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Sembrava al vasto regno

Termine angusto omai l' Istro, e l'arene; Novo Titano a sdegno

Già recarsi parea palme terrene ;

Posto in obblío, qual disdegnoso il Cielo
Serbi a l'alte vendette orribil telo.
Spiega di penna d'oro,

Melpomene cortese, ala veloce,
E 'n suon lieto e canoro

Per l'Italiche ville alza la voce;
Risvegli omai ne gli agghiacciati cori
Il nobil canto tuo guerrieri ardori.
Alza l'umido ciglio,

Alma Esperia, d' Eroi madre feconda
Di Cosmo armato il figlio,

Mira de l'Istro in su la gelid' onda,
Qual ne' regni de l'

acque

immenso scoglio Farsi scudo al furor del Tracio orgoglio.

Per rio successo avverso

In magnanimo cor virtù non langue;
Ma qual di sangue asperso

Doppia teste e furor terribil angue:
O qual de la gran madre il figlio altero,
Sorge cadendo ognor più invitto e fiero:
D' immortal fiamma ardente

Fucina è là su' luminosi campi,
Ch'alto sonar si sente

Con paventoso suon fra nubi e lampi,
Qualor di bassi regni aura v' ascende,
Di mortal fasto, e l'ire e i fochi accende.
Su l'incudi immortali

Tempran l' armi al gran Dio Steropi, e Bronti, Ivi gli accesi strali

Prende, e fulmina poi giganti, e monti;

Ivi ne l'ire ancor, nè certo in vano,
S'arma del mio Signor l' invitta mano.
Quinci per terra sparse

Vide Strigonia le superbe mura;
Quinci ei ne l'armi apparse

Qual funesto balen fra nube oscura, Ch'alluma il mondo, indi saetta, e solve Ogni pianta, ogni torre in fumo e'n polve. O qual ne' cori infidi

Sorse terror, quel fortunato giorno!
I paventosi stridi

Bisanzio udì, non pur le valli intorno;
E fin ne l'alta Reggia al suo gran nome
Del gran Tiranno inorridir le chiome.
Segui, a mortal spavento

Lunge non fu già mai ruina, e danno:
Io di nobil concento

Addolcirò de' bei sudor l'affanno ;

Io de la palma tua con le sacr' onde
Cultor canoro eternerò le fronde.

CANZONE.

Chi su per gioghi alpestri

Andrà spumante a trovar torrente,
Allor ch' ei mette in fuga aspro, fremente,
Gli abitator silvestri.

E depredando intorno

Va con orribil corno?

O chi nel gran furore

Moverà contra fier Leon sanguigno,
Salvo chi di diaspro, o di macigno
Ricinto avesse il core

E la fronte, e le piante
Di selce e di diamante?

Muse, soverchio ardito

Son io, se d'almi Eroi senza voi parlo;
Muse, chi l'onda sostener di Carlo
Poteva, e 'l fier ruggito

Quando l'Italia corse

Di se medesma in forse? Chi di tanta vittoria

Frenar potea cor giovinetto, altero ?
Chi? se non del bel Mincio il gran Guerriero,
Specchio eterno di gloria,

Asta di Marte, scoglio

Al barbarico orgoglio?

Non udi dunque in vano

Dal genitor la peregrina Manto,
Quando ei lingua disciolse a fedel canto
Sovra il Regno lontano,

E di dolce ventura

Fe' la sua via sicura.

Figlia, diss' egli, figlia

Del cui bel Sol volgo i miei giorni alteri;
Sol de l'anima mia, Sol de' pensieri,
Se non Sol de le ciglia;

Dolce udir nostra sorte

Pria, che 'l Ciel ne l' apporte.

Lunge da le mie braccia,

Lunge da Tebe te n' andrai molt' anni: Nè ti sia duol, che per sentier d'affanni Verace onor si traccia,

Per cui chi non sospira

Indarno al Cielo aspira.
Ma Nilo, e Gange il seno

Chiude a' tuoi lunghi errori, Alma diletta;
Sol le vestigia de' tuoi piedi aspetta
Italia, almo terreno,

Là 've serene l'onde

Vago il Mincio diffonde.
Là de' tuoi chiari pregi

Suono anderà sovra le stelle aurate;
Là di tuo nome appellerai Cittate,
Cittate alma di Regi,

Regi, ch' a' cenni loro
Girerà secol d'oro.

E se fulminea spada

Mai vibreran ne' cor superbi e rei,
Non fia, che'l vanto de gli Eroi Cadmei
A questi innanzi vada

Benchè Erimanto vide

Con sì grand' arco Alcide.

CANZON E.

Era tolto di fasce Ercole a pena,
Che pargoletto ignudo,

Entro il paterno scudo,

Il riponea la genitrice Alcmena;
E nella culla dura

Traea la notte oscura.

Quand' ecco serpi a funestargli il seno
Insidïosi e rei.

Cura mortal non sei,

Se pur sorgesse il gemino veneno;
Che ben si crede allora

Ch'alto valor s'onora.

Or non si tosto i mostri ebbe davante,

Che con la man di latte

Erto su i piè combatte,

Già fatto atleta il celebrato infante

Stretto per strani modi

Entro i viperei nodi.

Al fin le belve sibillanti e crude
Disanimate stende;

E così vien, che splende

Anco ne i primi tempi alma virtude,
E da lunge promette

Le glorie sue perfette.

Ma troppo fia, ch' io su la cetra segua
Del grande Alcide il vanto;

A lui rivolsi il canto

Per la bella sembianza, onde l'adegua
Nel suo girar de gli anni

Il Medici Giovanni.

Ei già tra' gioghi d'Appennín canuti
Vago di fier trastullo

Solea schernir fanciullo

Le crude piaghe de' cinghiali irsuti;
E più gli orsi silvestri.

Terror de' boschi alpestri.

Quinci sudando in più lodato orrore
Vesti ferrato usbergo.

Allor percosse il tergo

L'asta Tirrena al Belgico furore;
E di barbari gridi

Lunge sonaro i lidi.

Così leon, s' a la crudel nudrice

Non più suggendo il petto

Ha di provar diletto.

Fra gregge il dente e l' unghia scannatrice,

Tosto di sangue ha piene,

Le mauritane arene.

Ma come avvien, che s'Orïon si‹ gira,

Diluviosa stella,

Benchè mova procella,

Ella pur chiara di splendor s'ammira:

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