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<< della prima facoltà, cioè di farsi sentire con piacere, e ciò più per difetto « d'abilità in loro, che di pietà ne' cittadini. Che dirò io a V. S. III. di tanti <<< giovani sonettanti, che infestano il nostro paese, persuasi di essere qual <«< cosa d'importante; che dietro a questa vanità, estremamente nociva alle << famiglie e allo Stato, perdono i talenti che dovrebbero esser meglio impiegati? Non vi ha pur uno fra questi che sappia cantar degnamente le lodi << della virtù e del suo principe; pur uno che sia capace di contribuire una <«< commedia od una tragedia al teatro; pur uno che faccia una cosa degna della <<< delicatezza e della eleganza del nostro secolo. » Per questo il Parini intendeva che lo studio dell' eloquenza non dovesse solo occuparsi de' vocaboli, de' tropi, dello stile, delle parti e de' generi dell' orazione, ma associarsi alla filosofia, alla logica, alla metafisica, alla morale; esaminar le idee accoppiate ai vocaboli per usarne con proprietà; occuparsi delle opere di gusto e d'immaginazione; richiamar le menti a fini più utili e nobili, e condurle sulle vie del buon gusto. Cercando poi le cagioni di tanto scadimento dell'eloquenza, la trovava egli nell' essere ridotte le scuole sotto la direzione de' claustrali. « Essi (è Parini che parla) non hanno mai insegnato, nè insegnano la << buona eloquenza, anzi non ne insegnano punto perchè non ne hanno essi me<<< desimi convenevole idea, perchè, anche avendola, essi hanno interesse di non << insegnar rettamente... Il carattere dominante delle scuole, la tenacità delle << opinioni, la insistenza sopra la nuda materialità dei precetti, la ignoranza << della filosofia, sono le principali cagioni per cui i frati non conoscono la << buona elequenza 2. » Tant' erano ai tempi del Parini scaduti coloro, che pur ci aveano conservato coi classici il buon gusto.

Però nel mentre i più trascinavansi terra terra dietro lo spirito del secolo per ottenere la fama di un momento, altri erano che, comprendendo quanto sia bello il trovarsi con pochi innanzi ai contemporanei, aveano guardato fuor dai confini d'Italia, ed avvisato come, durante l' infelicissimo sonno di questa, le altre nazioni l'avessero soppravvanzata, dirigendo l'industria ed il sapere all' utile comune. Diedero perciò opera a levare la patria al livello delle emule, per quanto i tempi consentivano. Nel vedere i quali sforzi, sorge in cuore una compiacenza, e ci si salda la fiducia nel meglio anche quando sembra più disperato. Avvegnachè per abbattere l' Italia si volle una congiura di quanto di più disgraziato incontrar può ad un paese : guerre micidiali, replicate invasioni di stranieri, fami, contagi, e, quasi peggior di tutto, un riposo di morte universale, sistematico, regolare. Eppure il genio italiano, se fu sopito, non però fu spento: sicchè appena rallentarono gli ostacoli, quantunque niuna cosa fosse migliorata, nessun impulso fosse dato, pure colle proprie forze e coll' emulazione, tornò a sorgere, a pensare, a ragionare, ad operare.

La letteratura di nuovo esercitò allora influenza sull'essere civile, e reciprocamente ne sentì l'influenza. Dagl' inoperosi gabinetti, ove assorti in astruse speculazioni, tutta lasciando ai dominatori la cura de' cambiamenti, non curavano di ridurre in accordo le istituzioni colle opinioni, i filosofi cominciarono ad avvicinarsi alle materie che più dappresso toccano l'uomo, a guardar il popolo e le relazioni fra i cittadini e il principe, e de' cittadini fra loro e le veglie de' saggi fruttarono pe' sociali interessi. Anche i poeti da quel favoloso

Lettera al Wilzeck.

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* Delle cagioni del presente decadimento delle belle lettere ed arti in Italia, I claustrali cessarono; l'elo

quenza venne?

* Genovesi, Verri, Beccaria, Filangeri, Carli, d'Arco, ecc. 11 Baretti nella Frusta letteraria riflette che, nel 1764, invece di sonetti, egloghe, ecc., uscirono in folla dissertazioni, trattati sulle arti, sulle monete, ecc., benchè soggiunga quasi tutti molto bislacchi.

