GIOVANNI GUIDICCIONI Nacque in Lucca nel 1500. Dal Cardinale Bartolommeo suo zio fu posto al servigio del Card. Alessandro Farnese. Fu Governatore di Roma e Vescovo di Fossombrone. Accompa gnò come nuncio Carlo V. in molti viaggi. Dopo il ritorno fu fatto presidente della Romagna, e poi commissario generale delle armi pontificie, e finalmente governatore della Marca. Mori in Macerata nel 1541. Ecco il giudizio che di lui scrisse Giglio Giraldi: Joannes Guidiccionius poeta admirandi ingenii sed interdum obscurior In his vero carminibus, in quibus Italiae miseras calamitates atque infortunia complorat, suae istius praeclarae dictionis testimonia legentibus exhibet. La vita di lui esatta e diffusa leggesi premessa all'edizione di sue opere. Bergamo 1753. SONET TO. Viva fiamma di Marte, onor de' tuoi, Che fur del Mondo il Sol più ardente e chiaro; Duolsene il Tebro e grida: o Duce raro, Movi le schiere, onde tanto osi e puoi; E qui ne vien, dove lo stuol de gli empi Fura le sacre e gloriose spoglie, E tinge il ferro d'innocente sangue, Le tue vittorie e le mie giuste voglie, E i difetti del Fato, ond' ella langue, Tu, che sol dei, con le lor morti adempi. SONETTO Dal pigro e grave sonno, ove sepolta Italia mia, non men serva, che stolta. Per tuo non sano oprar, cerca e sospira; E i passi erranti al cammin dritto gira, Da quel torto sentier dove sei volta. Che se risguardi le memorie antiche, Vedrai, che quei, che i tuoi trïonfi ornaro, T'han posto il giogo, e di catene avvinta. L'empie tue voglie a te stessa nemiche, Con gloria d'altri, e con tuo duolo amaro, Misera, t' hanno a sì vil fine spinta. SONETT O. Tanti con mia vergogna aspri tormenti E tu campo hai da far più degne prove. SONETT O. Degna nutrice de le chiare genti, Čh'a i di men foschi trionfar del Mondo; Voci, e mirar senza dolor profondo E sì dentro al mio cor sona il tuo nome, SONET TO.. Sovra un bel verde cespo e in mezzo un prato Dipinto di color mille diversi Due pure e bianche vittime, ch' io scersi Dianzi ne' paschi del mio Tirsi amato, Zefiro, io voglio offrirti; e da l' un lato Donne leggiadre in bei pietosi versi Diran, come i tuoi di più cari fersi Nel lume d'un bel viso innamorato; Da l' altro porgeran giovani ardenti Voti ed incensi, e tutti in cerchio poi Diranti unico Re de gli altri venti; Se i fior, che 'l Sol nel suo bel viso ancide Bianchi e vermigli, co' soavi tuoi Fiati rinfreschi, a cui l'aria e 'l Ciel ride. FRANCESCO MARIA MOLZA. Di lui scrisse esattamente la vita l'Abate Serassi nell' edizione di Bergamo 1747. Fu uno de' più leggiadri talenti che vantasse l Italia in que' tempi. Nacque in Modena nel 1489. Fu inclinato ai piaceri, cui per altro divise sempre cogli studj. Riportò una ferita da un suo rivale, per cui fu diseredato dal padre, e ne contrasse una tale malattia, che dopo lungo travaglio fu tratto a morte in assai fresca età. Fu uno de' principali ornamenti dell' Accademia Romana. Tra le sue opere celebre è specialmente la Ninfa Tiberina. SONETT O. Su questo lito e questa istessa arena E con possenti braccia e invitta lena Su'l petto Anteo (quest'onde e piagge il sanno) Cadde di Libia il fiero mostro anciso, Così mostrando a la fortuna il viso, SONETTO. Gite, Coppia gentil, e 'l bel sommesso E col desio ch' al cor avete impresso, L'un l'altro abbracci di dolcezza oppresso. E purghi d'ogni error l'Asia e l'Egitto: CANZON E. Ne l'apparir del giorno Vid'io, chiusi ancor gli occhi, entro una luce Ch' avea del cielo i maggior lumi spenti, Una donna real, che, come duce, Traea schiera d'intorno, E cantando venia con dolci accenti: S'oggi in pregio tra voi Fosse la mia virtute, Com' era al tempo de gli antichi eroi! Che se tra ghiande ed acqne e pelli irsute Beata si vivea l'inopia loro; Qual vi daria per me gioja e salute Un vero secol d'oro? |