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E come il Cielo a la gran corte vede
Di Giove intorno al luminoso trono
Vegliare il lampo e il tuono

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Così del Lazio intorno all' aurea sede
Fermi l'eterno piede

Schiera de' carmi miei, guardia celeste.
Chi mai potè per le dircee foreste
Scemar le penne a' miei destrieri alati ?
Io del tempo e de' fati

Sento gli sdegni e i danni

Ma son signori i versi miei de gli anni. Roma, su i sette colli or lieta senti Giugner di Febo i glorïosi modi

E de le belle lodi

Risonarti d'intorno i primi accenti.
E so ben, che consenti

Ne' tuoi gran genj, alma Città di Marte,
Che dell' eterno suono illustre parte
Di Partenope ai lidi anco discenda.
Ed è ragion, che splenda

Di gloria alta mercede

Intorno a lei, che il trono tuo provvede. Non da i felici Augusti, o da le belle Venture tue di si gran fama piene,

Tanta luce ti viene,

Come da un figlio suo

Portò voglie novelle,

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E virtù nove anco a te stessa ignote.
Rammenta pur le trionfali rote,

I tanti tuoi, che s' appressaro ai Numi,

Per invitti costumi ;

Chè tal sembianza in vano

Cercasi in grembo a lo splendor romano. Ardea su l'alma ai chiari Duci tuoi

Sdegno regale, e bellicoso ardire,

Raccolta di Lirici.

16

E quel fatal desire

Di sempre incatenar regni ed eroi;
E così i figli suoi

Vide del tuo Signor la stirpe altera
Tanto infiammarsi a la stagion guerriera :
Ed ebbe sempre o il forte Scipio a lato,
O il buon Fabrizio armato;

Ne in van dielle il destino

I nomi grandi del valor latino,
Tracia sel sa, ch'oltre all' anguste foci
Pallida e fuggitiva in Asia corse;
Quando sopra si scorse

Con la grand' ira i cavalier feroci,
Oh qual orride voci

Mando Bizanzio! a lui tremò la mente,
Ma d'ampio grido armata anco è presente
Fama d'altre battaglie, d'altri pregi,
E in tanti fatti egregi

Il buon sangue risplende,

Che con la gloria dei gran Re contende. Mirabil vista, di Nerèo su l'onde

Degli Ettori mirar l'inclite navi

D'immense palme gravi

Gir del Sebeto a rallegrar le sponde!
Ridean le vie profonde

Tutte tranquille de' marini regni :

Sorgean d'intorno ai generosi legni

Del mar le Ninfe inghirlandate, e i suoni Spargean lieti i Tritoni

E presso ai pini alteri

Godea frenar Nettuno i gran destrieri. Ma de gli avi guerrier le vie non tenne Il magnanimo Eroe, che noi cantiamo. Se ben di Marte è ramo,

Egli per altro mar spiegò l'antenne;

Ei domator divenne
Entro il suo cor de la virtù feroce,
Chè il giovanil desio sorgea veloce
A chieder l'aste, e i sanguinosi allori.
I militari ardori

Vincere a lui fu dato,

E in ciò lottò l'alma real col fato.

Arti illustri di pace, ed auree cure,
E celesti pensier gli erano intorno
Sul memorabil giorno

Con le belle d' onor sacre venture,
E queste poi d'oscure

Nubi talora si velaro il volto;

Ma se l'onor de le corone è tolto
A una chiara virtute, altra ne sorge,
Che soccorso le porge,

E provida e possente

Vince i consigli a la fortuna in mente. Ben sofferenza a debellar s'accinse

Gli aspri pensier de la turbata sorte,
Quando tacita e forte

Al nobil cor del saggio Eroe s'avvinse,
Ed i fati costrinse

A

porre i freni a le stagion nemiche, E a far corona all' immortal fatiche Con l'ampia gloria del felice impero, Che sovra il Mondo intero

Dal Vatican discende,

E sua ragione anco su gli astri estende. Non rammentava a le fortune avverse L'anima eccelsa i faticosi lustri,

Che di sudori illustri

Entro le reggie de' Monarchi asperse :
Ma tutta si converse

Dentro l'interno di sua chiara luce,

Ove d'opra maggior fattasi duce
L'idee raccolse, e nel pensier compose
L'ordine de le cose

Con arti e leggi noye

Qual si formava entro il desio di Giove.
Tanta celeste mole allor che scorse
Sorgere a pro de' miseri mortali,
Il Fato spiegò l'ali,

E per doppia cagion a lui sen corse,
E di sua man gli porse

L'alto diadema in fronte, ed or discerne
Lui, che rivolto alle bell' opre eterne
In riva al Tebro il gran disegno espone,
Oh felice stagione!

Non mai l'aurate porte

Possegga de' tuoi di l'ombra di morte,

CANZONE.

Muse voi, che recaste i grandi auguri
Fuor del sacro de' fati orror celeste
E far tesoro in Vatican poteste
Di si belle speranze a i dì futuri;
Or che l'alte promesse

Del talento di Dio tutte son piene,
E l'impero di lui s'è posto in mano
Dell'adorato Albano

Che l'immortal sembianza alto sostiene;
Oda il fiume romano

La superna armonia, che un tempo intese
Per bocca de' suoi Cigni il bel Giordano
E la dolce degl' inni aurea famiglia,
Quasi d' eterni fior pioggia divina,
Discenda in grembo alla Città latina,

Non voi per entro le castalie selve
Guidate il suon di favolose cetre,
Ma su nel Ciel lungo i beati fonti
L'ordine de le sfere in man reggete;
E inspira i vostri accenti

L'aura di Lui, che si compose il trono
E fe' ministri suoi le nubi e i venti;
Innanzi a cui l'Eternità si vede
Star sovra immobil piede:

Del cui gran regno in su l'eterea mole Sogliono ragionar l'Aurora e il Sole. Voi pur nel seno al formidabil lume De' suoi consigli, onde ha principio il fato, Scorgete il vero, e custodir v'è dato In petto lo splendor de' suoi pensieri, Che poi sul labbro a i vostri figli eroi Versar potete a illuminar gl' imperi. E così vide il Nilo, e dentro i suoi Regni vide l'Eufrate

Favellare a i gran troni, e in mezzo all'armi,
Come nunzj di Dio, le cetre e i carmi.
Così poc' anzi all' immortal Cristina

Feste del gran presagio illustre dono,
Che, qualunque io mi sia, cantai sul Tebro;
E Roma allor da tutti i sette colli

Alzò sua speme, e rallegrò gli affanni
De gli antichi suoi danni,

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Ed il gran di de le future cose

In mente si ripose:

La santa allor Religion converse
Ambo le luci in Cielo

Di lieto pianto asperse;

E, se non mente il vero,

Una candida luce i templi cinse,
E un bel raggio si spinse

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