Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Vedendo avvolto. in tènebre il mio core,
Immantenente fer chiaro e sereno;

E del carcer terreno

Sollevandol talor, nel dolce viso
Gustò molto dei ben del Paradiso.
Or perchè non volete più, ch'io miri
Gli occhi leggiadri, u' con Amor già fui,
E privar lo mio cor di tanta gioja?
Di questo converrà, che Amor s'adiri,
Che un core in se, per vivere in altrui
Morto, non vuol, ch'un'altra volta moja.
Or se prendete a noja

1

[ocr errors]

Lo mio Amor, occhi d'Amor rubelli,
Foste per comun hen stati men belli.
Agli occhi de la forte mia nemica,
Fa, Canzon, che tu dica,

1

Poichè veder voi stessi non potete,
Vedete in altri almen quel, che voi sete.

FRANCESCO PETRARCA

Nacque nel 1304. in Arezzo, dove eransi ritirati esuli da Firenze i suoi genitori. Passò la sua fanciullezza sulle sponde del Rodano. In Carpentras piccola città vicina ad Avignone attese alle umane lettere, e alla dialettica; ed in Montpellier, e poscia a Bologna al Diritto civile. Il padre, che voleva formarne un solenne dottore, gittò un giorno al fuoco tutti gli Oratori e Poeti, che trovati avea nella camera del figlio. Pianse questi amaramente; ed il padre mossone a compassione trasse dalle fiamme Virgilio, e la Rettorica di Cicerone, ed a lui sorridendo disse: Tienti questi per sollevarti qualche rara volta leggendoli: Tor

[ocr errors]

nato ad Avignone si arruolò nel Clero, di cui non troppo ne onorò l'abito. Arse per anni ventuno di Madonna Laura, figlia di Audeberto De-Noves Cavaliere e Sindaco d'Avignone, e di Ermessende di lui moglie. Laura adunque formò l'oggetto di pressochè tutte le rime del Petrarca. Ma questa passione non lo rendeva che più ardente ne' poetici studj, talmente che la corona stessa di lauro, di cui venne con magnifica pompa fregiato nel Campidoglio più dolce gli riuscì per una certa allu- . sione ch'essa faceva col nome della sua Laura. Egli fu a gara onorato da' più cospicui personaggi. I Signori di Coreggio gli procurarono la dignità d'Arcidiacono nella chiesa di Parma. Dopo varj viaggi specialmente per l'Italia, dopo varie incumbenze le più onorevoli, passò in continua languidezza senile gli ultimi mesi di sua vita nella sua villa d'Arquà vicino a Padova, dove nella notte del 18. Luglio 1374. morì nella sua biblioteca col capo appoggiato ad un libro. Fu uno de' più grandi uomini de' suoi tempi, ed uno dei primi tre padri della lingua italiana. V. il Tiraboschi, e la Storia, che diffusamente ne scrisse l'Abate de Sade.

e

SONETTO.

Chi vuol veder quantunque può Natura,
El Ciel tra noi, venga a mirar costei,
Ch'è sola un Sol, non pur a gli occhi miei,
Ma al mondo cieco, che virtù non cura.

E venga tosto, perchè morte fura
Prima i migliori, e lascia star i rei:
Questa aspettata al regno degli Dei
Cosa bella e mortal passa, e non dura.
Vedrà, s'arriva a tempo, ogni virtute,
Ogni bellezza, ogni real costume
Giunti in un corpo con mirabil tempre.
Allor dirà, che mie rime son mute,
L'ingegno offeso dal soverchio lume:
Ma se più tarda, avrà da pianger sempre.

SONET TO.

Levommi il mio pensier in parte, ov'era
Quella, ch' io cerco e non ritrovo in terra:
Ivi fra lor, che'l terzo cerchio serra,
La rividi più bella e meno altera.
Per man mi prese e disse: in questa spera
Sara' ancor meco, se'l desir non erra;
I' son colei, che ti diè tanta guerra,
E compiè mia giornata innanzi sera.
Mio ben non cape in intelletto umano;
Te solo aspetto, e quel, che tanto amasti,
E là giuso è rimaso, il mio bel velo.
Deh perchè tacque ed allargò la mano?
Ch' al suon de' detti sì pietosi e casti,
Poco mancò, ch'io non rimasi in cielo.

SONETT O.

Gli Angeli eletti e l'anime beate
Cittadine del Cielo, il primo giorno,
Che Madonna passò, le furo intorno,
Piene di meraviglia e di pietate:

Che luce è questa, e qual nova beltate,
Dicean tra lor, perch' abito sì adorno
Dal Mondo errante a quest' alto soggiorno
Non sali mai in tutta questa etate?
Ella contenta aver cangiato albergo,
Si paragona pur co i più perfetti;
E parte ad or ad or si volge a tergo,
Mirando s'io la seguo, e par ch'aspetti;
Ond' io voglie e pensier tutti al ciel ergo,
Perch' io l'odo pregar pur, che m'affretti.

CANZON E.

Chiare e fresche e dolci acque,
Ove le belle membra

Pose colei, che sola a me par Donna;
Gentil ramo, ove piacque

(Con sospir mi rimembra)

A lei di fare al bel fianco colonna;
Erba e fior, che la gonna
Leggiadra ricoverse

Con l'angelico seno;

Aer sacro sereno,

Ov' Amor co' begli occhi il cor m'aperse; Date udienza insieme

A le dolenti mie parole estreme.

S'egli è pur mio destino,

El Cielo in ciò s'adopra,

Ch'Amor questi occhi lagrimando chiuda; Qualche grazia il meschino

Corpe fra voi ricopra,

E torni l'alma al proprio albergo ignuda.
La morte fia men cruda,
Se questa speme porto
A quel dubbioso passo;

Che lo spirito lasso

Non poria mai in più riposato porto,
Nè 'n più tranquilla fossa

Fuggir la carne travagliata e l'ossa.
Tempo verrà ancor forse,

Ch'a l'usato soggiorno

Torni la fera bella e mansueta;

E là, ov'ella mi scorse

Nel benedetto giorno,

[ocr errors]
[ocr errors]

Volga la vista desïosa, e lieta,
Cercandomi; ed oh pieta!
Già terra infra le pietre
Vedendo, Amor l'inspiri

In guisa, che sospiri,

Si dolcemente, che mercè m'impetre,
E faccia forza al Cielo

[ocr errors]

Asciugandosi gli occhi col bel velo.

Da' be' rami scendea,

Dolce ne la memoria,

Una pioggia di fior sovra 'l suo grembo; Ed ella si sedea,

Umile in tanta gloria,

Coverta già de l'amoroso nembo.

Qual fior cadea sul lembo,

Qual su le trecce bionde,

Ch'oro forbito e perle

Eran quel dì a vederle,

Qual si posava in terra, e qual su l'onde;

Qual con un vago errore

Girando, parea dir: qui regna Amore."

Quante volte diss'io

Allor pien di spavento:

Costei per fermo nacque in Paradiso; -
Così carco d'obblìo

Il divin portamento,

« ÖncekiDevam »