Chi è costui, che in sì gran pietra scolto Siede gigante, e le più illustri e conte Opre de l'arte avanza, e ha vive e pronte Le labbra sì, che le parole ascolto? Questi è Mosè: ben mel diceva il folto Onor del mento, e'l doppio raggio in fronte; Questi è Mosè, quando scendea dal monte, E gran parte del Nume avea nel volto. Tal era allor, che le sonanti e vaste
Acque ei sospese a se d'intorno; e tale, Quando il mar chiuse, e ne fe' tomba altrui. E voi, sue turbe, un rio vitello alzaste? Alzata aveste immago a questa eguale, Ch' era men fallo l'adorar costui.
Quand' io men vo verso l'ascrea montagna, Mi si accoppia la Gloria al destro fianco: Ella dà spirti al cor, forza al piè stanco, E dice andiam ch' io ti sarò compagna. Ma per la lunga inospita campagna
Mi si aggiunge l'Invidia al lato manco; E dice: anch'io son teco. Al labbro bianco Veggo il veneno che nel suo cor stagna. Che far degg' io? se indietro io volgo i passi So, che Invidia mi lassa, e m' abbandona : Ma poi fia che la Gloria ancor mi lassi. Con ambe andar risolvo a la suprema Cima del monte: Una mi dia corona; E l'altra il vegga, e si contorca e frema.
Vincesti o Carlo. D'atro sangue impura Corre l'onda del Savo: il Trace estinto Alzò le sponde al fiume; e la sventura Vendicasti ben tu d'Argo e Corinto. Erra il barbaro Re di pallor tinto; E Belgrado che fea l'Asia sicura, Teme i tuoi bronzi, da cui pria fu vinto ; E non percosse ancor treman le mura. Or siegui a fulminar su i Traci infidi, Fin che vegga il mar negro, e 'l mar vermiglio Rifolgorar la Croce alto su i lidi. Poscia di riposar prendi consiglio,
E l'impero del mondo in duo dividi; A. Te l'Occaso, e l'Oriente al Figlio.
Questi è il gran Raffaello: Ecco l'idea Del nobil genio, e del bel volto, in cui Tanto Natura de' suoi don ponea, Quanto egli tolse a lei de' pregi sui. Un giorno ei qui, che preso a sdegno avea Sempre far su le tele eterno altrui, Pinse se stesso, e pinger non potea Prodigio, che maggior fosse di lui. Quando poi Morte il doppio volto e vago Vide, sospeso il negro arco fatale, Qual, disse, è il finto e il vero? equal impiago?
Impiaga questo inutil manto e frale,
L'Alma rispose, e non toccar l'Immago.
Ciascuna di noi due nacque immortale.
Vieni: mi disse Amore. Io m'accostai tremando. Perchè vai sospirando? Di che paventa il core? Vieni mi disse Amore. Lieto per man mi prese, E 'l ragionar riprese. Da che in mia corte stai Tu non vedesti mai Il Museo di Cupido. Io lo sogguardo e rido: Credea, che il vezzosetto Scherzoso fanciulletto Tutte le sue brame avesse Di gioventute amiche; Non che a serbo tenesse Amor le cose antiche. Dentro una ricca stanza, Che di tempio ha sembianza, Guidami il mio bel duce: L'oro, che intorno luce, Mi raddoppiava il giorno. Or guarda, ei disse, intorno Guarda, o servo fedele.
Di sculti marmi, e di dipinte tele
Ricco è il bel loco, dove Amor passeggia; E quinci Ilio m' addita, e l' arsa reggia Cui la greca tradi sposa infedele ;
E quindi il mare e le fuggenti vele
Di Teseo ingrato; e vuol che scultacio veggia Ninfa che guizza, e ninfa che arboreggia, Imprese tutte di quel Dio crudele.
V'è Amor dipinto in cocchio alto d' orore Con mille uomini e numi in ceppi e in foco Dinanzi al carro; ed ei gli. urta e confonde. Psiche, che i vanni el tergo arse ad Ambre, Non v'è dipinta. Ognun fa pompace giuoco Dell'altrui scorno; il suo scorda se nasconde. Ma più liete e gioconde 1990s, Craf Cose e più rare io serbo, el las 13 Disse il garzon superbo: nu? 2. kol A Ciò, che pennel dipinse
Ciò, che scalpello finse, we
Il tuo piè non ritardiorang li Rivolgi al ver gli sguardi.it, e RA Vedi queste due spade Opra di prisca etade ? »! Furon, dicea Cupido, Di Piramo e d'Enea Su queste, ei soggiugnea Caddero Tisbe e Dido: Del sangue sparso allora Ecco le stille ancora, E mentre ciò dicea Quel barbaro, ridea. Stavano in un de' lati Cinque bei pomi aurati, De' quai molto si canta In Ascra e in Aganippe: Tre son quei d'Atalanta, Il quarto è di Cidippe." Ma non è chi paregge
L'altro, su cui si legge In argiva favella: Abbialo la più bella, Pomo famoso tanto
Per la man, che vi scrisse, Pomo cagion sul Xanto Di tante pugne e risse. Volgo lo sguardo, e appesa Di verde bronzo antico Veggo lucerna, e dico: Oh chi la vide accesa? Allora il Nume infido, Che 'l tutto prende a giuoco: La vide, ma per poco Il notator d'Abido.
Ahi sventurato notator d'Abido,
Dissi, ah misera lei! chi la conforta, Ch' estinto il vede comparir sul lido... . Qui m'interruppe Amore: A te che importa? Mira quest' arco; il miro.
Non è un bell' arco? ammiro,
Ch'è d'ebano contesto,
Tutto d'avorio è il resto. Or sai tu chi portollo? Credo il giovane Apollo Quando . Sappi che questo è quello Verginal arco e bello, Di cui, col suo pastore Stando ad una fontana, Scordossi un di Diana. La sorella del Sole? Quella; che star non vuole Se non tra cani e reti; Quella fra voi poeti
No, disse Amore į
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