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Non perchè eterno inchiostro a te lavori Fama eterna, e per te sudi ogn' ingegno; Ma perchè Iddio s'onori,

E al suo gran Nome adorator non manchi? Quando sapran, che d'ogni esempio fuori Con profondo consiglio,

Per salvar l' altrui regno, il tuo lasciasti?
Che 'l capo tuo donasti

Per la fè, per l'onore al gran periglio,
El figlio istesso, il figlio

De la gloria e del rischio a te consorte
Teco menasti ad affrontar la morte?
Secoli, che verrete, io mi protesto

Che al ver fo ingiuria, e men del vero è quello, Ch'io ne scrivo, e favello.

Chi crederà l'eroico dispregio.

Di prudenza e di te, che assai più bello
Fa di tue palme il pregio?

Chi crederà, che a te medesmo infesto,
E a te negando il maestevol regio

Titol di mano in mano

Sia tu in battaglia a' maggior rischi accinto,
Non da gli altri distinto,

Che nel vigor del senno e de la mano ;
Nel comandar sovrano,

Ne l'eseguir compagno, e del possente Forte esercito tuo gran braccio e mente? Ma in quel ch'io scrivo d'altri allôr la fronte

Tu cingi, e nuove sotto ferreo arnese
Tenti e più chiare imprese.

Or dà fede al mio, dir. Non io l'Ascreo,
Che già la sete giovenil m' accese,
Torbido fonte beo:

Mia Clio la Croce e mio Parnasso è 'l Monte,
Quel Monte in cui la grande Ostia cadeo.
Se per la fè combatti,

Va, pugna e vinci. Su l'Odrisia terra
Rocche e cittadi atterra,

E gli empi a un tempo e l'empietade abbatti.
Eserciti disfatti

Vedrai, vedrai (pe' tuoi gran fatti il giuro )
Cader di Buda e di Bizzanzio il muro.
Su su, fatal guerriero: a te s' aspetta
Trar di ceppi l'Europa, e 'l sacro Ovile
Stender da Battro a Tile.

Qual mai di starti a fronte avrà balia
Vasta bensì, ma vecchia, inferma e vile
Cadente Monarchia

Dal proprio peso a ruinar costretta?
Sel ver mi dice un' alta fantasia,
Te l'usurpata sede

Greca tel greco inconsolabil suolo,
Chiama te chiama solo,

Te sospira il Giordano: a te sol chiede
La Galilea mercede :

A te Betlemme, a te Sion si prostra,

E piange e prega e'l servo piè ti mostra.

Vanne dunque, Signor: se la gran Tomba Scritto è lassù, che in poter nostro torni; Che al suo Pastor ritorni

La Greggia, e tutti al buon popol di Cristo Corran de l'uno e l'altro polo i giorni ; Del memorando acquisto

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A te l'onor si serba. Odi la tromba

Che in suon d'orrore e di letizia misto
Strage a la Siria intima.

Mira, come or dal cielo in ferrea veste
Per te Campion celeste

Scenda, e l'empie falangi urti e reprima,
Rompa, sbaragli, opprima.

Oh qual trionfo a te mostr'io dipinto ! Vanne, Signor, se in Dio confidi, hai vinto.

A

GUIDI.

LESSANDRO Guidi nacque nel 1650 di onesti genitori in Pavia, ed ancor giovane andò a Parma, ove dal Duca Ranuccio II fu bene accolto e nella sua corte onorevolmente impiegato. Quivi, dice il Crescimbeni, aver lui avuto agio d'applicarsi agli studj principalmente della poesia italiana. Come il Testi o' fu sedotto dal pessimo gusto che a' suoi gior ni regnava universalmente in Italia, e come lui scrisse, poi pubblicò nel 1681 un volu

metto di rime cattive, a dir vero, ma qua e là sparse di bei lumi poetici. Col consenso del Duca suo signore andò a Roma nel 1683, ove fu introdotto nella corte di Cristina Regina di Svezia, che già per fama lo conosce va, e che, invogliatasi d'averlo presso di sè, ue fece richiesta al Duca di Parma, il quale non senza rincrescimento v'acconsenti

Non era di que' tempi affatto estinto in Roma il buon gusto, ma un picciol numero di saggi letterati, deplorandone la perdita, am-. mirava i buoni scrittori Greci e Latini, e fra gl' Italiani Dante, il Petrarca ed il Chiabrera. Con questi il Guidi fortunatamente strinse amicizia, ed essi, conosciuta la docilità e l'ingegno suo, lo indussero ad abbandonare il cattivo sentiero e volgersi all' imitazione di Pindaro e del Chiabrera, alla sublimità de'quali il vedevano ottimamente disposto dalla natura. Il Guidi fu docile, e spógliatosi de' pregiudizj passati si riformò totalmente così ne' pensieri, come nell' elocuzione. Cominciò dall'imitazione del Chiabrera, passò poi a quella di Pindaro, ma in un modo tutto suo, per cui potè forse dir con ragione parlando di sè medesimo:

Non è caro agli Dei Pindaro solo.

Il primo saggio, ch'ei diede della sua nuova

maniera di scrivere, fu una bella canzone da lui composta per ordine della Reina di Svezia in morte del Baron d'Aste ucciso nell'assedio di Buda, nella quale assai felicemente imitò la maniera e lo stil Chiabreresco. Il metro di questa canzone è regolare, e regolare è pur quello di altre quattro, che il Guidi scrisse in lode della sua protettrice la Reina di Svezia." Ma poi (dice il Crescimbeni » nella Vita di questo poeta) abbandonò affatto il metro regolato, e diedesi totalmente "a comporre con armonia varia ed irregolare. Ma a dire il vero se egli per la gran » finezza d'armonia, che aveva nell'orecchio, " non avesse procurato di collocare i versi

interi e i rotti siccome anche le rime con opportuno riguardo, e non avesse maneg"giata la punteggiatura con particolar giudi"zio, sì fatte sue canzoni sarebbero parute un accidentale accozzamento di versi. «

Oltre alle canzoni abbiamo del Guidi un'accademia per musica, la Dafne cantata, l'Endimione dramma, ed una parafrasi o imitazione poetica delle Omelie del Sommo Pontefice allor regnante Clemente XI; della qual opera ei fece fare una magnifica edizione. Ma partito da Roma per andar a presentarne un esemplare all'anzidetto Clemente XI, che allora

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