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come detto é, si manifesta per cotal ragione: Ciascuna cosa, che da perverso 2 ordine procede, è laboriosa, e per conseguente è amara e non dolce; siccome dormire il di e vegghiare la notte, é andar indietro e non innanzi. Comandare il suggetto al sovrano, procede da ordine perverso; chè l'ordine diritto é, il sovrano al suggetto comandare; e così é amaro e non dolce : 3 e perocchè all' amaro comandamento è impossibile dolcemente ubbidire, impossibile è, quando il suggetto comanda, la obbedienza del sovrano essere dolce. Dunque se il Latino è sovrano del Volgare, come di sopra per più ragioni è mostrato, e le Canzoni, che sono in persona di comandatori, sono volgari, impossibile è sua ragione essere dolce. Allora è la ubbidienza interamente comandata e da nulla parte spontanea, quando, quello che fa ubbidendo, non avrebbe fatto sanza comandamento, per suo volere, nè tutto, nè parte. 6 E però se a me fosse comandato di portare due guarnacche indosso, e sanza comandamento i' mi portassi l' una, dico che la mia obbedienza non è interamente comandata, ma in parte spontanea; e

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Le antiche edizioni: tal ragione. E. M. Ragione qui vale ra-, gionamento, e comprende tutte e tre le dimostrazioni, che rispondono alle parti della proposizione, cioè che l' obbedienza non sarebbe stata dolce, non interamente comandata, e non misurata. P.

Perverso, qui e tre righe più sotto vale inverso. F.

3 Vuol dire che di cosa amara vien cosa amara, perocchè l'effetto ha sempre la qualità della cagione: dunque d'amaro comandare verrà amaro comandamento. P.

Per ragione intende qui il Pederzini la qualità o condizione che verrebbe al latino dall'atto d'obbedire. Ma io non vedo necessità d'attribuire a quella voce un significato così lontano dal proprio: onde ragione valendo, come sappiamo, ragionamento, il ragionamento del la

tino, che rispetto alle Canzoni volgari non può esser dolce, non sarà altro che l'esposizione o il commento. F.

5 Gli Edit. Mil. leggono Ancora; ma secondo alcune antiche stampe dee leggersi Allora, perchè è qui che Dante incomincia ad esporre quando l'obbedienza sia interamente comandata: dunque Allora è la ubbidienza interamente comandata.... quando ec. La voce ancora, significante prosecuzion d'argomento, non può dunque aver luogo qui, ma in appresso, ove infatti riscontrasi : Ancora è la obbedienza con misura.... quando ec. F.

• Intendi: quando quello che l'uomo fa obbedendo, o per obbedienza, egli non l'avrebbe fatto nè in tutto nè in parte, se non era comandato. P.

cotale sarebbe stata quella del Comento latino; e per conseguente non sarebbe stata ubbidienza comandata interamente. Che fosse stata cotale appare per questo, che lo Latino, sanza il comandamento di questo signore, avrebbe sposte molte parti della sua sentenzia (ed espone, chi cerca bene le scritture latinamente scritte),1 che nol fa il Volgare in parte alcuna. Ancora è la obbedienza con misura, e non dismisurata, quando al termine del comandamento va, e non più oltre; siccome la natura particolare è obbediente2 all' universale quando fa trentadue denti all' uomo, e non' più, nė meno; e quando fa cinque dita nella mano, e non più, nė meno; e l'uomo è obbediente alla giustizia quando fa quello che comanda la legge, e non più, né meno. 3 Ně

1 Intendi: che il lalino senza il comandamento di questo signore, cioè del componimento dettato in volgare, avrebbe esposte molte parti della sentenza del volgare (ed infatti il latino di per sè stesso espone, com'è chiaro a chi considera bene le scrit ture latinamente scritte), lo che non fa il volgare in parte alcuna. Ed il latino avrebbe esposto di per sè stesso, e senza il comandamento del suo signore, perchè, come dice il Pederzini, « se per esempio al Trat» tato IV, cap. 19, dove si comenta» no i primi versi della sesta strofa, >> il comento fosse stato latino, tanto » avrebbe spiegato per avventura >> il dire: ubi sol, ibi cœlum; sed non » e converso; come l'aver detto in » volgare è il cielo dovunque la » stella; e non è questo vero e con» verso, che dovunque è cielo sia la » stella. E l'identico caso interver>> rebbe a chi scrivendo di medici>> na in volgare comentasse in gre»co; chè mille volte il comento >> con solo dir la cosa l' avrebbe già » bell'e spiegata. » Gli Edit. Mil. non avendo avvistato il concetto delle frasi ellittiche: ed chi espone, cerca bene le scritture latinamente scritte, trasportarono la parentesi

