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Dí nuovo ella aspirar, ma in verde etate Passò, quasi nel ciel trascorre un lampo; : Vedova la milizia ed orbo il campo Rimase, e de ladroni arte divenne Quella, che nelle tue superbe scuole, Marte, apprender si suole ;

E s' ammutir quando il gran caso avvenne Le lingue tutte, e si stempràr le penne. Ma pur figlio lasciò l'alto Guerriero, Onde il natio terren si fe' giocondo Per nova spene, e non fu già fallace ; Che i fondamenti del Toscano Impero Fermò poi sì che per crollar del mondo Nulla si scuote e sta sicuro in pace, E l'onora l'Ibero e 'l Franco e 'l Trace: Questo lo specchio sia, questo l'oggetto, A cui rivolga vagheggiando i lumi ; Quinci i regi costumi,

Quinci'l valore el senno il pargoletto Tragga, e n'imprimi e formi il molle petto. Ma rivolga ancor gli occhi a' veri e vivi Spegli d'ogni valor; miri il gran Padre Tra 'l Fratel sacro e tra l'armato assiso; Quinci anco i semi di virtù nativi Maturi, e d'alte immagini leggiadre S'empia e fecondi, e i baci lor nel viso Lietamente riceva, e 'l mostri al riso, Con cui ben gli distingua; indi la mane

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Al fianco del gran Zio sicuro stenda,
E la spada ne prenda,

E tra sè volga onore alto e sovrano

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Trofei, vittorie, il Nilo e l'Oceano. Gran cose in te desio, ma ciò, che fora Mirabile in altrui, leve in te sembra; O discesa dal ciel progenie nova, Ch'a te ridon le stelle, a te s'infiora Anzi tempo la terra, a te le membra, Qual pargoletta al ballo, orna e rinnova. Si placa il vento, e l'aria, e l'acqua a prova A te si raddolcisce e rasserena;

E depongon per te le fere il tosco:

Stilla a te mele il bosco,

A te nudre il mar perle ed or la rena',
E scopronti i metalli ogni lor vena.
Mille destrieri a te la Spagna serba,
E mille altri ne pasce il nobil Regno,
Che si bagna nell'Adria e nel Tirreno
De' quai parte con fronte alta e superba
Erra disciolta, e parte altero sdegno
In fumo spira e morde il ricco freno;

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o;

E duolsi il Carrarese, e marmi a pieno

Non stima avere, in cui s'affretti e sudi

Per formar tempi ed archi e simulacri

In tua memoria sacri ;

E Mongibel rimbomba, e in su l'incudi Ti fan già l'arme i gran Giganti ignudi.

Canzon s'a piè reali

Tua fortuna t'invia, prega, ma taci,
E 1 pregar sia con umiltà di baci.

Non ostante il merito incontrastabile di questa canzone, sarebbe forse da desiderarsi, che in alcuni luoghi la sublimità non vi degenerasse in gonfiezza, e la copia in un lusso eccessivo.

MARINI.

GIAMBATTISTA Marini, uomo non meno pei vizj che per le virtù delle sue poesie famosissimo, nacque in Napoli nel 1569, e dopo avere per molti anni soggiornato in Roma, in Torino ed in Parigi, tornato alla patria vi mori nell'anno 1625. La natura il fornì d'un vivacissimo ingegno, per cui essendosi dato inte ramente agli studj poetici sdegnò di seguir le vestigia impresse dagli altri, e volle aprirsi nuove strade in Parnaso o trattando soggetti nuovi o maneggiando i comuni in una nuova maniera. Nelle rime boschereccie e marittime si contentò della novità dei soggetti, e le scrisse per l'ordinario con un'elegante naturalezza.

Ma per esser nuovo negli argomenti amorosi egli non seppe far altro che portare all'eccesso i difetti del Guarini e moltiplicarli. Bisogna però confessare che fra molti difetti

risplendon eziandio molti pregi nelle poesie del Marini fantasia vivace e feconda, elocuzion varia e abbondante, molto brio, molta grazia, e finalmente uno stil vibrato, franco e vivace, che anche da alcuni buoni poeti di tempi posteriori fu poi felicemente imitato.

In un secolo, in cui il buon gusto per uno sfrenato amore di novità era già guasto e corrotto, il Marini doveva piacere e piacque infinitamente doveva avere imitatori e n' ebbe tanti, che non si possono quasi annoverare I più famosi furono Girolamo Preti e Claudio Achillini ambedue Bolognesi, ambedue dotti giureconsulti, ma disgraziatamente per l'abuso del loro acuto ingegno nella scuola Marinesca, che finiron di depravare, ambedue pessimi verseggiatori.

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CHIABRERA,

un sublime poeta, anteriore al Marini di nascita e morto dopo di lui, non lasciossi abbagliare dai falsi splendori di quel famoso poeta, nè sedurre dagli applausi con cui era no celebrati quasi universalmente. Esaminate le proprie forze, e sentitosi capace di salire all'altezza dei lirici Greci, egli sollevò la vol、 gar poesia ai modi sublimi di Pindaro e l'ornò

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colle grazie d'Anacreonte. Questi pochi cenní bastano per indicare, ch'io parlo di Gabriello Chiabrera. In alcune memorie della sua vita, scritte da lui medesimo con uno stile non men franco e nervoso che puro ed elegarte, egli così favella de' suoi poetici studj : "Partito poi di Roma e dimorando nel"l'ozio della patria diedesi a leggere libri di 2 poesia per sollazzo, e passo passo si condusse

a volere intendere ciò ch' ella si fosse е 2 studiarvi intorno con attenzione. Parve a lui d'intendere, che gli scrittori Greci meglio "l'avessero trattata, e di più si abbandonò tutto in loro; e di Pindaro si maravigliò, e prese ardimento di comporre alcuna cosa a " sua somiglianza e scrisse alcune "canzoni, per quanto sosteneva la lingua volgare, e per quanto a lui bastava l'ingegno veramente non grande, alla sembianza di Anacreonte e di Saffo e di Pin daro e di Simonide.

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Io confesso che questo insigne poeta, nato nell'anno 1552 e morto nel 1638 in età d'anni 86, non è superiore ad ogni censura, Confesso che ha scritto troppo, e troppo si è abbandonato alla sua estrema facilità di far dei versi sonori, ma talvolta più prosaici che poetici, più turgidi che maestosi; che molte

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