, dimostrando col fatto l'eccellenza di quelle arti che egli andava poco innanzi dannando.

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II. Punto di grande controversia è stato adunque fino a noi, se Dante scrivesse il Convito prima della Commedia, o se facesse questa a quello precedere. Il più antico biografo del divino Poeta, il Boccaccio, facendo menzione di quella filosofica opera, e dicendo che o per mutamento di proposito, o per mancamento di tempo si rimase l'autor dal compirla, abbenchè appaia aver egli avuto intenzione, quando la cominciò, di portarla al suo compimento, non riferisce alcuna particolarità, che possa giovare nella questione presente. E se Giovanni Villani, 1 parlando delle opere dall' Alighieri composte, sembra accennare che questi dettasse il Convito in sul terminare del viver suo, tal che per la sopravvenuta morte non potesse al compimento condurlo, Giannozzo Manetti va per l'opposto dicendo che il Convito fu da Dante composto nella sua gioventù. Non dissimili dagli antichi, i moderni non convennero in una stessa sentenza, e noi vedemmo così propalarsi congetture, che affermate e disdette in pochi anni, e che cozzando fra loro, non poterono a null'altro servire, che a portar nell' argomento una maggior confusione, e a traviar sempre più dalla sorgente e dal corso dell' opera: colpa di esami non molto profondi od estesi, di confronti inesatti o insufficienti, e quindi di giudizi arrischiati o immaturi.

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Giuseppe Pelli affermando che il Convito fu composto dall' Alighieri durante il suo esilio, sospetta che ciò seguisse appresso il compimento, se non di tutta, almeno di una buona parte della Divina Commedia. Di questa opinione si professa seguace ancor Ginguené. “

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3 Memorie per la Vita di Dante Alighieri, seconda edizione, pag. 185. Histoire de la Litterature d'Italie, chap. VII.

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Ma l' Arrivabene 1 appoggiandosi a un solo passo del libro medesimo, il quale accenna ad un fatto storico, protrasse indietro di alquanti anni la controversa data, e credè fissarla anteriormente al 24 novembre 1308, in cui fu dichiarato Imperatore Arrigo di Lussemburgo. Foscolo fra i più recenti scrittori la fissa posteriore alla morte del nominato Arrigo, cioè a dire dopo il 1313, e il Trivulzio e il Lombardi la vogliono anteriore ad ogni cominciamento della Divina Commedia.

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« Dal vederlo non compiuto (dice il Trivulzio nella Prefazione al Convito, da lui ridotto a miglior lezione e illustrato), alcuni gra» vissimi scrittori argomentarono che Dante gli desse cominciamento » ne'suoi ultimi giorni, nè potesse finirlo per morte. Il silenzio però » ch'egli serba in quest'opera intorno al Poema, mentre avrebbe » avute tante occasioni di nominarlo,.... indurrebbe facilmente a credere, che non solamente quando scriveva il Convito non avesse » ancora deṭtata la Commedia, ma non ne avesse pure concepita » l'idea..... Quindi non per alcun fine arcano l'Alighieri non fece » motto della Commedia in questo Convito, ma perchè non aveva >> ancora rivolto l'animo a quel divino lavoro quando sotto il pre» testo di comentare quattordici sue Canzoni ei pensava di versare » in questo libro, che dovea riuscire una morale enciclopedia, i va» stissimi tesori della sua mente. Ma datosi poi di proposito al Poema Sacro, e chiamato a porvi mano e cielo e terra, è da dirsi che questo primo lavoro gli sia caduto del pensiero, nè più l'abbia ripigliato se non forse per inserirvi all' opportunità qualche tratto

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» di cui gli si veniva risvegliando l'idea. Intorno a ciò ne conferma >> il vedere nella Divina Commedia lungamente confutata per bocca di Beatrice l'opinione qui sostenuta, che l'ombra della Luna sia rarità del suo corpo (Tratt. II, cap. XIV). Di che già s'era accorto il P. Lombardi ec. » Il Trivulzio dunque con questi ed altri minori argomenti s'ingegna provare che Dante, allorchè si pose a scrivere il Convito, non avesse incominciata non solo la sua Commedia, ma non ne avesse concepita pure l'idea. Prima però di rilevare l'ine

Il secolo di Dante, commento storico ec., vol. II, pag. 242.
Nel libro poco innanzi citato, § CXI.

sattezza di tale asserzione del Trivulzio, ascoltiamo quanto dice il Lombardi, affinchè io possa ad un tempo rettificare ciò, che l' uno e l'altro asserisce. A quei versi del Paradiso, Canto II,

"..... ciò che n'appar quassù diverso
Credo che 'l fanno i corpi rari e densi,

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così annota il Lombardi: - «Somministra il passo presente un invincibile argomento, che Dante scrivesse il suo Convito prima di que

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» sta Commedia. Imperocchè confessa qui, e per le ragioni che fa da Beatrice allegarsi, depone l'opinione nel Convito sostenuta, 1 che

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» le macchie della Luna non sieno altro che rarità del suo corpo, » alla quale non possono terminare raggi del Sole, e ripercuo» tersi così come nelle altre parti. Nè dall' essere il Convito opera imperfetta altro si può dedurre, se non che, lasciato il Convito imperfetto, l' Alighieri si applicasse tutto alla Commedia. Se l'autore delle Memorie per la vita di Dante unita avesse alle altre questa osservazione, avrebbe, credo, deposto il suo sospetto, che compo

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>>

» nesse Dante il Convito dopo aver egli terminata, se non tutta, » almeno una buona parte della Commedia. Stendendo noi le ri» flessioni sopra l'una e l'altra opera, paiono anzi cose che ne de>> terminino affatto al contrario. » Fin qui il Lombardi. D'essersi poi ingannato nella sua opinione sull'ombra della Luna, Dante (e l'osserva ancora il Trivulzio nella nota al passo or accennato del Convito) ritorna a parlare ne' seguenti versi del Canto XXII del Paradiso:

<< Vidi la figlia di Latona incensa

Senza quell'ombra, che mi fu cagione,
Per che già la credetti rara e densa. »

E vedesi che molto premevagli di mostrarsi ricreduto di quell'errore. Ma se il Convito fosse opera veramente postuma, siccome il Trivulzio con asseveranza fin dal principio della sua Prefazione dichiara, qual bisogno v' era mai che di cosa già asserita in alcun luogo di quello, si andasse l' Alighieri ritrattando nella Divina Commedia, quando fosse sempre stato in piena sua facoltà di correggere,

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'Trattato II, cap. XIV.

Alla seconda pagina.

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