Dee ne' verdi anni suoi con cor securo Che a' forti eroi gloria immortale appresta. Chi all'amata piacer donna desia. Noi pugnammo coi brandi: Ma in questo giorno io scerno E provo in me, che gli uomin strascinati Che al voler delle Fate alcun resista. Fors' io creduto avrei, Che ad Ella riserbata la fin trista L'avrei creduto io allora Che sebben mezzo estinto Scorrer facea fiumi di sangue ancora ; O quando feci ne' Scozzesi golfi E alle bestie selvagge Preparai tanta preda in quelle spiagge? Ma di gioja mi colma ora il pensiero Ch'oggi Odin nel suo tetto Splendido mi prepara. Ah! tosto tosto E il cranio d'un nemico A me sarà bicchiere. Mai non teme la morte il valoroso Da' labbri miei non usciran per certo Io d' Odino entrerò nel tetto augusto. Ah! sora fosser noti i miei tormenti Nell' armi; se sapessero che il seno Poichè la saggia madre, Ch'io diedi lor, vivo mai sempre in core Serbò de' figli il bellico valore. Noi pugnammo coi brandi In cinquantun conflitti, e femmo all' aure Sventolar gli stendardi. Io non appresi tardi A tollerare i bellicosi affanni; Ma fin da' miei primi anni D' umano sangue rosseggiar la punta Un Re trovar di me più valoroso Eco già le sue Dive Odin m'invia, Mi condurran repente. Io tosto andrò a sedere Sui più sublimi scanni. Andrò insiem cogli Dei la birra a bere. 1 dì del viver mio: ridendo io moro. ANCAR ASBIORNO PRUDA. NCHE Ashiorno Pruda celebre eroe Danese caduto nelle mani del gigante Brusone, dal quale dopo lunghi e atroci tormenti fu crudelmente ucciso, cantò prima di morire un carme, in cui rammentava le varie vicende di sua vita e le valorose imprese così di sè stesso come del suo amico Ormus. Questo carme è inserito nella cronaca di Ormus Storolssonar, e riferito da Tommaso Bartolino alla pagina 158 e seguenti delle Antichità Daniche è composto di nove strofe, due non contengon altro che una lunga filza di nomi proprj. Io dunque, lasciatele da ma parte, ho volgarizzate l' altre nel modo se guente: Vansvita madre mia In Danimarca ragguagliata or sia, Non saranno da lei Le chiome del suo figlio pettinate. D'acuta spada lacerato il core, Quando fra le domestiche pareti Solcammo il sen dall' Ordalandia usciti ; Vôtammo di vin dolce le inguistare, Ma solo ora caduto io son dei duri La cosa andò altramente Allor che uniti tutti Del mar fendemmo i flutti. 11 nobil di Storlof figlio guerriero Per lo mar d' Oresund sue lunghe navi Venini, vol. II, 3 Guidando allor d' armati e d'armi gravi, Il capo sulla prora ergeva altero; Ma deluso io caduto or son dei duri La cosa andò altramente Allor che uscì alla pugna Ormus tremendò, Alle fiere selvagge Lieta bevanda offrendo Dell'uman sangue sparso in quelle spiagge, Molti fecer cadere D'Isa alla foce i colpi di sua mano; Dagli uomini, che morti ei stese al piano. La cosa andò altramente Quand' io ver l'Austro all'isole n'andai Col ferro acuto e pe' gran colpi caldo. Ormus scagliò utilmente, E più allor, ch' ei pirati Strenui incontrava e a trattar l'armi usati. La cosa andò altramente Quando nessun di noi Fu a combatter restio. I nostri incliti eroi lo ben di rado col consiglio mio Ho dal pugnar distolti: |