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SONETTO.

Qual digiuno augellin, che vede ed ode
Batter l'ali a la madre intorno, quando
Gli reca nutrimento, ond' egli amando
Il cibo e quella, si rallegra e gode;
E dentro al nido suo si strugge e rode
Per desio di seguirla anch' ei volando,
E la ringrazia in tal modo cantando,
Che par ch' oltra il poter la lingua snode:
Tal io qual or il caldo raggio e vivo
Del divin Sole, onde nutrisco il core,
Più dell' usato lucido lampeggia,
Movo la penna, mossa da l'amore
Interno; e senza ch' io stessa m' avveggia
Di quel ch' io dico, le sue lodi scrivo.

BERNARDO CAPPELLO.

Venezia abbondò in questo secolo di poeti più che qualsivoglia altra città dell' Italia, e Veneziano fu appunto Bernardo Cappello, di cui scrisse esattamente la vita il Sig. Ab. Serassi. Nacque da Francesco e da Maria Sanuta circa il principio di questo secolo. Fu gran de amico del Bembo. Una massima da lui sostenuta nel Senato di Venezia lo fece rilegare a perpetuo esiglio in Arbe isola della Schiavonia. Di là dopo due anni rifuggiossi colla mo. glie a Roma, ove fu accolto dal Card. Alessandro Farnese. Visse pure alla corte di Ur bino, donde ritornato a Roma mori a' 18. di Marzo del 1565. Il suo Canzoniere viene ripu tato uno de' più leggiadri di questo secolo.

SONETT O.

L'empia schiera di quei tristi pensieri,
Che d'intorno al mio cor han posto campo,
Lo circonda ogn' or sì, ch' a lo suo scampo
Indarno introdur tenta altri guerrieri.
E se pur contra i minacciosi e feri

I bei desiri, ond' io pietoso avvampo,
E'l mio ben meritar talora accampo,
Stuol degno, che di lui mi fidi e speri;
Orribil suon, che mi rimembra il danno,
Ch'a torto ne sostegno, mi spaventa
Sì ch'ogni mio sperar cede à l'affanno.
Quinci ogni mio nemico s' argomenta,
Or con aperto, or con celato inganno,
Di far, ch'io stesso al mio morir consenta.

SONETT O.

a

Così di Primavera eterna guida

Vi veggia io sempre, leggiadretti fiori, E versar d' ogn' intorno arabi odori, Onde la terra si rallegri e rida: Come Italia per voi lieta si fida, Dopo si lunghi e tempestosi errori, Poggiar a' primi suoi perduti onori, E por silenzio a le dogliose strida; Ch' or acquetate in parte ha la novella Del grande officio, onde si ogn' or v'alzate, Che Roma di tornar spera ancor bella; E dar cagion con l'opre alte e pregiate D'ir sospirando a questa gente e a quella L'alte ricchezze de la nostra etate.

VERONICA GAMBARA

Nacque in Brescia nel 1485, morì nel 1550. Baldassare Zamboni ne scrisse la vita. Fu tran quilla d'animo e saggia di costumi. Sposò Gi berto X. Signor di Correggio. Di lei disse l'Ariosto c. 46.

Veronica da Gambara è con loro

Si grata a Febo e al santo aonio coro.

SONETT O.

Vinca gli sdegni e l'odio vostro antico,
Carlo e Francesco, il nome sacro e santo
Di Cristo e di sua fe vi caglia tanto,
Quanto a voi più d'ogni altro è stato amico.

L'arme vostre a domar l'empio nemico

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Di lui sian pronte, e non tenete in pianto
Non pur l'Italia, ma l' Europa, e quanto
Bagna il mar, cinge valle, o colle aprico.

gran Pastor, a cui le chiavi date
Furon del Cielo, a voi si volge e prega,
Che de le greggi sue pietà vi prenda.

Possa più de lo sdegno in voi pietate,
Coppia reale, e un sol desio v' accenda
Di vendicar chi Cristo sprezza e nega.

GASPARA STAMPA

Padovana, ma dama Milanese d'origine. Visse anni 30, e mori verso il 1554. Rimatri ce passionata, semplice ed elegante. Forse av rebbe tra tutte il primato, se i partigiani del la Gambara, e della Colonna non le facessero ostacolo. Collatino de' Conti di Collato fu l'og getto del suo amore e delle sue rime. La lon tananza dell'amante, e la moglie da lui presa le affrettò la morte. A Rubbi.

SONETTO

Cantate meco, Progne e Filomena,
Anzi piangete il mio grave martire;
Or che la primavera e 'l suo fiorire
I miei lamenti e voi tornando mena.

A voi rinnova la memoria e pena
De l'onta di Tereo, e le giusť' ire;
A me l'acerbo e crudo dipartire
Del mio signore morte empia rimena.

Dunque essendo più fresco il mio dolore,
Aitatemi amiche a disfogarlo,

Ch' io per me non ho tanto entro vigore.

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E se piace ad Amor mai di scemarlo,
Io piangerò poi'l vostro a tutte l'ore
Con quanto stile ed arte potrò farlo.

SONETTO

Fiume, che dal mio nome il nome prendi,
E bagni i piedi a l'alto colle e vago
Ove nacque il famoso ed alto Fago,
De le cui frondi alto desio m'accendi;
Tu vedi spesso lui, spesso l' intendi
l'intendi,
E talor rendi la sua bella immago;
Ed a me che d'altr' ombra non m' appago,
Così sovente, lassa, lo contendi.

Pur non ostante che la nobil fronde

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Ond' io piansi e cantai con più d'un verso, La tua mercè, sì spesso lo nasconde; Prego il Ciel ch'altra pioggia o nembo avverso Non turbi, Anasso, mai le tue chiar' onde Se non quel sol che da quest' occhi verso.

SONET TO.

Mesta e pentita de' miei gravi errori,
E del mio vaneggiar tanto e sì lieve,
E d'aver speso questo tempo breve
De la vita fugace in vani amori,
A te, Signor, che intenerisci i cori,
E rendi calda la gelata neve,

E fai soave ogn' aspro peso e greve,
A chiunque accendi de' tuoi santi ardori
Ricorro e prego,
che mi porghi mano
A trarmi fuor del pelago, onde uscire
S'io tentassi da me, sarebbe vano,
Tu volesti per noi, Signor, morire,
Tu ricomprasti tutto il seme umano,
Dolce Signor, non mi lasciar perire.

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