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Superba nave a fabbricare intento
Dal Libano odorato i cedri tolga
Industre fabro, e sciolga

Lucida vela di tessuto argento;
Seriche sian le funi, e con ritorto
Dente l'ancora d'or s' affondi. in porto :
Non pertanto avverrà che meno ondose
- Trovi le vie de i tempestosi regni,
Ed a i preziosi legni

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Le procelle del mar sian più pietose;

Nè che forza maggior l'argentee vele

Abbian contro il furor d' austro crudele.
Che giova all' uom vantar per anni e lustri
Degli avi generosi il sangue e 'l merto,
E in lungh' ordine e certo

Mostrar sculti o dipinti i volti illustri ;
Sel nobil e 'l plebeo con egual sorte
Approda ai liti dell' oscura morte ?
Là dove i neri campi di sotterra
Stige con zolfo liquefatto inonda,
E con la fetida onda,

Dell'inferna città l'adito serra,

Stassi nocchier che con sdruscita barca
La morta gente all'altra sponda varca.

Ivi il guerrier del rilucente acciaro
Si spoglia, ivi 'l tiranno umil depone
Gli scettri e le corone,

E l'amato tesor lascia l'avaro ;

Chè il passaggier della fatal palude Nega partir se non con l'ombre ignude. O tu qualunque sei che gonfio or vai

Più degli altrui che de' tuoi fregi adorno,
Dopo l'estremo giorno

Più cortese nocchier già non avrai ;
Ma nudo spirto ombra mendica e mesta
Varcar ti converrà l'onda funesta.
Orgoglioso pavone, a che ti vante
Del ricco onor delle gemmate piume?
Gira più basso il lume

De' tuoi fastosi rai, mira le piante.
Copriran breve sasso angusta fossa
Le tue superbe sì, ma fracid' ossa.
Da preziosa fonte il Tago uscendo
Semina i campi di dorata arena.
Ma, qual ruscel ch'appena

Vada con poche stille il suol lambendo,
Sen corre al mar, nè più fra i salsi umori
Raffigurar si pon gli ampi tesori.

De i tiranni alle regie ed ai tuguri
De i rozzi agricoltor con giusta mano
Picchia la morte. Insano

È chi spera sottrarsi ai colpi duri:
Grand' urna i nomi nostri agita e gira,
E cieca è quella man che fuor li tira.
Sola virtù del tempo invido a scherno
Toglie l'uom dal sepolcro e 'l serba in vita.

Con memoria gradita

Vive del grande Alcide il nome eterno,
Non già perchè figlinol fosse di Giove,
Ma per mille, ch' ei fece, illustri prove.
Ei giovinetto ancor in doppio calle
Sotto il piè si mirò partir la via:
Ar sinistra s'apria

Agevole il sentier giù per la valle; Fiorite eran le sponde, e rochi e lenti Quinci e quindi scorrean liquidi argenti. Ripida l'altra via, scoscesa, alpestra

و

Salia su per un monte e bronchi e sassi Ritardavano i passi :

Generoso le piante ei volse a destra, E ritrovò il sentier dell' erto colle, Quanto più s' inoltrava, ognor più molle. Onda fresca, erba verde, aura soave Godean l'eccelse e fortunate cime. Quivi tempio sublime

Sacro all'eternità con aurea chiave
Virtù gli aprio; quindi spiegò le penne,
E luogo in ciel fra gli altri Numi ottenne.
Enea, s' allo splendor degli avi egregi
Di tua propria virtute aggiungi il raggio,
Al paterno retaggio

Accrescerai di gloria incliti fregi:
Io da lungi t'applaudo e riverente
Adoro del tuo crin l'ostro nascente,

RED I.

FRANCESCO Redi Aretino, medico e filosofo per le molte e dotte sue opere di fisica, di medicina e di storia naturale celebratissimo, non fu schivo d' applicarsi anche agli studi poetici, ed oltre al suo bel Ditirambo intitolato Bacco in Toscana scrisse molti sonetti, sessanta de' quali furon pubblicati dopo la sua morte, tutti pieni d'una giudiziosa novità, e non mai infetti del gusto depravato de' suoi tempi. Sarebbe nondimeno da desiderarsi, che alcuni de' suoi pensieri fosser meno ingegnosi e più naturali. Egli nacque nel 1626; morì nel 1697.

Naturalissimi e felicemente espressi sono i pensieri del seguente sonetto fatto ad imitazione della Ballata di Dante :

O voi, che per la via d'Amor passate,
Eccolo:

Donne gentili devote d' Amore,

Che per la via de la pietà passate,
Soffermatevi un poco, e poi guardate,
Se v'è dolor, che agguagli il mio dolore.
De la mia donna risedea nel core,

Come in trono di gloria, alta onestate;
Ne le membra leggiadre ogni beltate,
E ne' begli occhi angelico splendore.

Santi costumi e per virtù baldanza,
Baldanza umile ed innocenza accorta,
E fuor che in ben oprar nulla fidanza.
Candida fè, che a ben amar conforta,
Avea nel seno, e ne la fè costanza;
Donne gentili, questa donna è morta.
Verso la fine del secolo XVII, e ne' primi
anni del seguente fiorirono tre altri Lirici di
gran merito, il Menzini, il Filicaja ed il
Guidi.

MENZINI.

BENEDETTO Menzini nacque in Firenze nel l'anno 1646, e di là passato a Roma nel 1685 vi dimorò fino al 1704, che fu l'ultimo della sua vita. Egli fu grand' amico del Redi, dal quale nel Ditirambo è appellato :

Il grande anacreontico ammirabile

Menzin.

E da lui animato continuò ad esercitarsi negli studj poetici, seguendone saggiamente l'esempio col tenersi lontano dal gusto depravato. Ma, mentre il Redi in più severi studj occupato sol qualche volta si volgeva alla poesia per sollazzarsi, il Menzini consacrossi interamente alla medesima, e dall'esempio del Chiabrera incorag giato prese ad imitar Pindaro ed Anacreonte. Fra le sue canzoni eroiche divise in sei libri, ne ha

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