Parnaso, deve sedendo in un aere artificiato, respingeano la verità della vita abituale per fingersi quella de' Greci e dei Romani, obbliavano la natura per seguitare un ideale capriccioso, i poeti anch'essi s'affacciarono alle realtà cittadine, conobbero che c'era a far meglio che non intarsiare pensieri altrui in altrui frasi. Che se guardiamo i migliori del secolo passato, troveremo in essi una pendenza a rinnovellarsi, ma al tempo stesso ci sarà chiaro come non avessero ben determinato il fine della letteratura, nè conosciuti i mezzi d' arrivarvi. Il rimbombante Cesarotti, l'ingenuo Bertola, il dantesco Varano, il grazioso Pignotti, anche il Frugoni, sebbene corifeo di pessima rima, sebbene per lo più poeta della buona compagnia, pure sentirono l'impulso del secolo, e se anche non lo aiutarono, nè lo seguirono coll' ostinata perseveranza che nasce della persuasione, è però da sapere lor grado perchè, educando la poesia ai sentimenti onesti, le aprissero la via ai generosi. Giambattista Casti, negli Animali Parlanti, addobbò di versi le politiche dottrine: ma oltrecchè annoia di sua natura un apologo sì lungo, di rado sostenuto dai vezzi dello stile, non porrò mai tra i fautori della civiltà quel Fauno procace, che prostitui sozzamente l'ingegno a trascinare al peggio la già troppo proclive umana natura. Goldoni riformava il teatro ma egli copiava un piccolo mondo, un mondo differente dalla restante Italia scriveva in una città dove la scostumatezza era sistema, ogni libertà impedita dai piombi e dall' inquisizione di Stato; sicche fu da una parte costretto a non mostrar di vedere i pubblici difetti, nè insinuare certe maschie virtù; dall' altra toccò i vizii così, che fu piuttosto un penelleggiarli al vero, che un farli abborrire. Metastasio, l'autore del Temistocle e del Catone, aveva anima capace di sentire e d'esprimere i sentimenti più generosi; ma l'opera in musica era stata inventata ne' primordii del servaggio italico per blandire i signorotti e giustificarne la voluttuosa mollezza, e per fare che i popoli nè ricordassero, nè desiderassero. Metastasio non seppe, o non ardi volgerla a nuova strada, e quindi si stemprò in adulazioni ai Titi ed alle Semiramidi d'allora sposò l'eroismo, la gloria, la virtù ad un viluppo d'amori senza fisonomia di paese o di età, a tutte le blandizie della vita; subordinando l'arte allo squisito senso musicale, sdulcinò la lingua divenne il poeta del cuore, il poeta delle donne; ma la patria dee sapergli mal grado di avere con si illustre esempio confermato il teatro musicale nella dannosa consuetudine di snervare e spensierare gli Italiani.

Sorvolavano di gran tratto agli altri poeti Gian Carlo Passeroni e Gaspare Gozzi - Vittorio Alfieri non aveva ancora stampato quelle sue orme di gigante2. Passeroni, con un' anima tutta candore, tutta semplicità, narrando la Vita di Cicerone, si fece strada a pungere i rei e far migliori i tempi3 : poema che gli acquistò fuori una fama più grande che non in patria, e suggerì all' arguto Sterne il racconto del Tristram Shandy. Ivi il confidente abbandono delle immagini e dello stile, fino al sublime della naturalezza, t'incatena al poeta, il quale censura i mali vezzi del secolo, ma senza fiele; chè non n' avea quel soave sacerdote. Però quel suo fare oltre misura prolisso, quella floscia facilità che fa ricordare lo sfacciato giuoco degl'improvvisatori, tante cose insipide e

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PARINI, la Recita dei verst.

"I randi poeti del secolo passato, Goldoni, Gozzi, Passeroni, Parini, Alfieri appartengono all' Italia superiore. Fenomeno degno di meditazione.

PARINI, la Recita dei versi.

sfiancate, fanno cascare il libro di mano mentre l'amor proprio s' adombra a quel diretto moralizzare, a quelle prediche poco diverse dalle tante che dai pulpiti suonano negli orecchi senza toccare l'anima, appunto perchè troppo si tengono sull' universale.

Vero poeta era nato Gaspare Gozzi, ed inteso dei fini della poesia: ma troppo amari casi lo costrinsero a vendere stilla a stilla un ingegno singolare, e mercarsi di per di il pane collo scrivere su quello che i librai gli allogavano1 : simile alla rondine che, quantunque donata di forti ale, non può spaziare per l'aria se i pulcini a becco aperto le richiedono cibo. Il vivere poi in una repubblica sospettosa più che le più sospettose tirannie, lo obbligò a restringere in piccola cornice i quadri dei suoi Sermoni, l'opera di lui più squisita, e la sola di quel secolo che metter si possa a riscontro del Parini.

QUALE CONCETTO AVESSE IL PARINI DELLA POESIA.