dopo la parola scritture, e lessero: lo latino.... avrebbe esposte molte parti della sua sentenza (ed espone chi cerca bene le scritture) latinamente scritte, che nol fa il volgare in parte alcuna. Ma qual concetto è mai questo, lo latino avrebbe esposte molte parti della sua sentenza latinamente scritte? E che significa quest' altro, e chi cerca bene le scritture espone? significherà forse, com'essi dicono, ogni buon comentatore espone? Il Witte poi, accrescendo il garbuglio, vorrebbe leggere: chè spone, chi verte bene le scritture, latinamente scrivendole, che non fa il volgare in parte alcuna; oppure chè spone, a chi cerca bene, le scritture, chi latinamente scrivene ec. 11 Pederzini finalmente crede che la clausola acchiusa fra parentesi sia un tristo taccone interpolato nel testo da qualche amanuense, e vorrebbe eliminarla. Ma la lezione da me adottata, ch'è quella di tutte le stampe e di tutti i Codici, non escluso il Riccardiano 1044, senza contorcimenti nė mutilazioni, non abbisogna d'altro che d'essere intesa. F.

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questo avrebbe fatto il Latino, ma peccato avrebbe non1 pur nel difetto, e non pur nel soperchio, ma in ciascuno ; e cosi non sarebbe la sua obbedienza stata misurata, ma dismisurata, e per conseguente non sarebbe stata obbediente. Che non fosse stato lo Latino adempitore del comandamento del suo signore, e che ne fosse stato soverchiatore, leggermente si può mostrare. Questo signore, cioè queste Canzoni, alle quali questo Comento è per servo ordinato, comandano, e vogliono essere esposte a tutti coloro alli quali può venire si lo loro intelletto, che quando parlano elle sieno intese. E nessuno dubita, che s'elle comandassono a voce, che questo non fosse il loro comandamento. E lo Latino non l'avrebbe sposte se non a' litterati ; ché gli altri non l'avrebbono intese. Onde, conciossiacosachè molto siano più quelli che desiderano intendere quelle non litterati, che litterati, seguitasi che non avrebbe pieno lo suo comandamento, co

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volgata, e l'uomo obbediente alla giustizia comanda al peccatore, non dà senso. F.

I Codici Gadd. 3, 134, 135 primo, stanno con noi e colla Critica. I due Marciani ed il Biscioni leggono malamente: ma peccato avrebbono pur nel difetto. Avvertasi una piccola varietà di lezione de' Codici Gadd. qui allegati. Il 135 primo, ha: ma peccato avrebbe non pure nel difello o nel soperchio; il 3: ma peccato avrebbe non pure del difetto e non pure del soperchio. E. M.

Invece di adempitore, come leggono le prime edizioni, il Biscioni ei Codici leggono empitore. E. M.Ritorna, ma con altre parole, sulla proposizione che il latino avrebbe peccato nel difetto e nel soperchio. P.

3 Tutti i Codici e tutte le stampe hanno con manifesto errore non fosse invece di ne fosse, come richiede il contesto. Vedi il Saggio, pagina 42. E. M.

L'edizione del Biscioni, d'accordo coi Codici, legge disposte: noi ci

siamo attenuti alla miglior lezione dell' edizione principe e dell' altre antiche. E. M.

5 Spiego: Voglion essere esposte a tutti coloro, i quali hanno già tanta cognizione d'esse Canzoni, che quando parlano, elle possano esser intese d' un' intelligenza almeno estrinseca e materiale. P.

Il Codice secondo Marciano e tre Gaddiani, cioè il 134, il 135 secondo ed il 3, come pure le antiche edizioni, leggono voce: il che ne fa con buon diritto rifiutare l'idiotismo boce additato dal Biscioni. E avverti che Dante usa sempre voce nella Divina Commedia, E. M.

Cioè, perchè gli altri non letterati non le avrebbero col comento latino intese nè più nè meno. P.

8 Questo passo leggesi in tutti i testi al modo seguente: non avrebbono pieno lo suo comandamento, come il volgare ec.; ma dovendo il verbo avere concordare con latino singolare, apparisce netta la ragione della correzione avrebbe. Vedi il Saggio, pag. 110; e nota suo co

me il Volgare, da' litterati e da' non litterati inteso. 1 Anche lo Latino l'avrebbe sposte a gente d'altra lingua, siccome a Tedeschi e Inghilesi 2 e altri; e qui avrebbe passato il loro comandamento.3 Chè contro al loro volere, largo parlando, dico, sarebbe sposta la loro sentenzia colà dove elle non la potessono colla loro bellezza portare. E però sappia ciascuno, che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può della sua loquela in altra trasmutare sanza rompere tutta sua dolcezza e armonia. E questa è la ragione per che Omero non si mutò di greco in latino, come l' altre scritture che avemo da loro e questa è la ragione per che i versi del Psaltero sono sanza dolcezza di musica e d'armonia ; che essi furono trasmutati d'ebreo in greco, e di greco in latino, e nella prima trasmutazione tutta quella dolcezza venne meno. E cosi é conchiuso ciò che si promise nel principio del Capitolo dinanzi a questo immediato."

mandamento per loro comandamento. E. M.

