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Prende il mio cor un volontario esiglio
E vola al ciel tra l'altre anime belle;
Indi di poi lo svelle

La luce vostra, ch' ogni luce eccede, Fuor di quella di quel che tutto vede. Ben lo so io, che il sol tanto giammai Non illustrò col suo vivo splendore L'aer, quando che più di nebbia è pieno Quanto i vostri celesti e santi rai, Vedendo avvolto in tenebre il mio core, Immantenente fer chiaro e sereno ; E del carcer terreno

Sollevandol talor, nel dolce viso
Gustò molto dei ben del paradiso.
Or perchè non volete più ch' io miri
Gli occhi leggiadri, u' con Amor già fui,
E privar lo mio cor di tanta gioja?
Di questo converrà, ch' Amor s' adiri,
Che un core in sè, per vivere in altrui
Morto, non vuol, ch' un' altra volta moja.
Or se prendete a noja

Lo mio amor, occhi d'amor rubelli,
Foste per comun ben stati men belli.
Agli occhi della forte mia nemica
Fa, canzon, che tu dica:

Poichè veder voi stessi non potete,

Vedete in altri almen quel che voi sete.

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PETRARC A.

A Cino di Pistoja posteriore di pochi anni ma per lunghissimo intervallo superiore di merito fu Francesco Petrarca. » Questi (dice "il Gravina suo grande, ma forse troppo esclu"sivo ammiratore) fu padre della lirica italiana, nella quale, secondo la facoltà del nostro idioma le greche e le latine virtù dal loro centro adducendo, seppe la gravità delle canzoni di Dante, l' acume del Cavalcanti, la gentilezza di Cino e le virtù d'ogu' altro superare così nell' età sua come nelle seguenti, nelle quali tra tanti a lui " simili non è mai sorto l'eguale. «

Come di Dante, scrisse Lionardo Aretino anche la vita del Petrarca, della quale io qui trascriverò le cose principali.

Francesco Petrarca, dic' egli, uomo di grand'ingegno e non di minor virtù, nacque in Arezzo nel 1304, nel dì 21 di luglio. Il padre suo ebbe nome Petracco, l'avolo Parenzo; e l'origine loro fu dall' Ancisa. Petracco suo padre abitò in Firenze e fu adoperato assai nella Repubblica, perchè fu valente, uomo, attivo e assai prudente. Costui in quel naufragio dei cittadini di Firenze, quando

sopravvenne la divisione fra Neri e Bianchi, fu riputato sentire con parte Bianca, e per questa cagione insieme cogli altri fu cacciato di Firenze. Il perchè ridottosi ad Arezzo, quivi fe' dimora ajutando sua parte e sua setta virilmente quanto bastò la speranza di dover tornare a casa. Di poi, mancata la speranza, parti da Arezzo ed andonne in corte di Roma, la quale in que' tempi era nuovamente trasferita in Avignone. In corte fu molto adoperato con assai onore e guadagno, e quivi allevò due suoi figliuoli, de' quali l'uno ebbe nome Gherardo e l'altro Checco; e questi è quegli che poi fu chiamato Petrarca. Egli, apparate le lettere e uscito di que' primi studj puerili, per comandamento del padre si diede agli studi di ragione civile e perseve rovvi alcuno anuo. Ma la natura sua, la quale a più alte cose era tirata, poco stimando le leggi e i loro litigj e reputando quella esser troppo bassa materia a suo ingegno, nascosamente ogni suo studio a Tullio, a Virgilio, a Seneca, a Lattanzio e agli altri Filosofi e Poeti e Istorici referiva. Egli ancora pronto a dire in versi, pronto a dire in prosa, pronto a sonetti e a canzoni, gentile e ornato in ogni suo dire, tanto sprezzava le leggi e le loro tediose e grosse comentazioni di chiose, che,

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se la riverenza del padre non l'avesse tenuto, non che egli fosse ito dietro alle leggi, ma se le leggi fossono ite dietro a lui, non le arebbe accettate. Dopo la morte del padre, fatto di sua podestà, subito si diede tutto a quegli studj apertamente, de' quali era stato nascoso discepolo per paura del padre, e subito cominciò a volare sua fama, ed ebbe tanta grazia d'intelletto, che fu il primo che questi sublimi stadj lungamente caduti e ignorati rivocò a lume di cognizione; i quali dappoi crescendo sono montati nella presente altezza. Egli ebbe tanta grazia d'ingegno, che riconobbe e rivocò in luce l'antica leggiadria dello stile perduto e spento. E posto che in lui perfetto non fosse, pure egli da per sè solo vide e aperse la via a questa perfezione. Datosi adunque a questi studj, e mostrando sua virtù infino da giovane, fu molto onorato e riputato, e dal Papa fu richiesto di volerlo per segretario di sua corte; ma non lo consentì mai, nè prezzò il guadagno. Niente di manco per poter vivere in ozio con vita onorata accettò beneficj, e fessi cherico secolare. E questo non fe' tanto di suo proposito quanto costretto da necessità, perchè dal padre poco o niente d'eredità gli rimase, e in maritare una sua sorella quasi tutta l'eredità paterna si

convertì. Gli onori del Petrarca furon tali, che niuno uomo di sua età fu più onorato di lui non solamente oltramonti, ma di qua in Italia; ed a Roma solennemente fu coronato come poeta. Avvenne già, che nel tornar da Roma facendo la via d'Arezzo per veder la terra dov'era 'nato, e sentendosi di sua venuta, tutti i cittadini gli si fecero incontro come se fosse venuto un Re. E conchiudendo, per tutta Italia era s grande la fama e l'onore a lui tribuito da ogni città e terra e da tutti i popoli, che pareva cosa incredibile. Nè solamente da popoli mezzani, ma da' sommie grandi principi e signori, e singolarmente da quei di Milano e di Padova, fu molto onorato. Così il Petrarca con questa vita onorata visse infino all'estremo di sua età.

Egli ebbe negli studj suoi una dota singolare, che fu attissimo a prosa e a verso, C nell'uno stile e nell'altro fece assai opere. La prosa sua è leggiadra e fiorita; il verso limato e rotondo ed assai alto. E questa grazia *dell' uno stile e dell'altro è stata in pochi o in nullo fuor di lui; perchè pare che la Natura tiri o all' uno o all' altro; e quale vantaggia per natura, a quello si suole l'uomo dare. Il Petrarca solo è quello che per dota singolare nell'uno e nell'altro stile fu eccel

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