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E ben sa Roma, che l'onor primiero
Di nostre Muse è lo splendor del vero.

CANZON E.

Qualor di Pindo le Reine accolgo,
Il fortunato mio lieto soggiorno

S'empie di luce intorno,

Che splende ai saggi, e si fa nebbia al volgo :
Han seco l'alme Dive il suono eterno
Dell'ammirabil cetra, onde la mano

Del gran Cantor tebano
Per l'olimpico corso
Reggeva i nobil versi,
E in fronte ai vincitori
Rallegrava i sudori

Di bella polve aspersi.
Quando i soavi modi

Il vicin bosco udiva,

Giù dall' adunche nari a Pan solea
Cader la rigid' ira,

E lungo Dirce si vedeano a schiere
Venir le forti insieme,

E le timide fere.

Non era in lor balía l'esser nemiche,
Però che il lor talento

Era tutto in poter dell'aureo suono,
E verso il gran concento

Pur con le loro abitatrici belve

Da gli alti gioghi si partian le selve.
Si nobil cetra le canore figlie

Di Giove inuanzi mi recâr sovente,
Ed esse fur, che mi guidar le dita
Fra gli almi suoni, e m'infiammar la mente:
Quindi s'io tempro le felici corde,

L'anima scorre entro furor celeste.
Ed a nuovi pensieri in cima siede :
Per gli eterni sentieri ascende e riede
Colina sempre di voglie altere e grandi;
Ne più ragiono in pastorali accenti
A le romane genti:

Escon dal petto mio splendori e lampi,
Ed allor ne' miei campi

Veggio il fonte immortale,

Che su l'anima mia versa e diffonde
Lo spirto degli Dei

In compagnia dell'onde.

Allor da Febo a'miei pensieri è dato
Degl' inni disserrar le sacre porte,
E moli alzar di generosi carmi
Contra il poter de la seconda morte.
La mente chiusa dentro i raggi suoi
Passeggia sovra lo splendor de' Regi,
E degna solo di mirar qualch' alma
Che di vero valor s'infiammi e fregi.
Angusto spazio l'Oceán le sembra,
Picciol sentier quel, che disgiunge i poli,
Onde su per le stelle ergendo i voli,
Gode varcar tutti i trofei d'Alcide;
E sul mirare il lor feroce aspetto
Prende vigore e lampi, onde s' adorni
Per cantar poi dell' armi

I sanguinosi giorni.

Spesso s' immerge dentro l'aurea luce
De' tindaridi Regi, eroiche stelle,
E se incontra già mai sembianze irate
Per le spiagge divine,

Ver lor s' avventa, e di sua man divelle
Al folgor l'ali, a la cometa il crine:
Per entro la Corona

1

Si rivolge sovente
De la bella Arïanna,
Onde l'alta Reina

Ne' gelosi pensier talor s' affanna.
Teme, nè forse in vano,

Che l'animosa mente,

Sdeguando di Castalia i sacri allori,
Voglia fermarsi in seno

Al gran cerchio lucente,

E recar novo nome ai bei splendori:
Ma da un turbine tratta

Spesso è la mente mia dentro una nube,
Nel cui seno profondo

Siede tra Fati e Numi

L'alta cura del Mondo.

Vede il Concilio eterno, e allor che sente
I primi lampi del parlar di Giove,
Lieta s'agita e move.

Ella si crede, o sia lusinga o vero,
Che con gli accenti suoi

Da' sommi Numi si ragioni in Cielo.
Ma perchè le mortali

Spoglie non ponno al fine

Sostener le fortune alte e divine,
E quest' anima cinta

Da' suoi nodi fatali

Gran parte tien di sua possanza avvinta,

Nè può sempre spiegar libere l'ali

Presso i voli immortali;

Per questo avvien, che spente
Talor mi veggia, o glorïose Muse,
Le vostre fiamme in mente,

E mi senta spogliar del vostro lume.
Comprendo allor vostro celeste dono,
E veggio allor, ch'io sono

In man del fermo universal destino,
Onde ritorno all' ombra

Col mio povero gregge,
E sol quest' alma ingombra
La beltà di due Ninfe,

Che il rio volgo sinor non ha vedute,
E degnano sovente

Ne la capanna mia di porre il piede:
Queste, che intorno al cor mi son venute,
Son figlie degli Dei, Gloria e Virtute.

ALESSANDRO MARCHETTI ·

Nacque nel 1632, in Pontormo, castello celebre nel territorio fiorentino. Studiò nell' università di Pisa, dove agli studj poetici congiunse i filosofici, e i matematici sotto la direzione del famoso Borelli. Promosso quindi alla cattedra della Filosofia giovò non poco a sbandire da quelle scuole gli avanzi della bar. barie peripatetica. Grandi, ma inutili contese ebbe a sostenere col Viviani, e col P. Grandi. Fin dalla sua giovanile età avea tradotto in ottava rima i primi quattro libri dell' Eneide, di cui vi sono alcuni frammenti nel t. 21. del Giornale de' Letterati d'Italia. Egli dee però la sua fama specialmente alla traduzione di Lucrezio, contro della quale indarno scrisse il Lazzarini una severissima censura. Tradusse ancora, ma con esito meno felice, Anacreonte. Mori in Pontormo nel 1714. Mons. Fabbroni ne scrisse la vita.

SONETTO.

Non risplende così Venere in cielo,
Quando rimena a noi l'alba novella,
Non quando cade senza nube o velo
Ne l'atlantico mar ridente e bella.
Nè tal fiammeggia il biondo Dio di Delo
Qualor cinto di fulgide quadrella
Fere la terra, e ne discioglie il gelo,
Rotando il carro in questa parte e in quella;
Come i vostri sereni almi e divini

Occhi di pura luce arder vegg' io,
E vivi e dolci rai spargere intorno.
Or quindi avvien, ch'oltre i mondan confini
S'erge su l'ali d'un gentil desio

L'alma e sen vola a l'immortal soggiorno.

SONETT 0.

Tremendo Re, che ne' passati tempi
De l'infinito tuo poter mostrasti

Si chiari segni, e tante volte a gli empj
L'altere corna a un cenno sol fiaccasti;
Di quel popol fedél, che tanto amasti,
Mira, pietoso Dio, mira gli scempj,
Mira de l'Austria in fieri incendj e vasti
Arsi i palagi, e desolati i tempj.
Mira il tracio faror, che intorno cinge
La regal Donna del Danubbio, e tenta
Con mille e mille piaghe aprirle il fianco.
Tremendo Re, che più s' indugia? ed anco
Neghittosa è tua destra ? or che non stringe
Fulmini di vendetta, e non gli avventa?

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