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SONETTO.

Chi è costui, che in sì gran pietra scolto
Siede gigante, e le più illustri e conte
Opre de l'arte avanza, e ha vive e pronte
Le labbra sì, che le parole ascolto?
Questi è Mosè: ben mel diceva il folto
Onor del mento, e'l doppio raggio in fronte;
Questi è Mosè, quando scendea dal monte,
E gran parte del Nume avea nel volto.
Tal era allor, che le sonanti e vaste

Acque ei sospese a se d'intorno; e tale,
Quando il mar chiuse, e ne fe' tomba altrui.
E voi, sue turbe, un rio vitello alzaste?
Alzata aveste immago a questa eguale,
Ch' era men fallo l'adorar costui.

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SONET TO.

Quand' io men vo verso l'ascrea montagna,
Mi si accoppia la Gloria al destro fianco:
Ella dà spirti al cor, forza al piè stanco,
E dice andiam ch' io ti sarò compagna.
Ma
per la lunga inospita campagna

Mi si aggiunge l'Invidia al lato manco;
E dice: anch'io son teco. Al labbro bianco
Veggo il veneno che nel suo cor stagna.
Che far degg' io? se indietro io volgo i passi
So, che Invidia mi lassa, e m' abbandona :
Ma poi fia che la Gloria ancor mi lassi.
Con ambe andar risolvo a la suprema
Cima del monte: Una mi dia corona;
E l'altra il vegga, e si contorca e frema.

SONET TO.

Vincesti o Carlo. D'atro sangue impura
Corre l'onda del Savo: il Trace estinto
Alzò le sponde al fiume; e la sventura
Vendicasti ben tu d'Argo e Corinto.
Erra il barbaro Re di pallor tinto;
E Belgrado che fea l'Asia sicura,
Teme i tuoi bronzi, da cui pria fu vinto ;
E non percosse ancor treman le mura.
Or siegui a fulminar su i Traci infidi,
Fin che vegga il mar negro, e 'l mar vermiglio
Rifolgorar la Croce alto su i lidi.
Poscia di riposar prendi consiglio,

E l'impero del mondo in duo dividi;
A. Te l'Occaso, e l'Oriente al Figlio.

SONET TO.

Questi è il gran Raffaello: Ecco l'idea
Del nobil genio, e del bel volto, in cui
Tanto Natura de' suoi don ponea,
Quanto egli tolse a lei de' pregi sui.
Un giorno ei qui, che preso a sdegno avea
Sempre far su le tele eterno altrui,
Pinse se stesso, e pinger non potea
Prodigio, che maggior fosse di lui.
Quando poi Morte il doppio volto e vago
Vide, sospeso il negro arco fatale,
Qual, disse, è il finto e il vero? equal impiago?

Impiaga questo inutil manto e frale,

L'Alma rispose, e non toccar l'Immago.

Ciascuna di noi due nacque immortale.

1

CANZON E.

:

Vieni: mi disse Amore.
Io m'accostai tremando.
Perchè vai sospirando?
Di che paventa il core?
Vieni mi disse Amore.
Lieto per man mi prese,
E 'l ragionar riprese.
Da che in mia corte stai
Tu non vedesti mai
Il Museo di Cupido.
Io lo sogguardo e rido:
Credea, che il vezzosetto
Scherzoso fanciulletto
Tutte le sue brame avesse
Di gioventute amiche;
Non che a serbo tenesse
Amor le cose antiche.
Dentro una ricca stanza,
Che di tempio ha sembianza,
Guidami il mio bel duce:
L'oro, che intorno luce,
Mi raddoppiava il giorno.
Or guarda, ei disse, intorno
Guarda, o servo fedele.

Di sculti marmi, e di dipinte tele

Ricco è il bel loco, dove Amor passeggia; E quinci Ilio m' addita, e l' arsa reggia Cui la greca tradi sposa infedele ;

Raccolta di Lirici.

18

E quindi il mare e le fuggenti vele

Di Teseo ingrato; e vuol che scultacio veggia
Ninfa che guizza, e ninfa che arboreggia,
Imprese tutte di quel Dio crudele.

V'è Amor dipinto in cocchio alto d' orore
Con mille uomini e numi in ceppi e in foco
Dinanzi al carro; ed ei gli. urta e confonde.
Psiche, che i vanni el tergo arse ad Ambre,
Non v'è dipinta. Ognun fa pompace giuoco
Dell'altrui scorno; il suo scorda se nasconde.
Ma più liete e gioconde 1990s, Craf
Cose e più rare io serbo, el las 13
Disse il garzon superbo: nu? 2. kol A
Ciò, che pennel dipinse

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Ciò, che scalpello finse, we

1

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1.

Il tuo piè non ritardiorang li Rivolgi al ver gli sguardi.it, e RA Vedi queste due spade Opra di prisca etade ? »! Furon, dicea Cupido, Di Piramo e d'Enea Su queste, ei soggiugnea Caddero Tisbe e Dido: Del sangue sparso allora Ecco le stille ancora, E mentre ciò dicea Quel barbaro, ridea. Stavano in un de' lati Cinque bei pomi aurati, De' quai molto si canta In Ascra e in Aganippe: Tre son quei d'Atalanta, Il quarto è di Cidippe." Ma non è chi paregge

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L'altro, su cui si legge
In argiva favella:
Abbialo la più bella,
Pomo famoso tanto

Per la man, che vi scrisse,
Pomo cagion sul Xanto
Di tante pugne e risse.
Volgo lo sguardo, e appesa
Di verde bronzo antico
Veggo lucerna, e dico:
Oh chi la vide accesa?
Allora il Nume infido,
Che 'l tutto prende a giuoco:
La vide, ma per poco
Il notator d'Abido.

Ahi sventurato notator d'Abido,

Dissi, ah misera lei! chi la conforta,
Ch' estinto il vede comparir sul lido... .
Qui m'interruppe Amore: A te che importa?
Mira quest' arco; il miro.

Non è un bell' arco? ammiro,

Ch'è d'ebano contesto,

Tutto d'avorio è il resto.
Or sai tu chi portollo?
Credo il giovane Apollo
Quando .
Sappi che questo è quello
Verginal arco e bello,
Di cui, col suo pastore
Stando ad una fontana,
Scordossi un di Diana.
La sorella del Sole?
Quella; che star non vuole
Se non tra cani e reti;
Quella fra voi poeti

No, disse Amore į

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