Della partenza mia. Nel sonno intesi Sento dell' anima Le smanie e i palpiti Forrieri della morte. O nembo, o nembo, Perchè venisti dal rotar del lago? Fischiò tra le piante La penna sonante; Sparve il mio sogno e la diletta immago Pur ti vidi, amor mio: volava al vento L'azzurra vesta Di nebbia in testa ; Eran sulle sue falde i rai del sole. Elle a quei di luce ardevano E splendevano, Com' oro di stranier risplender suole. A consolar Malvina in tante pene; Discendono le lagrime Con le notturne, rugiadose stille, Oscar, te vivo, ero una pianta altera La morte tua, com' orrida bufera, Venne, e scosse i miei rami e i fior sì belli. Poscia tornò la verde primavera Con le tepide pioggie e i venticelli. Tornar l'aurette e i nutritivi umori; Ma più non germogliar foglie nè fiori. Le verginelle il mio dolor mirarno, Le dolci corde dell' arpa toccaro. Taciti, o arpa, che tu tenti indarno D'asciugarmi sugli occhi il pianto amaro; Le verginelle pur mi domandarno Lassa, che hai? sì vago era il tuo caro? Er'egli un Sol, che tu l'ami cotanto ? lo stava mesta e rispondea col pianto. LAMENTO DI MINGALA. Dice il sig. Macferson, che giusta un'antica tradizione Dargo figlio di Colath fu ucciso alla caccia da una fiera, e che ancor sussiste il lamento di Mingala amica o sposa di Dargo per la morte del medesimo. Egli veramente non osa determinare se questo componimento sia d'Ossian, come generalmente si crede, o di qualch'altro poeta a lui posteriore; ma, non parendogli privo di merito poetico, egli lo ha pubblicato. Eccone la traduzione del sig. Cesarotti: Già di Dargo lagrimosa Vien la sposa. Dargo è spento, ed ella il sa. Sull' Eroe ciascun sospira. Ella il mira. Infelice, e che farà? Qual mattutina nebbia Anzi a Dargo svania cor fosco e vile, Quasi ad oriental lucida stella Feasi all' apparir suo lucida e bella. O crudel fera! o sventurata amante! Perchè si tosto oimè! lasciata m'hai ? Agli occhi degli eroi; Ma sol Dargo era bello agli occhi suoi. Sola, misera, senza speranza, 2 La notte s'avanza: Del tuo riposo il letto Bella dove sarà ? Nella tomba colà del tuo diletto. Perchè t'affretti a chiudere La casa tenebrosa? Ferma, Cantore, attendila Già già manca la voce soave. All' amato Sposo a lato Va l'amabile a riposar. Udii la scorsa notte Di Larto là nel maestoso tetto Alte voci di gioja e lieti canti: Ahi sventurati amanti! Deserta è la magion, vedovo il letto Dolor v'alberga e tace; Mingala in terra col suo Dargo giace. SCANDINAVI. Di poco posteriori ai poeti dell'antica Caledonia furon quelli delle parti più settentrionali d'Europa, cioè della Danimarca, della Svezia, della Norvegia e dell' Islanda; paesi, che comunemente si soglion esprimere col nome generico di Scandinavi. Il signor Graberg di Hemso vice-consolo di Svezia nella città di Genova in un erudito opuscolo colà stampato nel 1811 cel titolo di Saggio sugli Scaldi o antichi poeti Scandinavi osserva, che la voce Skald, ovvero Skiold deriva dal vocabolo Svegotico Skalla o Skialdre, che significa risuonare, squillare, echeggiare, rimbombare ec. siccome quello di Bardo viene da un verbo Celtico del medesimo significato. Sassone, che nel XII secolo scrisse latinamente la Storia di Danimarca e che per la sua vasta erudizione e l'eleganza dello stile veramente maraviglioso a' tempi suoi fu denominato il Grammatico, scrive nella prefazione, che gli antichi poeti scolpivan ne' sassi i lor versi, e ch'egli sostituendo metro a metro gli ha da quelli trasportati nella sua Storia. Ma io ho non lieve ragion di credere, ch' egli nel sostituire i metri latini agli Scandinavi abbia colle sue amplificazioni e colla continua sostituzione della mitologia Greca a quella degli Scaldi talmente sfigurati gli originali, che in essi o poco o nulla più resti della forma loro primitiva. Ne servan di prova i due carmi di Hartgrepa inseriti nel libro I della Storia, in un de' quali quella maga |