Egiziana , furon appesi alia porta del tempio della Mecca. Cinque di loro furon anteriori a Maometto, due contemporanei, cioè Amralcais che fu suo rivale e lo infanò con velenose satire, e Lebid che ne scrisse la difesa, A questo proposito io aggiungerò un sin. golare avvenimento d’un altro poeta Arabo , di cui parla l' Herbelot nella Biblioteca orientale, e più distintamente l'Abate de Marigny nella Storia degli Arabi sotto il governo de Calífi. Era questi un certo Caab che aveva colle sue satire oltraggiato Maometto e domandava d' essergli presentato per recitargli alcuni versi composti in sua lode. Maometto non ricusò d'ascoltarlo, ed il poeta incoraggiato dalla serenità del volto di lui gli recitò un componimento così energico e tenero, che Maometto per ricompensarlo, levatosi il mantello che aveva in dosso, lo pose sulle spalle del suo panegirista. Cosa molto desiderabil sarebbe, che il dotto bibliotecario della Laurenziana avesse pubblicato un buon numero di poetici componimenti tratti dai codici che gli han conservati. Ma i saggi ch'egli ne dà son pochi e tutti assai brevi. Di questo numero sono i quattro versi seguenti improvvisamente recitati dal poeta Alaldino # Malhèc Al-daber Re d'Egitto per consolarlo nella sua afflizione, e dal monarca Voler del Cielo decretò, pur fia. Convien dire o che questi versi abbian nell'originale un'eleganza straordinaria , o che estrema fosse la generosità del Re che ricompensò così largamente. Ecco gli altri saggi recati dal sig. del Furia. Vergin donzella a me le tazze appresta, Cui brillan gli occhi qual giardin fiorito, Questi versi son tratti da una canzone , nella quale ricorre cinquanta volte la parola ghain, cioè occhio, e sempre usata in diverso significato. Anche in mezzo alle guerre componevano i poeti arabi versi amorosi ; e di questo numero sono i seguenti di Sandite. Quando fremon fra noi l'aste guerriere E bevon de'nemici il nero sangue, Sempre di te ragiona il mio pensiere. Ma oh! ciel che tosto pallido ed esangue Dell’amor tuo morbo crudel m'assale , E l'egro spirto affaticato langue. È l'amor tuo perdona i miei desiri Valadata, figlia del Re Mostaefi Billah fa ammaestrata in ogni genere di letteratura , coltivò la poesia e fu anche dotata d'una bellezza singolare . Di questa ella si lagnava in un' adunanza di poeti co' versi seguenti: So che le mie pupille Vi feriscono il core, e i vostri sguardi L'eruditissimo Schultens, avendo trovato in un codice della biblioteca di Leida upa raccolta di poesie arabiche, le pubblicò accompagnate da una sua version latina nelle giun, te ch' ei fece alla grammatica arabica dell'Erpenio. lo darò due di questi componimenti come saggi della lirica degli Arabi di un'epoca che per verità non mi è nota , ma che ho ragion di credere non di poco poste : riore ai tempi di Maometto. L'autore del primo saggio è un certo Taabata Sjerran. Era costui solito di raccogliere il mele alla cima d'un monte, alla quale per una sola strada si poteva salire . Questa gli fa chiusa dai Lihjamiti suoi nemici, i quali gli proposer la scelta o di darsi prigione in man loro o di salvarsi scendendo per gli scoscesi dirupi del monte ; cosa da loro creduta assolutamente impossibile. Il coraggioso Taabata non disperò di potervi riuscire , e tosto immaginò il mezzo di farlo. Versò per terra il mele che aveva raccolto e chiuso in un'otre , e con questo fasciatosi bene il petto ed i fianchi sdrucciolò illeso per gli scogli precipitosi e giunse a salvamento. Tal è il soggetto dei versi arabici di questo poeta , che io ho procurato di esprimere coi seguenti italiani traducendoli dalla prosa latina dello Schultens, la quale a dir vero non è nè elegante nè chiara : Se l'uomo non è astuto Quando un caso difficile e importante E a lui sopravvenuto, Fuga è costretto di salvarsi alfine, Mai dalla dritta via E affronta ogni periglio. L'uom più accorto fia poi, Sa ben dell'altra prevalersi, e n'usa. Poi ch' ebbi l'otre mió del mel võtato Ignudo a lor mostrando il fianco mio,: E ch'io scelga volete, Preferisce la morte a vil servaggio. Quel, che di fare intendo, al cor dichiaro ; Che tutto quel, ch' io voglio, è a far disposto. L’otre vôto io m'avvolgo attorno al petto , Venini , vol. II. 4 4 |