Il qual Parini a me pare sovrattutto lodabile in questo, che (se ne eccettui alcune inezie dettate o per compiacenza o per rilassamento d'animo, e che un insensato consiglio rivelò al pubblico) mirò perpetuamente e con coscienza alla sociale edificazione. Perseveranza nella quale ravvisiamo davvero l'uomo : perocchè, siccome non lodiamo nel vivere civile i caratteri indecisi, che, direbbe Machiavello, pigliano certe vie di mezzo, e non sanno essere nè tutti buoni, nè tutti cattivi, onde procedono tra un po' di bene e un po' di male senza corrispondere ad un destino, ad una degna vocazione, così nella vita letteraria vorremmo vedere tutto di concerto collocato sotto un insieme, diretto ad uno scioglimento.

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Ciò brameremmo fosse altamente predicato ai giovani quando entrano primamente il sentiero delle lettere badino a che scrivono considerino i loro principii veggano se mai secondassero la moda, le influenze del potere o dell' opinione, piuttosto che gli eterni oracoli della verità: si fingano cangiati intorno a sè gli uomini e i tempi, e librino bene con quanto animo sosterrebbero i mutamenti e se, quando alcuno ai loro nuovi dettati raffrontasse gli antichi, otterrebbero lode di coraggiosa uniformità, o vitupero di inconsiderata leggerezza e di fiacca piacenteria.

Chi dice che l'estro basta a far un poeta, nè tale poter divenire chi non sia largamente donato di quello, ha contro di sè la sentenza del Baretti, che scriveva essere la poesia un'arte che richiede fatica e giudizio anzi che estro3,

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e l'esempio del Parini. Basta guardare le sue poesie, basta paragonare le finite coll' altre per accorgersi come di poco estro egli fosse fortunato. Ma in vece di quello, portava nei campi della poesia l'abitudine ad un' indefessa osservazione dell' uomo, lo studio degli antichi, non fatto già per copiarli ma per imitarli nel retto gusto, nella nobile naturalezza, nel tenersi tra i confini della realtà, nel persuadersi, che la poesia consiste anzi nell' idee che nella forma di esse; vi portava quello spirito libero, che dà importanza alle proprie opinioni più che alle ricevute, che si eleva allo spettacolo dei grandi avvenimenti, che obbedisce si all' autorità ma non la adula, non ne mendica il favore; cose da cui nascono arditezza di sentenze, independenza di idee, franco giudizio. Visto il Parini come la letteratura non fosse più l'espressione della società, nè la poesia rispondesse al bisogno delle anime generose, intese a richiamarla al meglio e quanto alle forme e quanto alle cose.

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Al qual intento camminò e per la via lunga dei precetti, e per la più breve ed efficace dell' esempio. Chi ben guardi all' artifizio delle sue composizioni, vi trova un continuo studio di far altrimenti da quello, in che peccavano i suoi contemporanei. Alla sontuosa miseria de' Frugoniani oppone una sobrietà immacolata all' oziosa ridondanza degli epiteti, una tal precisa gastigatezza, che ne forma un secondo Orazio alla lingua trascurata, disuguale, un dire sempre puro, studiato, una frase poetica sempre all' infingarda facilità una ostinata fatica all' intrepida fatuità di spacciare qualunque pensiero germogliasse in capo, una severità di gusto che tutto riportava ad un modello d'eccellenza maschia, dispettosa di lascivi ornamenti. Ritraendo la natura e la vita abituale, non temette d'affrontare le idee più basse e triviali': ma non che avvilire con queste minutezze le cose grandi, seppe vestirle così, da nobilitare quel che meno ne parea capace. Canta i campi? non sono sdulcinature d'Arcadia, Licoridi, filomele, ruscelletti mormoranti tra sponda e sponda. È il voto di Virgilio quando esclamava : « Oh chi mi posa tra le valli beate, in una sicura quiete, in una vita lontana dagli inganni! » è il voto di Orazio, che dai faticosi nulla della città sospirava la villa e le ore inerti, tra cui bevere giocondo obblio della sollecita vita. Se talora, col felice dono di far germogliare alcuna rosa sui passi di quest' essere che la miseria disputa un momento al sepolcro viene a rallegrare il banchetto con brindisi vivace, tu vi ritrovi la squisitezza d'Anacreonte, purgata d'ogni lasciva idea, ti senti inondare d'una soavità, cui la virtù medesima sorride3. Quando intuona il cantico d'amore, non è un mero solletico dell'orecchio, non note generali, senza passione, senza sentimento, coi costumi d' altri secoli, con amanti foggiate sul modello ora di Glicera e di Giulia, ora di Laura e d'Eleonora, con quella freddezza del Savioli, monotona quanto il suo metro. Qui c'è la verità, qui fisonomia nazionale l'amica sua tu l'ami, la stimi tu ancora: trovi i costumi nostri o in quella che avvolge il corpo in un gran sendado, illepido costume sceso fra noi, o in quella che modula i lepidi detti del sermone veneziano, o in quella

Il satirico Orazio eterno morso

Diede agli altrui costumi.