'Intendi: Onde, conciossiachè quelli i quali hanno quell' intelligenza materiale delle canzoni ch'è detta di sopra, e i quali conseguentemente desiderano d'aver anche l'intelligenza intrinseca e formale, sieno un molto maggior numero, che non sono i letterati, seguita che il latino, esponendole ai soli letterati, non avrebbe pieno, cioè adempiuto, il comandamento delle canzoni, come il volgare, ch'è inteso da' letterati e da' non letterati. P. 2 Inglesi, la pr. ediz. E. M.

3 Il Biscioni legge questo passo così: e qui averebbe passato il loro comandamento, ch'è contro al loro volere; largo parlando dico, sarebbe essere sposta la loro sentenzia ec. E la cattiva lezione di quell' editore avea dato luogo alla emendazione da noi proposta nel Saggio, pag. 111; ma avendo dipoi fatto attenzione all'edizione principe, ci siamo accorti che essa ci somministrava una più naturale rettificazione del testo,

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e di buon grado l'abbiamo accettata. Non vuolsi però trascurare la lezione del Codice Gadd. 3, la quale in parte s'accorda con quella da noi immaginata; ed è la seguente: e qui averebbe passato il loro comandamento, ch'è contro al loro volere, largo parlando dico, sarebbe la loro senlenza stata esposila dove non la potessino con loro bellezza portare. E. M.

Addiettivo da Musa: vedi le Giunte veronesi al Vocabolario. È come se dicesse: nessun lavoro poetico. P.

5 Prima ha detto ragione, e qui deve ripetere lo stesso vocabolo. Così di fatto leggono i Codici Gadd. 135 secondo e 3. Quindi malamente il Biscioni legge in questo luogo cagione, quantunque sembrino andare con esso d'accordo i due Codici Marciani, ed i Gadd. 134 e 135 primo, non che le prime edizioni; poichè que' Codici e quelle stampe portano cagione tanto la prima che la seconda volta. E. M.

6 Alcune antiche edizioni leggono immediate, cioè immediatamente. F.

CAPITOLO VIII.

Quando é mostrato per le sufficienti ragioni come, per cessare disconvenevoli disordinamenti, converrebbe, alle nominate Canzoni aprire e mostrare, Comento volgare e non latino,2 mostrare intendo come ancora pronta liberalità 3 mi fece questo eleggere, e l'altro lasciare. Puotesi adunque la pronta liberalità in tre cose notare, le quali seguitano questo volgare, e lo latino non avrebbono seguitato. La prima è dare a molti ; la seconda è dare utili cose; la terza è, sanza essere domandato il dono, dare quello. Chè dare e giovare a uno è bene; ma dare e giovare a molti è pronto bene, in quanto prende simiglianza da' beneficii di Dio, ch'è universalissimo benefattore. E ancora dare a molti è impossibile sanza dare a uno; conciossiachè uno in molti sia inchiuso. Ma dare a uno si può bene sanza dare a molti: però chi giova a molti fa l'uno bene e l'altro, chi giova a uno fa pur l'un bene; onde vedemo li ponitori delle leggi mas

'Quando, cioè poichè. P.

2 Ordina: converrebbe comento volgare e non latino ad aprire e mostrare le nominate Canzoni. P.

3 La prontezza di liberalità (Vedi il principio del cap. V) è la seconda delle ragioni che mossero l' A. ad eleggere il volgare piuttosto che il latino. F.

Questo luogo nell' ediz. Biscioni giace così: la terza è sanza essere domandato. Il dono dare, quello, ch'è dare, e giovare ec.; e la lezione è inintelligibile. Nulladimeno tutti i Codici Gaddiani, tranne quello segnato 3, mancando del punto fermo dopo domandato, e portando che tutto unito, invece di ch'è, come legge il Biscioni, ci mettono in via per istabilire la buona lezione. E nota che anche il primo Codice Marciano, veduto dal Biscioni, ha che, quantunque vi si trovi il punto fer

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mo innanzi alle parole il dono. E. M.

5 Conciossiachè legge il Cod. R. Gli Edit. Mil. leggono acciocchè, che varrebbe, come fu notato talvolta altrove, perciocchè. F.

6 Cioè solamente. P.

La volgata lezione è l'imponitori. Nondimeno ne sembra di dover piuttosto abbracciare la variante li ponitori, che trovasi nel Codice Marc. secondo, nel Vat. Urb., ne' Gadd. 3, 134, 135 secondo, perocchè assai volte le leggi si pongono, vale a dire si creano, da coloro che non hanno la facoltà d' imporle, cioè di promulgarle, e di obbligare i popoli all' osservanza di esse. Cosi Triboniano pose le leggi, e Giustiniano le impose. E qui Dante non parla tanto determinatamente, che non si debba poter intendere in un modo e nell' altro: al che serve il vocabolo ponitori. E. M.

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