Di disastri è un'officina, Vuol di tutti la ruina; Ma non fora anzi sua gloria Dimmi, Amor, se in tanti mali Oh! com' io sarei beato Bene il può; che in sè unisc' ella Ha nel volto gigli e rose. Il primo di questi componimenti a me sembra pieno di quella elegante soavità, che più di cent'anni dopo introdusse nella poesia italiana il Petrarca. Per l'intelligenza del secondo sappia il lettore, che Amore e Mercede nella mitología provenzale son due divinità, Venini, vol. II. 5 و dalla prima delle quali procedon le pene degli amanti, e dalla seconda il sollievo loro. Questa canzonetta potrebbe dirsi degna di Anacreonte, se la grazia non ne fosse alterata da quel duro ed aspro ramo a cui il poeta, senz'averne mai parlato, si dice sospeso, e da quelle fredde e puerili espressioni: la miglior delle migliori, che val più di tutti i valori. Ma io non ho voluto nella mia traduzione allontanarmi dalla prosa francese della Storia de' Trovatori. i ANSELMO FAIDIT. GAUCELMO, o come altri vogliono, Anselmo Faidit, quello probabilmente di cui il Petrarca ha parlato nel verso: Amerigo, Bernardo, Ugo ed Anselmo, nacque in Uzerche, borgo della diocesi di Limoges. Fu in sua gioventù assai dissoluto e dedito al giuoco per modo, che in breve tempo dissipò tutto il suo avere a quello dei dadi. Egli non fu allora, come già Orazio dall'audace povertà spinto a far versi, chè non era ancor da tanto; ma, non sapendo ancor verseggiare egli stesso, prese a cantare i versi degli altri; il che molti facean di que' tempi nelia Francia meridionale, i quali eran chia mati Giuglari. Ma col cantare i versi degli altri Faidit si venne accostumando a comporne, e dalla profession di Giuglare passò a quella di Trovatore. Corse qua e là per molti anni cantando a prezzo i proprj versi e gli altrui; ma quanto egli con quest'esercizio si guadagnava, altrettanto spendeva mangiando e bevendo fuor di misura. Fu caro a molti Principi e singolarmente a Riccardo I re d'Inghilterra, per la cui morte accaduta nell'anno 1199 compose un bellissimo canto funebre pubblicato in prosa francese nella Storia Letteraria dei Trovatori, e da me, quanto più fedelmente ho potuto, volgarizzato colla `seguente canzone : Oh infortunio fatale! oh sorte acerba ! lo non fui privo ancor d' un tanto bene, Ne oppresso ohimè! da si crudel tormento. Una misera vita a me mi serba, In cui dal pondo oppresso di mie pene Di valore e di gloria eterna degno Prence, ch' or io doglioso A celebrar col canto e a pianger vegno. Degli Angli ohimè! il pugnace Signore, il gran Riccardo estinto or giaee. Nel corso di mill' anni uomo si prode Nè che di generoso abbia egual lode, Alessandro di Dario vincitore ; Non Carlo e non il chiaro Artùs mai l'uguagliaro Nella virtù, nel senno e nel valore. La parte ch' ei domò, l'altra lo ammira. In questo secol perfido e crudele Raro prodigio è che trovar si possa Degli uomin grave ora in Riccardo estinto Spenta ha la gioja nostra ; E lo splendor del mondo oppresso e vinto. Da morte, il paventarla all' uom che giova? O generoso e saggio Re che fia Dell' armi, estinto te, de' torniamenti E delle corti splendide e regali? Che fia di quei, che tu innalzasti pria Signor, della tua dura dipartita Dar fine non potranno, Se non troncan lo stame di lor vita, Vivendo avrebber solo Inutil desiderio e eterno duolo. Ma il Turco e il Saracin, cui di tua mano Di nova speme allegrano il cor tristo. Popolo sarà poi, varcato il mare و Non volle a' nostri di conceder Dio. Serbato avria te stesso A compier l'alta impresa, e il popol rio Dall'armi tue domato Già fora, e dalla Siria ormai fugato. Me dunque la speranza non consola, Ch' altro Prence magnanimo e guerriero Per liberar la Siria impugni l'armi ; E a questa gloriosa opera sola |