Or tremi, or sudi

Chi salir vuole d' Elicona il monte, ecc.

Veggasi per esempio la Salubrità dell' aria.

Vedi il Brindisi.

L'homme, debile proie,

Que le malheur dispute un moment au trépas. Huco.

Béranger, quello che fra tutti i poeti viventi a me pare aver meglio inteso la poesia popolare, imitò assai felicemente il Brindisi del Parini nella canzone La Vieillesse.

Per l'inclita Nice : quest' era Maria di Castelbarco.

Il Pericolo: era Cecilia Tron.

che nell' aureo cocchio trascorrendo su la via che fra gli alberi suburbana ver— deggia, desterà a fremito le commosse reliquie del suo poeta che dorme nel vicino sepolcreto e sempre vi senti l'uomo, a cui il genio nel suo nascere disse:

Di natura i liberi
Doni ed affetti, e il grato
Della beltà spettacolo

Te renderan beato'.

E quando al suo maggior lavoro trascelse il verso sciolto, ebbe certo la mira ad ottenere quella maggior libertà, che è supremo bisogno dei generosi : ma insieme a ferir nel cuore il gonfio e facile verseggiare dei frugoniani versiscioltai. Il Baretti, acerrimo nemico di questi, il Baretti che di quei di menava << la metaforica sua sferza rabbiosamente addosso a tutti que' moderni golfi e sciagurati, che andavano tutto di scarabocchiando commedie impure, tragedie balorde, critiche puerili, romanzi bislacchi, dissertazioni frivole, e prose e poesie d'ogni generazione che non hanno in sè la minima sostanza, la minimissima qualità da renderle o dilettose o ragionevoli ai leggitori e alla patria 1», quel Baretti, come vide il Mattino, confessò che quello gli avea « fatto vincere l'avversione ai versi sciolti e all'oscurità, perchè ogni verso del Parini è buono, ed alla lingua ha saputo dare nuovi colori molto vivi e molto vaghi, e il suo pensare ha sempre del brioso e del fiero». Che più? il Frugoni, patriarca della scuola dominante allora, come lesse quei versi tanto variati, imitativi, addatti al genere, lontani dalla fastosa e vana sua armonia, si ne restò preso che, con lealtà rara e veramente onorevole, esclamò : « Per Dio! mi davo a intendere d'esser maestro nel verso sciolto, e m'accorgo che neppure sono scolaro. >>

Ne mi dite che io devii dal proposito, quasi poca cosa sia rispetto alla civiltà l'aver riformato il gusto. Perocchè il bello è crepuscolo del vero, e le arti della fantasia guidarono gli antichi ad azioni venerande, cui non saremo per avventura guidati noi moderni da cotesto austero sapere. Il retto gusto, cioè la cognizione e l'amor del bello, veste l'ali per salire a quelle occupazioni, cui l'uomo non sarebbe stato che a stento portato dalla fortuna e dall' impulso de' bisogni agevola l'intelligenza delle cose più ardue, spianando così la via all' elevata istruzione, coll' approfittar della naturale inclinazione onde l' uomo predilige le graziose e non difficili sensazioni.

Ma se il Parini procacciò le gioie del bello che lusingano l'adolescenza dello spirito, vieppiù intese a quelle del vero che ne alimentano la maturità. Quindi nelle sue lezioni si proponeva di « dimostrare quanto giovino le belle lettere a <«< tutti gli altri studii della gioventù, alla civil conversazione, ai costumi, alla « benevolenza degh uomini, alla probità, alla virtù ed allo stesso eroismo dei <«< cittadini. » Inculcava quindi il gran precetto, di giovare a' fratelli colla letteratura: e «< quanto desiderabile cosa sarebbe » diceva « che tutti coloro ch✩** <«< sortito hanno dalla natura un ingegno adatto alle lettere, fossero stimolati", « allo studio ed allo scrivere, non da una leggiera curiosità o da vano amor di <«< gloria, ma dalla carità de' suoi prossimi, de' suoi cittadini, del suo paese !

Per l'inclita Nice.

Introduzione alla Frusta letteraria.

3 Lettera al Carcano tra le inedite.

Così si spargono in una città la delicatezza, il buon gusto, la coltura; cose tutte che V. S. ben sa quanto influiscano sui costumi d'un popolo, » PARINI, Lett. al Wilzeck.

* Discorso all' aprimento della cattedra di belle lettere.

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