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Quanto pensa e quant' opra e quanto intende,
Vidi un dì dal gran fondo, in ch'io mi giacqui,
Trarmi a riva. Il suo spirto indi mi porse,
E spera, disse. Il tuo destin son io,
Qual chiuso fior, s' aprio

Al dolce caldo di quei detti, e corse
L'alma de i labbri al varco; ond'io non tacqui
E dissi: oh da ch'io nacqui

Sfortunata felice, in cui di

paro

Tutte lor forze ambo le sorti usaro!
Da indi in qua del poco men, che spento
Ingegno mio le moribonde faci,
Coll' ingegno di lei desto e ravvivo;
E di pensier felicemente audaci

A lei dall' arco del mio plettro avvento
Dardi ben mille, e di lei canto e scrivo.
Chè come al forte scintillar di vivo
Raggio vestite di color le cose,

All' erbe il verde torna, e tornar suole
Il bruno alle vïole,

A i ligustri 'l candor, l'ostro alle rose;
Così del regio sguardo in me l'acume
Si vivo e forte balenò, che quanti
Color vari adunai d'eccelse doti
Ne i secoli remoti,

A me tornaro. Onde gli antichi vanti
A far più illustri, con più altere piume
M' alzo di lume in lume,

E la grand'Alma in vagheggiar, novella
Virtude acquisto, e fommi ognor più bella.
Nè di Giunon la messaggiera in tante
Guise si varia, di quant' io diversi
Lumi d'alte dottrine ognor mi fregio,
E or l'una, or l'altra infondo entro i miei versi

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Sotto splendido velo, e in un sembiante,
Che asconde, e mostra del suo bello il pregio.
Nè questa già più di quell' altra io pregio;
Chè qual mai sempre indifferente ed atta
La materia or di quelle, ed or di queste
Forme si adorna e veste,

Ed a ciascuna in modo egual si adatta;
Tal di lattea facondia ora m' aspergo,
Or vibro al falso acuti strali, ed ora
Il ver fuggente afferro; or delle cose
L'alte cagioni ascose

Spiego; e se un raggio di lassù talora
M'appar, si alto mi sollevo ed ergo,
Che tutta in Dio m' immergo.

Si m'insegna costei, costei, ch'è vera
Di se Reina, e senza regno impera.

Ma oh come impera, e quanto! Han da lei sola
Spirto gli studj, e sol da lei s'infonde

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Vita e luce a gl' ingegni, e polso e lena.
Ond' ella in me tanto del suo trasfonde
Che vive e spira, e sol risuona e vola
Per lei 'l mio nome. Oh qual per lei serena
Pioggia di carmi con faconda piena

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L'Aonie sponde allaga! oh quali e quanti Da lei trascelti a saettar l'obblío

L'arco scoccar vegg' io

Sacri di Pindo arcier mai non erranti !
Si avvien, che ad onta dell' età rinnove
Col suo spirto se stessa, e all'etra poggi.
Ne più vive Cristina, ov' ella spira,
Che dove all'alme inspira

Valor, che a farsi eterno in lei s' appoggi,
Dove più fervon le bell' opre, e dove
Fia che virtù si trove,

Dove in pregio è 'l saper, dove s'affina
Ognor l'arte coll' arte, ivi è Cristina.
Ella del grave suo dolce costume
Vestemi, e vuol, che maestate io spiri,
E negli atti e nel volto aria le renda;;
Nè vuol, che tra i poetici deliri
Fiato m' infetti di lascivia, e fume
Vapor, che saglia, e in folgore tremenda
Converso, i cuor men casti arda ed incenda.
Il sai tu, figlio, più de gli occhi miei
Figlio diletto, alla cui sete i tersi
Fonti di Pindo apersi.

Tu, che torbido umore unqua non bei,
Ne stilla impura di profano inchiostro
Versasti mai: tu, nel cui stil rimbomba
Il valor vero, e che con vere laudi
Alle grand' alme applaudi:

Tu lascia il Plettro, e in suon più che di tromba
Costei prendi a cantar del secol nostro
Grande ammirabil mostro.

E

appena

Pregi ella in te quel, che da lei deriva, E 'I tuo difetto alle sue glorie ascriva. Solcasti, è ver, con fortunate antenne L'acque di sue gran laudi, e sull' arena Sciogliesti 'l voto, e ne gioir le rive, i venti lo credero, e appena Il credè l'onda. Ma chi fia, che impenne L'ali a varcar tant' altri mari, e arrive Dell' acque al termin d'ogni termin prive ? Quanto, oh quanto più ampio, e d'ampie ignote Glorie ignoto Oceâno in quella, e in questa Parte a solcar ti resta!

Se potrà la mia stella (e che non puote?) Quel mar, che mai non vide arbori e sarte,

Scoprirti; oh come attonite le sponde

Gir vedran le tue vele al gran cimento,
E al nobile ardimento

Strade insolite aprir le vergini onde!
Sciogli dunque dal lito; a parte a parte
Quanto hai d'ingegno ed arte

Qui mostra, impiega qui, qui tutto adopra; Fia l' opra istessa il guiderdon dell' opra. Si disse; è un verde alle mie chiome intorno Giovane lauro avvolse. Allor disparve Con essa il sonno, e apparve

Di maggior luce adorno,

Sulle pendici d' Oriente il giorno.

CANZON E.

Padre del Ciel, che il gemino emisfero
In un girar di sguardo

Scuopri, e nel fondo d'ogni cuor penètri:
Pria, che a te scocchi dal mio petto il dardo
Di questi bassi metri,

Volgomi a te, che sei del mio pensiero
Segno, saetta e arciero.

Tu nuovo ardor mi spira, e tu la mano
Porgimi all'opra; ch'io di te dir cose
Voglio a tutt'altri ascose,

E un si geloso arcano

Far palese alla fama; onde non roco

Ne corra il grido, e manchi al grido il loco. Se uman priego, Signor, su in cielo arriva, Soffri, ch' io parli, e poi

Di questa fragil tela il fil recidi.

Sappia ogni alpe, ogni valle i favor tuoi;
Gli sappian l'onda e i lidi,

E ne favelli ogni Eco, e in ogni riva
L'alto tuo don si scriva.

Se da ignobil non trasse arida vena
Sensi e voci il mio stil: se le mie rime
Spirto animò sublime,

E diè lor polso e lena;

Tuo fu lo spirto. Or sarà mai, ch'io prenda Per me l'onore, e a chi me'l diè non renda ? Grandi e varie di Marte opre cantai,

Ed ebbi ardir, cantando,

D'agguagliar col mio canto il suon dell'armi.
Cantai dell'Asia e dell'Europa il brando
Di sangue asperso, e i carmi

Or di vendetta, or di pietade armai.
Pari, o simíl non mai

Per poetica impresa estro mi punse.
Me udiron l'alpi; e tra i marini orgogli
Me de' più sordi scogli

L'orecchie udiro; e giunse

Un suono a me di menzognera lode,
Suon, che passa qual vento, e più non s'ode.
Ma chi diè voce a i carmi? onde uscì'l suono?
E come far poteo

Uom si rozzo e inesperto opra cotanta?
Tu, cui tromba la terra, e'l mar si feo:
Tu, le cui glorie canta

L'armonia d'ogni sfera, e di cui sono
Voce i tremuoti e 'l tuono :

Tu donasti a me spirto e lingua e stile.
Così da minutissima scintilla

Gran fiamma esce e sfavilla.

Così vapor sottile

Poggiando in alto ivi s' accende, e fassi Folgore, e par che 'l mondo urti è fracassi.

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