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lume riunite le principali rime de' Lirici italiani dall' origine della lingua sino al principio del secolo XVII.; è posta nelle mani de' giovani studiosi, essa nulla avrebbe loro presentato che deturpar ne potesse o la mente o il cuore. Che però non alle mie tenuissime cognizioni e alla diligenza mia affidandomi soltanto, mi sono pure prevaluto dei lumi e del soccorso di ottimi amici, e di dotti personaggi, cui mi farei un pregio di qui nominare se la modestia loro non me lo avesse vietato. Ad essi pertanto ho comunicato la mia Raccolta di mano in mano ch'io stava formandola; e per loro consiglio alcuni componimenti ho pure aggiunti, ch'io avea dimenticati, ed altri ne ho detratti, ai quali io già dato avea luogo. Fra le raccolte però già conosciute giovommi specialmente un esemplare di quella del Gobbi, in cui l'illustre Parini, tanto austero nel profferir giudizio sulle opere dell'Arti belle, segnati avea di proprio pugno con asterisco que' pochi componimenti, ch'egli credeva i migliori ed i più atti per una sceltissima raccolta.

Un' altra difficoltà mi si presentò pure nel formare la mia scelta, e fu, che do vendo essa aver luogo anche nella grande Collezione de' Classici Italiani, io mi vedea costretto a dovere o ripetere alcuni componimenti di qualche Classico già stampato per intero, o del tutto ommettendoli

dare una serie di Lirici assai imperfetta, in cui perciò veder non si potessero i progressi, la decadenza, i caratteri diversi ed i varj gusti delle moltiplici epoche di questo genere di poesia. Per la qual cosa attenendomi alla via di mezzo ho creduto di dovere scegliere con somma parsimonia pochissime rime dagli autori già pubblicati per intero, e di dovere diffondermi in vece più largamente in quegli altri, de'quali non si è la nostra Società impegnata di riprodurre le opere tutte. Tale è il sistema, cui ho seguito nello scegliere le rime di Petrarca, del Casa, di Torquato Tasso e di altri. Il mio scopo fu insomma quello di formare una Raccolta, che potesse stare e da se sola, e con tutta la serie de' Classici Italiani, in guisa che si trovasse in lei riunito quanto di più costumato e di più squisito può la nostra Lirica vantare dall' origine della lingua sino al poc'anzi caduto secolo. A quest' oggetto ho diviso la Raccolta in cinque epoche principali. La prima si estende dall' origine dell' Italiana Poesia sino al 1400. Pochissimi componimenti ho scelto per quest' epoca, giacchè ad eccezione di Petrarca è di pochi altri, fanno i Poeti di questa età sentire un po' troppo ancora l'antica e natía rozzezza di nostra lingua. Pochissime ancora sono le rime da me scelte per la seconda epoca, nella quale è compreso il secolo XV., giacchè in essa, come os

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serva anche il Crescimbeni, la Lirica fino al tempo di Lorenzo de' Medici molto bassamente fu maneggiata. In questo secolo venne aperta dal Tibaldeo e dai seguaci di lui una nuova scuola, la quale nulla curando nè lo stile, nè la sodezza de' sentimenti, altro non ebbe di mira, che li recar diletto con bizzarri concetti e con ispiritose invenzioni. Egli è bensì vero che molto si adoperarono alcuni insigni personaggi per richiamare i poeti sul buon cammino, ma ben poco hanno essi potuto ottenere coll' autorità e coll' esempio loro. La gara stessa, il favore e la munificenza de' Principi nel promovere i buoni studj pochissimo o nulla ottennero per rimettere il buono stile del Petrarca nel suo splendore (1).

(1) Oltre il magnifico Lorenzo de' Me'dici, che colle sue rime tanto giovò in questo secolo a richiamare il buon gusto nell' italiana poesia, merita pure d'essere singolarmente rammentato Leonello d'Este, di cui il Muratori raccolse negli antichi Annali Estensi il più grande elogio. Fu egli scolaro del famoso Guarino, fece rinascere l'università di Ferrara, e ad essa chiamò da ogni parte d'Italia i più celebri professori. Due sonetti di lui leggonsi tra le Rime de' Poeti Ferraresi, ed essi fanno sentire una certa squisitezza, che Raccolt a di Lirici.

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Ho diviso il secolo XVI. in due epo che, che formano la terza e la quarta

non era propria della maggior parte de poeti di questo secolo. Non sarà anzi discaro a' Lettori di questa Raccolta, che io li sottoponga qui nella originale loro ortografia.

Lo Amor me ha facto cieco, e non ha tanto
De charità, che me conduca en via,
Me lassa per despecto en mea balia,
E dice: hor va tu, che presciumi tanto.
Et eo perche me scento en forze alquanto,
E stimo de trouvar chi mun me dia,
Vado, ma puoi non sciò dovo me sia,
Tal che me fermo dricto in su d'un canto.
Allora Amore, che me sta quatando,

Me mostra per desprezzo, et me obstenta, Et me va canzonando en alto metro. Ne'l dice tanto pian, ch'eo non lo senta: Et eo respondo così borbottando:

Mostrame almen la via che torna endietro.

Batte el Cavallo su la balza alpina,
Et scaturir fa d' Helicona fonte,
Dove chi le man bagna et chi la fronte,
Secondo che più honore, o amor lo enchina.

della Raccolta. Nella prima di esse fu ri chiamato a novella vita il buon gusto de gli antichi e specialmente di Petrarca colle rime del Bembo, Guidiccioni, Sannazzaro, Casa, Costanzo, Tansillo e di moltissimi altri. La seconda riguarda particolarmente que' poeti, che più coltivarono lo stile lirico alla maniera de' Greci e de' Latini. Ma in amendue queste epoche ancora non molto mi sono diffuso per la ragione addotta di sopra, che alcuni de' poeti in esse compresi furono già per intero pubblicati nel decorso della Collezione. A questo secolo il più glorioso per l'italiana letteratura succedette il XVII. in cui la Lirica non solo, ma ogni specie di volgare poesia decadde miseramente dal suo vero splendore. Una novella scuola fu in esso introdotta di fiorito stile, di traslati e di. metafore stravaganti, di vivaci concetti, di turgidi ed ampollosi sentimenti, ed insom

Anch' eo m' accosto spexso alla divina
Acqua prodigioxa de quel monte:
Amor ne ride, che'l sta li con prompte
Le sue sagipte en forma pellegrina;
E mentre el labro a ber se avanza et stende,
Ello con el venen della pontura

Macola l'onda, et venenoxa rende,
St che quell acqua, che de soa natura
Renfrescar me dovrebbe, più m'accende,
E più che bagno, più crexse l' arsura.

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