Ma dell' incendio acceso Del Cavalier, qualche reliquia ardente. Che di lontan fuggía, non senza affanno, Abbandono pur dianzi, Amor tiranno Per desío, per pietà si venía meno, Ben tosto incominciò del cor turbato L'amico Ubaldo a tranquillargl' i sensi : O progenie di Regi, Terror del Trace, a cui riserba il fato Tutti d'Asia i trofei, che fai? che pensi? Frena quei mal accensi Sospir che versi, e pria ch'acquisti forza, Amor è gentil fallo in cor guerriero, Somministra Virtute; ella il pensiero Non è minor fortezza Il rintuzzar di due begli occhi il lampo. Ch'il debellar di mille squadre un campo, Che val condur davanti Al carro trionfante in lunga schiera S' uşurpino del cor la reggia intera, Mal grado di ragione, affetti indegni ? Se soggetta non rendi a te tua voglia, Guerrier non sei, se non di nome e spoglia, Sovra il lucido argento De le porte superbe impresse Armida Fende il Leucadio seno, e non diffida In poppa, che di gemme e d'or riluce, L'adorata beltà seco conduce. Con l'armata Latina Cozzan del Nilo i coraggiosi abeti; Ch'atro mira di sangue il seno a Teți, E timida Compagna Antonio vola, Di traviati cor più vivo esempio Di quel, ch'a te l'idol tuo stesso espresse? Te chiama a liberar dal Tirann' empio La fe, la gloria, in vil magion sepolto Aspra, Rinaldo, alpestra E la via di virtù; da' Regni suoi Vezzi, scherzi e lascivie han bando eterno: Accoppia a forte destra Anima continente; e i prischi Eroi Ch' in privata tenzon col proprio affetto Alfonso, onor primier, divota Musa Ch' adulatrice man di trattar usa, De gli onor tuoi mia penna i fogli verga, D'ambrosie stille eternità gli asperga. Amor, cui chiama il Mondo Arciero onnipotente, in sua faretra Il lascivo tesor? qual sen non spetra Il tessalico Olimpo, indarno a' piedi I tuoni di beltà fremer ti vedi. Cinto d'aureo diadema in real chiostro So, che de l'ozio è figlia, E che nudrita in fra le gemme e l'ostro, Come mai fermò i passi La pudicizia in Corte e chi poteo Erger tra il lusso a la virtù trofeo? Da te quest' opre ammira Stupido il Mondo, e perchè in loro io viva Ben su l'eburnea lira, Ch' a l'Aufid' ora, ed or a Dirce in riva Glorie direi; ma sol quest' una i' sceglio, CANZONE. Poco spazio di terra Lascian omai l'ambiziose moli A le rustiche marre, a i curvi aratri; Del Ciel si voglia a gli stellati poli, Fin su le soglie de le morte genti Odorati sostegni a i tetti d' oro, Si consuman d'Arabia i boschi interi; Le ligustiche vene, e i sassi loro Men belli son, perchè non son stranieri : Fama han le più rimote Rupi colà de l'Africa diserta, Perchè lode maggiore il prezzo merta. Splendon le mura sì, che vergognarsi Di sardoniche pietre ora son sparsi Son mendiche ricchezze, e vili onori; Cedon gli olmi, e le viti A l'edra, a i lauri, e fan selvagge frondi Son gli ombrosi cipressi, e gl' infecondi Trapiantansi i ginepri ispidi il crine; Biondeggiava la messe, or tutto è pieno Si fa nuovo deserto, e il prato ameno E del moderno Ciel tal è l'influsso, Non son, non son già queste Di Romolo le leggi; e non fur tali, O de l'alma Città Numi immortali, Qual si dovea, d'oro e di gemme i templi; Ma di vil canna inteste Le case furo, onde con chiome incolte I Consoli di Roma uscir più volte. O quanto più contento Vive lo Scita, a cui natío costume Van col fecondo armento, Ove più fresca è l'erba, e chiaro il fiume |