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Deh rinovella or tu l'antico scempio:
Non è di lor men empio

Quei, che servaggio or ne minaccia e morte;
Ne men fidi siam noi, nè tu men forte.
Che s'egli è pur destino,

E ne' volumi eterni ha scritto il Fato,
Che deggia un dì a l' Eusino

Servir l'Ibera, e l'Alemanna Teti,
E'l suol, cui parte l'Appennin gelato;
A' tuoi santi decreti

Pien di timore e d'umiltà m'inchino.
Vinca, se così vuoi,

Vinca lo Scita, e 'l glorioso sangue
Versi l'Europa esangue

Da ben mille ferite. I voler tuoi
Legge son ferma a noi;

Tu sol se' buono e giusto, e giusta e buona Quell' opra è sol, che al tuo voler consuona. Ma sarà mai, ch'io veggia

Fender barbaro aratro a l'Austria il seno, E pascolar la greggia,

Ove or sorgon Cittadi, e senza tema

Starsi gli Arabi armenti in riva al Reno?
Ne la ruina estrema

Fia, che de l' Istro la famosa Reggia
D'ostile incendio avvampi,

E dove siede or Vienna, abiti l'eco
In solitario speco,

Le cui deserte arene orma non stampi?

Ah no, Signor, tropp' ampi

Son di tua grazia i fonti; e tal flagello
Se in Cielo è scritto, a tua pietà m'appello.
Ecco d' inni divoti

Risonar gli alti Templi: ecco soave
Tra le preghiere e i voti

Salire a te d'arabi fumi un nembo.

Già i tesor sacri, ond'ei sol tien la chiave,
Da l'adorato grembo

Versa il grande Innocenzio, e i non mai voti
Erarj apre e comparte;

Già i cristiani Regnanti a la gran lega

Non pur commove e piega,

Ma in un raccoglie le milizie sparte

Del teutonico Marte;

E se tremendo e fier più, che mai fosse,
Scende il fulmin Polono, ei fu, che'l mosse.

Ei da l'Esquilio colle

Ambo in ruina de l'orribil Geta,

Mosè novello, estolle

A te le braccia, che da un lato regge
Speme e fede da l' altro. Or chi ti vieta
Il ritrattar tua legge

E spegner l'ira, che nel sen ti bolle ?
Pianse, e pregò l'afflitto

Buon Re di Giuda, e gli crescesti etate:
Lagrime d'umiltate

Ninive sparse; e si cangiò 'l prescritto
Fatale infausto editto.

Ed esser può, che 'l tuo Pastor divoto
Non ti sforzi, pregando, a cangiar voto?
Ma sento, o sentir parme

Sacro furor, che di se m' empie. Udite,
Udite,
o voi, che l'arme

Per Dio cingete: Al tribunal di Cristo
Già decisa in pro vostro è la gran lite.
Al glorioso acquisto

Su su pronti movete: in lieto carme
Tra voi canta ogni tromba,

E'l trionfo predice. Ite, abbattete,

Dissipate, struggete

Raccolta di Lirici.

12

Quegli empi, e l' Istro al vinto stuol sia tomba,
D'alti applausi rimbomba

La terra omai: che più tardate? aperta
E già la strada, e la vittoria è certa.

CANZONE.

Le corde d'oro elette

Su su, Musa, percuoti, e al trionfante
Gran Dio de le vendette

Compon d' inni festosi aurea ghirlanda,
Chi è, che a lui di contrastar si vante,
A lui, che in guerra manda

Tuoni e tremuoti e turbini e saette?
Ei fu, che 'l Tracio stuolo

Ruppe, atterrò, disperse; e il rimirarlo,
Struggerlo e dissiparlo,

E farne polve, e pareggiarlo al suolo
Fu un punto, un punto solo.

Ch' ei può tutto; e città scinta di mura
È chi fede ha in se stesso, e Dio non cura,

Si crederon quegli empj

Con ruinoso turbine di guerra

Abbatter torri e tempi,

E sver da sua radice il sacro Impero.
Empier pensaron di trofei la terra,

Ed oscurar credero

Con più illustri memorie i vecchi esempj. E disser l'Austria doma,

Domerem poi l'ampia Germania; e a l'Ebro
Fatto vassallo il Tebro,

A Turco ceppo il piè, rasa la chioma,
Porgerà Italia e Roma.

Qual Dio, qual Dio de le nostr'armi a l'onda
Fia, che d''oppor si vanti argine, o sponda?

Ma i temerarj accenti,

Qual tenue fumo, alzaronsi e svaniro,
E ne fêr preda i venti.

Chè sebben di Val d' Ebro attrasse Marte
Vapor, che si fêr nuvoli, e s'apriro,
E piovver d'ogni parte

Aspra tempesta su l'Austriache genti;
Perir la tua diletta

Greggia, Signor, non tu però lasciasti,
E a l'empietà mostrasti,

Che arriva, e fere allor, che men s'aspetta
Giustissima vendetta.

Il sanno i fiumi, che sanguigni vanno, E'l san le fiere, e le campagne il sanno. Qual corse giel per l'ossa

A l'arabo Profeta, e al sozzo Anubi;
Quando l'ampia tua possa

Tutte fe' scender le sue furie ultrici
Su le penne de i venti, e su le nubi!
L'orgogliose cervici

Chino Bizanzio, e tremò Pelio ed Ossa;
E le squadre rubelle,

Al Ciel rivolta la superba fronte,

Videro starsi a fronte

Coll' arco teso i nembi e le procelle,

E guerreggiar le stelle

Di quell' acciar vestite, onde s'armaro
Quel dì, che contro a i Cananei

Tremar l'insegne allora,

pugnaro,

Tremar gli scudi, e palpitar le spade
Al Popol de l'Aurora

egro talvolta

Vidi; e qual di salir l'
Sognando agogna, e nel salir
Tal ei senti a se tolta
Ogni forza, ogni lena; e in

giù cade;

poco d'ora

Sbaragliato e disfatte

Feo di se monti, e riempieo le valli
D' uomini e di cavalli

Svenati, o morti, o di morire in atto.
Del memorabil fatto

Chi la gloria s' arroga? Io già nol taccio; Nostre fur l'armi, e tuo, Signor, fu 'l braccio, A te dunque de' Traci

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Debellator possente, a te, che in una
Vista distruggi e sfaci

La barbarica possa, e al cui decreto
Serve suddito il fato e la fortuna,

In trionfo si lieto

Alzo la voce, e i secoli fugaci

A darti lode invito.

Saggio, e forte sei tu. Pugna il robusta
Tuo braccio a pro del giusto;

Nè indifesa umiltà, nè folle ardito
Furor lascia impunito.

Milita sempre al fianco tuo la gloria,
E al tuo soldo arrolata è la vittoria.
Là dove l'Istro bee

Barbaro sangue, e dove alzò poc' anzi
Turca empietà moschee,

cui piacque

Ergonsi a te delubri; a te,
Salvar di nostra eredità gli avanzi
Fan plauso i venti e l'acque,

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E dicono in lor lingua: a Dio si dee
Degli assalti repressi

Il memorando sforzo, a Dio la cura
De l'assediate mura.

Rispondon gli antri, e ti fan plauso anch'essi,
Veggio i macigni istessi

Pianger di gioja, e gli alti scogli e i monti A te inchinar l' ossequiose fronti,

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