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Non puote, o il nobil canto :
Pur ei la segue, e intanto,
Com'onda incalza l'onda,
Di Dafne il piè seconda.
E già movea la voce,
È supplici parole,

Per lei tardar, spargea:
Ma volge ella veloce
Suo corso, e par che vole
In ver la spiaggia Achea,
Al fiume onde pendea
L'origine, e in lui fisse
Gli occhi piangenti, e disse:
Di castitate il dono

Diellomi il Cielo amico:
Lui custodir degg' io.
Perchè selce non sono,
O pianta in colle aprico,
O Ninfa ascosa in rio?
Un tempo anche si udío,
Ch' altri converso in fonte,
Altri errò belva al monte.
Disse: ed oh maraviglia!
Il delicato viso

Perde l'usata forma;
E le tremule ciglia,
E là dove esce il riso,
Rigida scorza informa:
Del piè fugace l'orma
Quivi si ferma, e manca
La voce afflitta e stanca.
Tenera fronde i crini,
E son braccia ramose
Le di lei braccia al Cielo;
Del petto a' bei confini

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Ombrose ed amorose
Fan verdi foglie un velo.
Passa ad Apollo un gelo,
Ma l'auree tempie intorno
Va di tai frondi adorno.

CANZONE.

O voi, che Amor schernite,
Donzelle, udite, udite

Quel che l'altr' ieri avvenne.
Amor cinto di penne
Fu fatto prigioniere

Da belle Donne altiere,
Che con dure ritorté

Le braccia al tergo attorte
A quel meschin legaro.
Aimè, qual pianto amaro
Scendea dal volto al petto
Di fino avorio schietto!
In ripensando io tremo
Come dal duolo estremo
Ei fosse vinto e preso;
Perchè vilmente offeso
Ad or ad or tra via
Il cattivel languía.
E quelle micidiali

Gli spennacchiavan l'ali;
E del crin, che splendea
Com' oro, e che scendea
Sovra le spalle ignude,
Quelle superbe e crude
Faceano oltraggio indegno.
Al fin colme di sdegno
A un'elce, che sorgea,

E ramose stendea

Le dure braccia al Cielo, Ivi senza alcun velo L'affisero repente, E vel lasciar pendente. Chi non saria d'orrore Morto, in vedere Amore, Amore alma del mondo Amor, che fa giocondo Il Ciel, la terra e 'l mare, Languire in pene amare?

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Ma sua virtù infinita
A la cadente vita
Accorse e i lacci sciolse,
E ratto indi si tolse.
Poscia contro costoro

Armò due dardi: un d'oro,
E l'altro era impiombato.
Con quello il manco lato
(Arti ascose ed ultrici)
Pungeva a le infelici

Acciò che amasser sempre.
Ma con diverse tempre
Pungea 'l core a gli amanti,
Acciò che per l'avanti
Per si diverse tempre
Essi le odiasser sempre.
Or voi, che Amor schernite,
Belle fanciulle udite:
Ei con le sue saette

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pronto a le vendette.

CANZON E.,

Belle figlie d'Anfitrite,
Ninfe udite :

Io m'accingo ad onorarvi;
E coll' arco della cetra
Fino all' etra

Io m'accingo ad esaltarvi.
Voi guidate allegri balli
Sui cristalli

Del ceruleo sentiero ;
E Nettuno umido algoso
Procelloso

Vi dà parte entro il suo regno. Io dirò, che Glauco anch' egli, Dai capegli,

E da un guardo resta vinto;
E dirò, che il suo gran foco
Molto o poco

Da tant' onda non è estinto.
Ma se mai d'acqua una stilla
Si distilla

Sulla manna Semelea;

E se mai temprar voleste
Lievi e preste

La bevanda Tionea;

Belle Figlie d'Anfitrite,
Ninfe udite

Io m'accingo a biasimarvi
E coll' arco della cetra
Sino all' etra

Io m'accingo a saettarvi.
Vi dirò non Dee del mare,
D' onde chiare

Non dirovvi albergatrici :
Ma bensì furie novelle,
E sorelle

Delle Dee empie ed ultrici.
Dunque un patto fia tra noi,

Che con voi

Si stia l'onda cristallina
E per me fumoso e pretto,
Puro e schietto

Sol sia il fonte di cantina.

VINCENZO DA FILICAJA

Nacque in Firenze nel 1642. dal Senator Braccio, e di Caterina Spini. Fino da' primi anni diè prove di un raro talento, di un' insaziabile avidità di studiare, e insieme di una fervente pietà, che accompagnollo in tutto il decorso della sua vita. Ebbe a moglie Anna Capponi. L'Imperador Leopoldo, il Re di Polonia, ed il Duca di Lorena lo colmarono di onori. La Regina di Svezia lo ascrisse alla sua Accademia, e volle incaricarsi di mantenerne i figli, come fossero suoi. Dal gran Duca fu onorato della carica di Senatore, e di altre cospicue dignità. Modesto nel suo carattere a segno che non ardiva di mostrare le sue poesie che ad alcuni pochi amici, perchè ne facessero la più severa censura, caro a Dio ugual mente che agli uomini chiuse i suoi giorni nel 1707. Ne' suoi poetici componimenti è sublime vivace, energico e maestoso. Fu uno de' pochi che in questo secolo si serbarono intatti dal comune contagio.

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