Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Quando l'eterno Amore

Creò la luna e'l sole e l'altre stelle
Nacqu'io nel grembo a l'alta sua bontate:
L'alme virtuti, e l' opre ardite e belle
Mi sono o figlie o suore,

Perchè meco o di me tutte son nate;
Ma di più dignitate

Son io io son del cielo
La prima meraviglia;

E quando Dio pietà vi mostra e zelo,
Me sol vagheggia, e meco si consiglia,
Che son più cara e più simíle a lui.
E che tien caro, e che si rassomiglia
Più, che 'l giovare altrui ?

Io son che giovo ed amo,

E dispenso le grazie di là suso

[ocr errors]

Si come piace a lui che le destina.

Già venni in terra, e Pluto ch' era chiuso
V'apersi, e tenni in Samo

Lei per mia serva, ch' era in ciel reina.
Ma 'l furto e la rapina,

L'amor de l'oro ingordo
Trasser fin di Cocito

Le furie e'l lezzo, onde malvagio e lordo
Divenne il mondo, e 'l mio nome schernito
Sì ch'io n'ebbi ira, e fei ritorno a Dio.
Or mi riduce a voi cortese invito

D'un caro amante mio.

Per amor d'uno io vegno

A star con voi, ch'or sotto umana veste
Simile a Dio siede beato e bea.

Dal ciel discese, e quanto ha del celeste
Questo vil basso regno

L'ha da lui, che n'ha quanto il ciel n'aveą.
Pallade e Citerea

Di caduco ed eterno

Onor il seno e 'l volto

Gli ornaro, ed io le man gli empio e governo.
Così ciò ch'è tra voi mirato e colto,

O che da voi deriva, o ch'in voi sorge,
Ha fortuna e virtute in lui raccolto
Ed egli altrui ne porge.

Se ne prendeste esempio,

Come n'avete, volgo avaro, aita;
E voi tra voi vi sovverreste a prova,
E non aría questa terrena vita
L'amaro e 'l sozzo e l'empio,

Onde in continuo affanno si ritrova.
Quel che diletta e giova

Saria vostro costume:

Nè del più nè del meno

Doglia o desio, ch' or par che vi consume,
Turberia 'l vostro nè l'altrui sereno.
Regneria sempre meco amor verace,
E pura fede, e fora il mondo pieno
Di letizia e di pace.

Ma verrà tempo ancora,

Che con soave imperio al viver vostro
Farà del suo costume eterna legge.

Ecco che già di bisso ornato e d'ostro,
La desiata aurora

Di sì bel giorno in fronte gli si legge:
Ecco già folce e regge

Il cielo, ecco che doma

I mostri: o sante e rare

Sue prove, o bella Italia, o bella Roma! Or veggio ben quanto circonda il mare, Aureo tutto e ripien de l'opre antiche: Adoratelo meco, anime chiare,

E di virtute amiche.

Così disse, canzone:

E del suo ricco grembo,

Che già mai non si serra,

Sparse ancor sopra me di gigli un nembo.
Poi con la schiera sua, quant' il sol erra,
E da l'un polo a l' altro si distese.

Io gli occhi apersi, e riconobbi in terra
La gloria di Farnese.

CLAUDIO TOLOMMEI

Nacque in Siena circa il 1492. Fu Vescovo di Corsola, e letterato riguardevole de' suoi tempi. Orazio Brunetti racconta, che avend esso ricevuta solennemente la laurea, volle poi con eguale solennità esserne spogliato. Fu amba sciatore per la sua patria cinque anni in Francia. Compose orazioni, lettere e rime. Pretese d'introdurre una nuova maniera di verseggiare in lingua italiana ad imitazione della latina, formando i versi di piedi spondei e dattili, ma fortunatamente non ebbe che pochi seguaci. Mori d' anni 65. nel 1557. Fu fondatore in Roma dell'accademia della Virtù, e della Poe sia Nuova. V. il Tiraboschi.

SONETTO.

Quei congiunti d'amor Iella e Tirsi,
Tirsi ne la sua verde età novella;
Come rosa vermiglia e fresca Iella,
Che non potea più vaga coppia unirsi;
A Citerea così parlare udirsi:

Questi amaranti a te, Venere bella,
Doniamo, e questi gigli, onde d'ombrella,
O ghirlanda il tuo crin possa coprirsi.

Come amaranti eterno, e come bianchi
Gigli fiorisca bianco il nostro amore,
Che'n noi candido sempre e immortal viva.
E come lega l'uno e l'altro fiore

Un filo sol, così tu, santa Diva,

Stringi d'un nodo noi, che mai non manchi.

SONETT O.

Poichè Amarilli sua fugace e bella
Pregò Licida un tempo e sempre invano,
Volto a gli armenti suoi di questo strano
Pensier suo di morir, così favella:
Ecco, ch'io pur vi lasso, e lasso quella
Fiera, ch' uccide altrui col volto umano :
Quanto grato le fia, che di mia mano
Crudelmente io sia morto, udir novella!
Voi gliel direte; ella pastor più adorno
Vi darà forse e vita più serena.

Deh perchè fo sì lunghi i miei lamenti? Strinse qui 'l ferro e 'ntanto udissi intorno Scuotersi il bosco, e 'n voce d'orror piena Quinci e quindi mugghiando ir via gli armenti.

BENEDETTO VARCHI

Nacque nella diocesi di Fiesole nel castel lo di Montevarchi in Toscana nel 1502. Suo padre fu causidico, ed a forza volea tale il figliuolo. La docilità di Benedetto durò fino alla morte del padre. Allora lasciò le leggi, e strinse amicizia colle Muse. Fu uno de' maggio ri letterati dell' età sua, e ristorò la lingua, per cui compose il suo Ercolano. Le sue rime sono tersissime, ma forse un po' languide. La Raccolta di Lirici.

4.

sua Storia Fiorentina è troppo lunga. I pubblici scellerati, benche sovrani, apprendano dall' ultima pagina a temere gli storici, in quel momento in cui si dimenticano di temer Dio. Mori nel 1565. (osi Andrea Rubbi. Parn. Italiano Vol. XXXI. p. 371.

SONET TO.

Sacri, superbi, avventurosi e cari

Marmi, che'l più bel Tosco in voi chiudete, E le sacre ossa e'l cener santo avete, Cui non fu dopo lor, ch' io sappia pari; Poichè m'è tolto preziosi e rari

`Arabi odor, di che voi degni sete, Quant' altri mai, con man pietose e liete Versarvi intorno, e cingervi d' altari; Deh non schivate almen, ch' umile e pio A voi, quanto più so, divoto inchini Lo cor, che, come può, v' onora e cole. Così spargendo al ciel gigli e vïole, Pregò Damone; e i bei colli vicini Sonar povero il don, ricco è 'l desio.

SONETT O.

Questo è, Tirsi, quel fonte, in cui solea
Specchiarsi la mia dolce pastorella;
Questi quei prati son, Tirsi dov'ella
Verdi ghirlande a' suoi bei crin tessea:
Qui, Tirsi, la vid' io mentre sedea,
Quivi i balli menar leggiadra e snella;
Quinci, Tirsi, mi rise, e dietro a quella
Elce s'ascose sì, ch' io la vedea:

« ÖncekiDevam »