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Con gli occhi di dolor bagnati e molli
Ti chier mercè da tutti sette i colli.

Questa nobilissima canzone fu diretta dal Petrarca a Cola di Rienzi, che nell'anno 1347 eccitò in Roma una sollevazione, per cui fu eletto tribuno del popolo Romano. " L'amor del Petrarca (dice il Tiraboschi) e il suo "trasporto per Roma gli fece dapprima ravvi"sare in Cola un eroe che dovea rompere i

ferri, fra cui giaceva avvinta, e richiamarla " all'antico splendore. Ma poscia ei riconobbe "pur troppo, che colui non era che un pazzo "frenetico, e si vergognò dell'errore, in cui " era caduto, credendolo destinato a ricondurre "i tempi della Romana Repubblica.

Molti furono i verseggiatori italiani contemporanei del Petrarca, quasi tutti però e per l'umiltà dello stile e per la trivialità de'pensieri a lui infinitamente inferiori. Ma anche in mezzo a quell'umil turba di rimatori sorse un poeta, che non sol conobbe e sentì vivamente il gran pregio delle rime del Petrarca, ma le seppe eziandio felicemente imitare. Fu questi Bonaccorso da Montemagno, nobil cittadin di Pistoja, della qual città fu Gonfaloniero nell'anno 1364, e che si crede aver sopravvissuto di alcuni anni al Petrarca. Le poesie del Montemagnó sono amorose, come per la maggior

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parte son quelle del Petrarca ; e simile fu anche l'origine degli amori loro. Perciocchè anche il Montemagno s'innamorò in una chiesa, come si vede nel seguente sonetto, che può servir di saggio delle sue rime : Erano i miei pensier ristretti al core. Davanti a quel che nostre colpe vede, Per chieder con desio dolce mercede D'ogni antico mortal commesso errore ; Quando colei, che in compagnia d' Amore Sola scolpita in mezzo 'l cor mi siede, Apparve a gli occhi miei, che per lor fede Degna mi parve di celeste onore. Qui risonava allor un umil pianto, Qui la salute de' beati regni,

Qui risplendea mia mattutina stella; A lei mi volsi; e se il Maestro santo Si leggiadra la fece, or non si sdegni, Ch'io rimirassi allor opra sì bella. Anche nel quindicesimo secolo conservossi per alcun tempo il buon gusto Petrarchesco per opera specialmente di Giusto de' Conti e del gran Lorenzo de' Medici protettor magnifico di tutte le arti liberali e della volgar poesia felice coltivatore. Lo stesso può dirsi del Bojardo, d'Agostino Staccoli, del Benivieni e del celebre Poliziano. Ma il Tibaldeo, il Cei e Serafino dall' Aquila, abbandonata la nobil

sem plicità degli antichi, preferiron a quella le arguzie e lo stil concettoso, per cui cordell'età loro e si procaccia

gusto

ruppero il
ron gran fåma.

Ma la gloria di ricondurre i traviati sul buon sentiero, corso già dal Petrarca con tanta félicità, era riserbata a Jacopo Sannazaro, cavalier Napoletano, uomo di grand' ingegno, di vasta letteratura, caro egualmente alle Muse latine ed alle toscane. Questo celebre poeta, nato nel 1458 e morto nel 1530, non solo restituì alla lirica italiana l'eleganza e la nobiltà Petrarchesca, ma l' arricchì del genere pastorale, come si può vedere nella canzone: Alma beata e bella ec. inserita nella sua Arcadia.

"Ma la obbligazione (dice con ragione il " Quadrio) che la volgar poesia e la volgar "lingua hanno ugualmente al Cardinal Pietro "Bembo, gentiluomo Veneziano nato nel 1470 " e morto nel 1547, sono incomparabili. Le "sue rime sarebbero irriprensibili se in esse "non apparisse la troppo studiata imitazion

del Petrarca. Così il Quadrio ed io aggiungo, che quella troppo studiata imitazion del Petrarca, la quale gli fu comune con molti altri Lirici del secolo sedicesimo, è un indizio assai verisimile, che tutte quelle rime amorosè

furono dettate dal desiderio di far de❜bei versi, non ispirate dal sentimento e dal bisogno di sfogar una vera e violenta passione. Non dico io già, che il poeta lirico non possa cantar bene d'amore senza esser innamorato, poichè ben so potersi coll'immaginazione supplire al sentimento; il che se non fosse, non potrebbero i Tragici e gli Epici esprimer le passioni altrui, che certamente non sentono in sè medesimi. Dico soltanto che la cosa è assai difficile e che a pochi è dato di ben eseguirla. Non si deve però dissimulare chè in alcuni componimenti d'argomento non amoroso varj poeti di quel tempo, e specialmente il Molza ed il Guidiccioni, scrissero con qualche novità ed assai nobilmente. Il Molza oltre le sue belle stanze pastorali intitolate La Ninfa Tiberina scrisse anche qualche sonetto dello stesso genere, nel quale si distinse sopra ogn' altro Petronio Barbati. Luigi Alamanni introdusse nella nostra lingua la meccanica costruzione delle odi di Pindaro non però l'estro, i voli e la maravigliosa sublimità di quel poeta incomparabile. Lo stesso avvenne a Bernardo Tasso, che molti salmi e molte odi compose, ma con uno stil troppo languido; nè fu egli animato giammai dal poetico spirito di Davide e d'Orazio.

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Fra i poeti di quest'età non è da dimenticarsi Remigio Nannini o, come soleva esser chiamato, Remigio Fiorentino, il qual introdusse nella volgar poesia lo stile madrigalesco, che tanto piacque poi al Marini, al Guarini e ad altri poeti di tempi posteriorį.

Verso la metà del sedicesimo secolo fioriron primieramente il Coppetta e il Raineri, i quali all' eleganza Petrarchesca aggiunser la nobiltà, la robustezza e la novità dei sentimenti, e si distinser dagli altri con un modo di scrivere franco e talvolta originale. Ma più originale ancora, più grave e più severo è lo stile del celebre Monsignor Giovanni della Casa, nobile Fiorentino ed Arcivescovo di Benevento, nato nell'anno 1503 e morto nel 1556.

Angelo di Costanzo gentiluomo Napoletano usci dal volgo dei servili imitatori del Petrarca, e scrisse non solo con purità ed eleganza, ma con una nobil franchezza e molta esattezza di raziocinio, per cui sarebbe giunto al più sublime grado di perfezione se in gravi ed eroici argomenti si fosse esercitato. Ma anch'egli volle cantar d'amore, e ne' suoi sonetti sostituì alla vivacità della passione le sottigliezze della dialettica ed i raffinamenti d' una fredda metafisica amorosa. Di questi può servir d'esempio il sonetto :

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