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" fu uno de' più celebri avventurieri del suo " tempo. Egli aveva trascorsi tutti i mari del Settentrione, e corseggiato anche nel Mediterraneo e sulle coste d' Affrica. Ferito nella battaglia, in cui il santo di lui fratello perdette colla vita il regno, se n'era fug"gito per la Svezia in Russia, ove dimorò "per qualche tempo alla corte di Jaroslao

amico di Sant' Olavo, e padre di Ellisif, " ossia di Elisabetta, di cui rimase innamorato Haraldo. Ma questa fu per lunga stagione " insensibile a tutto lo splendore della gloria " di lui e delle azioni eroiche, che andava " eseguendo per piacere ad essa, come si ve"de nell'ode, ove si lamenta amaramente del " di lei rigore e disprezzo. Ei la sposò per "altro dopo molti anni, duranti i quali ‘avea "girato l'Europa ed il Mediterraneo come cavalier errante. «

L'originale dell' ode di Haraldo si legge

nella

cronaca detta Knillinga e nelle Antichità Daniche del Bartolino alle pagine 155 e seguenti, accompagnato da una version letterale in latino, che io ho volgarizzata nel modo seguente:

Lungo tutte le sponde

Della Sicilia navigò il mio legno,
E nel fender quell' onde

Ognun di noi fu strenuo e d'onor degno.
Solcò la negra prora

Da noi condotta il mar prosperamente,
E così spero solcherallo ognora
Memore delle pugne di mia gente.
Ma una vergine regia

Di Russia mi dispregia.
Quando coi Drontemesi

Pugnammo il numer loro era maggiore;
Ma fur da noi prostesi,

E il numero fu vinto dal valore.
Nella battaglia atroce

Io giovinetto ancor pugnando ho estinto
Un giovin Re nell' armi anch'ei feroce,
Ma superato dal mio braccio e vinto.
Puré una vergin regia

Di Russia mi dispregia.
Sedici remiganti

In quattro scarmi spingevam la nave
Sopra l'onde spumanti,

Quando il mar gonfio per tempesta grave
Sorse, e v'entraro i flutti:

Ma in breve tempo la vôtammo noi.
Inondò il mare i legni carchi. Io tutti
Spero di vincer sempre i rischi suoi.

Ma una vergine regia
Di Russia mi dispregia,

In otto cose esperto

Sono assai ben. Combatto coraggioso.

Sul destrier non incerto

Mi reggo. A noto vo pel mare ondoso.
So col calzar di legno

Rapidamente scorrere sul ghiaccio.
So diritto lo stral spingere al segno,

E il remo maneggiar con forte braccio.
Ma una vergine regia

Di Russia mi dispregia.
La vedova negarmi

Non potrà nè la vergine, che ardito.
E pronto io trattai l'armi

Quando di terra austral sceso sul lito
Al nascer dell' aurora

Presso le mura fui d'una cittate.

Là pugnai virilmente, e grandi ancora Orme v' han là dal valor mio stampate Ma una vergine regia

Di Russia mi dispregia.

lo colà nato sono,

Ove bene i Norvegi incurvan gli archi
Odiosi al Colono:

I miei navigli son d'armati carchi.
Or vicino alla sponda

Li fei su scogli scricchiolar latenti;
Or dell'immenso oceano sull'onde.
Terre cercai lontane e nove genti.

POESIA LIRICA DEGLI ARABI
E DEI PROVENZALI.

ARABI.

Ho già detto parlando del libro di Giobbe, che San Gregorio e con lui molti eruditi scrittori son d'opinione che Giobbe medesimo di patria Idumeo l'abbia scritto nella propria lingua, cioè nell' arabica, dalla quale Mosè l'abbia poi trasportato all'ebraica. Or se questo è vero, noi dobbiam dire che gli Arabi furono i primi coltivatori della lirica poesia. In quanto pregio fra loro sieno sempre stati i poeti si può vedere in un bell'opuscolo del sig. Francesco del Furia bibliotecario della Laurenziana di Firenze, intitolato Saggio di Paesia Arabica, il quale è il primo della collezione d'Opuscoli scientifici e letterarj stampati in Firenze nel 1807. Egli dice che un poema era considerato dagli Arabi come il colmo dell' umano sapere, che produceva fra loro una specie d'emulazione e uno spirito di gara e di rivalità; per cui alla fiera di

Alochad concorrevano non solo i negozianti per ispacciare le merci loro, ma i poeti eziandio per produrre e recitare a gara le lor composizioni. Quivi si pronunziava il giudizio sopra il merito dei poeti; il vincitore era annoverato fra i sapienti, ed i suoi versi erano conservati ne' tesori dei Re.

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"Uno scrittore Arabo, dice il sig del Furia, che conservasi nella famosa biblioteca dell' Escuriale Abi-Bachér, ci dà anch'esso un'esattissima idea dell'origine e de' progressi dell' arabica poesia nella sua grand' opera. intitolata: Le gemme della letteratura ed il " tesoro de poeti. L'arte poetica, dic' egli, " ne'secoli d'ignoranza ossia avanti l'epoca " di Maometto prima che in altre parti d'Arabia fu conosciuta e praticata nelle tribù di Rabiaa. Quivi ebbero i loro natali poeti "celebratissimi Agscéo, Tarfa e Mohaldhèl, " che fu il primo a scrivere componimenti più lunghi del solito portandoli fino a trenta " versi. 66

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Da quella tribù passò la poesia in varie altre, ove fiorirono molti insigni poeti; fra i quali sette sono considerati come i più eccellenti, e furon posti nel numero degli appesi, perchè i poemi loro scritti per pubblico de-, creto a caratteri d'oro sopra stoffe di seta

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