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Dee ne' verdi anni suoi con cor securo
Tra i primi offrire a nobil morte il petto.
L'uomo un altr'uomo assalga o a lui resista:
La nobil arte è questa,

Che a' forti eroi gloria immortale appresta.
Tra l'orrendo fragor di spade ed aste
Ardito e pronto sia

Chi all'amata piacer donna desia. Noi pugnammo coi brandi:

Ma in questo giorno io scerno

E provo in me, che gli uomin strascinati
Di lor destin son dal decreto eterno,
E che ben rado avviene,

Che al voler delle Fate alcun resista.

Fors' io creduto avrei,

Che ad Ella riserbata la fin trista
Fosse de' giorni miei ?

L'avrei creduto io allora

Che sebben mezzo estinto

Scorrer facea fiumi di sangue ancora ;

O quando feci ne' Scozzesi golfi
Precipitose correre le navi,

E alle bestie selvagge

Preparai tanta preda in quelle spiagge?
Noi pugnammo coi brandi;

Ma di gioja mi colma ora il pensiero
Del festoso banchetto

Ch'oggi Odin nel suo tetto

Splendido mi prepara. Ah! tosto tosto
Potrò coi Numi la cervogia bere ;

E il cranio d'un nemico

A me sarà bicchiere.

Mai non teme la morte il valoroso
E voci di spavento

Da' labbri miei non usciran per certo
Quando di gloria onusto

Io d' Odino entrerò nel tetto augusto.
Noi pugnammo coi brandi:

Ah! sora fosser noti i miei tormenti
A' figli miei valenti

Nell' armi; se sapessero che il seno
Mi strazian serpi pregne di veleno ;
Da quale ardor fora ognun d'essi spinto
A vendicar con pugne orrende il padre
Si crudelmente estinto ?

Poichè la saggia madre,

Ch'io diedi lor, vivo mai sempre in core Serbò de' figli il bellico valore.

Noi pugnammo coi brandi

In cinquantun conflitti, e femmo all' aure Sventolar gli stendardi.

Io non appresi tardi

A tollerare i bellicosi affanni;

Ma fin da' miei primi anni

D' umano sangue rosseggiar la punta
Feci dell'asta mia..

Un Re trovar di me più valoroso
Non io per certo mai credetti pria.
Ma che più tardo ancora?
Si tronchi ogni dimora.

Eco già le sue Dive Odin m'invia,
Che al suo tetto splendente

Mi condurran repente.

Io tosto andrò a sedere

Sui più sublimi scanni.

Andrò insiem cogli Dei la birra a bere.
Ma son giunti al fin loro

1 dì del viver mio: ridendo io moro.

ANCAR

ASBIORNO PRUDA.

NCHE Ashiorno Pruda celebre eroe Danese caduto nelle mani del gigante Brusone, dal quale dopo lunghi e atroci tormenti fu crudelmente ucciso, cantò prima di morire un carme, in cui rammentava le varie vicende di sua vita e le valorose imprese così di sè stesso come del suo amico Ormus. Questo carme è inserito nella cronaca di Ormus Storolssonar, e riferito da Tommaso Bartolino alla pagina 158 e seguenti delle Antichità Daniche è composto di nove strofe, due non contengon altro che una lunga filza di nomi proprj. Io dunque, lasciatele da

ma

parte, ho volgarizzate l' altre nel modo se

guente:

Vansvita madre mia

In Danimarca ragguagliata or sia,
Che alla prossima estate

Non saranno da lei

Le chiome del suo figlio pettinate.
Io lo promisi, è ver, che tornerei ;
Ma l'ora, io credo, è giunta,
In cui con gran dolore
Mi sarà dalla punta

D'acuta spada lacerato il core,
La cosa andò altramente

Quando fra le domestiche pareti
Sedevam la cervogia a bever lieti;
E allora che del mare

Solcammo il sen dall' Ordalandia usciti ;
E quando ne' conviti

Vôtammo di vin dolce le inguistare,
Trattenendoci in bei ragionamenti
Sempre allegri e ridenti.

Ma solo ora caduto io son dei duri
Giganti negli orribili abituri.

La cosa andò altramente

Allor che uniti tutti

Del mar fendemmo i flutti.

11 nobil di Storlof figlio guerriero

Per lo mar d' Oresund sue lunghe navi

Venini, vol. II,

3

Guidando allor d' armati e d'armi gravi,

Il capo sulla prora ergeva altero;

Ma deluso io caduto or son dei duri
Giganti negli orribili abituri.

La cosa andò altramente

Allor che uscì alla pugna Ormus tremendò, Alle fiere selvagge

Lieta bevanda offrendo

Dell'uman sangue sparso in quelle spiagge,

Molti fecer cadere

D'Isa alla foce i colpi di sua mano;
E pascolo gradito ebber le fiere

Dagli uomini, che morti ei stese al piano. La cosa andò altramente

Quand' io ver l'Austro all'isole n'andai
D'Elfarsker e pugnando ardito e baldo
Molti in pezzi tagliai

Col ferro acuto e pe' gran colpi caldo.
I dardi suoi sovente

Ormus scagliò utilmente,

E più allor, ch' ei pirati

Strenui incontrava e a trattar l'armi usati.

La cosa andò altramente

Quando nessun di noi

Fu a combatter restio.

I nostri incliti eroi

lo ben di rado col consiglio mio

Ho dal pugnar distolti:

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