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famosi giudican essere tutta la poesia italiana un tessuto di ricercati concetti, di antitesi e di bizzarrie, appunto perchè tale hanno trovato lo stile di molti altri Poeti di questo secolo, da loro specialmente conosciuti. Strana maniera di giudicare!

SONETT O.

Ecco il monte, ecco il sasso, ecco lo speco, Che 'l Pescator, che già solea nel canto Girsen si presso al gran pastor di Manto, Presso ancor ne la tomba accoglie seco.

Or l'urna sacra adorna, e spargi meco, Craton, fior da la man, da gli occhi pianto; Chè del Tebro, e de l'Arno il pregio e'l vanto In quest' antro risplende oscuro e cieco.

Pon mente, come (ahi stelle avare e crude!)
Piange pietoso il mar, l' aura sospira,
Là dove il marmo avventuroso il chiude.

Fan nido i Cigni entro la dolce lira,
E intorno al cener muto, a l'ossa ignude
Stuol di meste Sirene ancor s' aggira.

SONETTO.

Dio, che de l'ampio in tre diviso impero
Il gran mondo de l'acque avesti in sorte,
Padre Nettuno, al cui scettro severo
Tutta ubbidisce la cerulea corte;

I' canterò del tuo tridente altero

Le glorie, e i pregi del tuo braccio forte Com' a una scossa sua nacque il destriero E di Troia per lui cadder le porte; Se la mia frale e combattuta barca Trarrai del golfo periglioso e infido, Mentr' oggi si crudel pelago varca. E se da scogli, e sirti a miglior nido Volta, e di ricche merci ornata e carca, Fia da la destra tua sospinta al lido.

SONETTO.

Lionzo qui, cui pari al dente, al corso
Non vide Arcadia o Sparta o Pelio o Cinto,
Giace: Lionzo il can, che spesso ha vinto
Col piede i lampi, i fulmini col morso.
Pugnò già con la Tigre, affrontò l' Orso,
Fu poi da fier Cinghiale a morte spinto;
Ma lasciò qui de l' uccisore estinto

E le zampe e le zanne e 'l ceffo e'l dorso. I compagni mastini, egri e smarriti,

E i mesti armenti, ognun par che l'onori
Di pietosi latrati, e di muggiti.

Voi, che perdeste il difensor, Pastori,
Incontro a i Lupi ingordi, a i ladri arditi,
Spargetelo di lagrime, e di fiori.

L'

SONETTO

aspra sampogna, il cui tenor, di cento Voci risuona, e cento fiati spira, Battendo a terra ebbro di sdegno e d'ira Polifemo, ond' al Ciel pose spavento; Poichè quest' empia, che l'altrui tormento

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Dice) lieta e ridente ascolta, e mira, Sol cara ha l'armonia di chi sospira, Nè gradisce altro suon, che'l mio lamento; Qui spezzata rimanti, e qui ti lagna

Dal mio lato disgiunta, e dal mio labbro, Cara de' miei dolor fida compagna.

Più non diss'egli, e'l monte arsiccio, e scabbro Rimbombó d'urli; e 'l lido, e

e la

campagna Tremonne, e l'antro del Tartareo Fabbro.

SONETT O.

Apre l'uomo infelice, allor che nasce
In questa vita di miserie piena,

Pria ch' al Sol, gli occhi al pianto, e nato Va prigionier fra le tenaci fasce. (a pena Fanciullo poi, che non più latte il pasce, Sotto rigida sferza i giorni mena;

Indi in età più ferma e più serena Tra fortuna ed amor more e rinasce. Quante poscia sostien tristo e mendico Fatiche, e morti infin, che curvo e lasso Appoggia a debil legno il fianco antico? Chiude al fin le sue spoglie angusto sasso Ratto così, che sospirando io dico:

Da la culla a la tomba è un breve passo.

SONETTO.

Vincitrice del Mondo, ahi! chi t' ha scossa
Dal seggio, ove Fortuna alto t'assise?
Chi del tuo gran cadavere divise

Per l'arena ha le membra, e sparse ha l'ossa? Non di Brenno il valor, non fu la

possa D'Annibal, che ti vinse, e che t'ancise; Nè che dar potess' altri, il Ciel permise Al tuo lacero tronco erbosa fossa. Per te stessa cadesti a terra spinta, E da te stessa sol battuta, e doma Giaci a te stessa in un tomba, ed estinta. E ben non convenia, che chi la chioma Di tante palme ornò, fosse poi vinta, Vincer non dovea Roma altri, che Roma.

GABRIELLO CHIABRERA

Nacque in Savona nel 1552. Rimasto pri vo del padre fu in età di nove anni inviato a Roma, ove attese agli studj finchè adulto contrasse amicizia con Paolo Manuzio, e col celebre Sperone Speroni. Passato al servigio del Cardinale Cornaro Camerlingo ebbe un incontro con un gentiluomo Romano, per cui fu costretto a ritirarsi da Roma. Era d' indole si vivace e risentita, che egli medesimo confessa, che in patria incontro senza sua colpa, brighe, e rimase ferito la sua mano fece le sue vendette, e molti mesi ebbe a stare in bando: quietossi poi ogni nimistà, ed ei si godette lungo riposo. In età di 50. anni prese

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a moglie Lelia Pavese, da cui non ebbe figli. Viaggiò per l'Italia, e fu a gara onorato dai più ragguardevoli Principi, e specialmente dal Papa Urbano VIII. Chiuse i suoi giorni in Savona nel 1637. Egli medesimo ci lasciò nella sua vita l'immagine del suo poetare, dicendo ch'egli seguia l'esempio di Cristoforo Colombo suo cittadino, ch' egli voleva trovar nuovo Mondo, o affogare. Egli difatti fu tra gl' Italiani il primo che più si avvicinasse alle grazie di Anacreonte, ed all' ardire di Pindaro. Nelle sue Canzoni introdusse una grande varietà di metri ad imitazione de' Greci, e de' Latini. Ma ne' traslati e nelle metafore egli cade talvolta ne' difetti del secolo; e le sue frasi non sono sempre le più leggiadre e scel te, nè sempre egualmente le meglio tessute. Il Chiabrera vuol essere nondimeno sommamente onorato, perchè seppe aprire in Italia una novella scuola.

CANZONE.

Se de l'indegno acquisto

Sorrise d' Oriente il popol crudo,
E'l buon gregge di Cristo

Giacque di speme e di valore ignudo,
Ecco, che pur l' empia superbia doma,
Rasserenan la fronte Italia, e Roma.
Se alzår gli empi Giganti

Un tempo al Ciel l'altere corna, al fine
Di folgori sonanti

Giacquer trofeo tra incendj, e tra ruine :
E cadde fulminata empia Babelle,
Allor che più vicin mirò le stelle.

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