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RIME

DI

FRANCESCO PETRARCA

COL COMENTO

DEL TASSONI, DEL MURATORI,

E DI ALTRI

VOLUME I.

PADOVA

PEI TIPI DELLA MINERVA

M. DCCC. XXVI.

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AI LETTORI

LA SOCIETÀ TIPOGRAFICA DELLA MINERVA

Perchè apertamente si vegga non aver noi senza qualche apparenza di ragione preferito a tutt'altri il comento del Tassoni e del Muratori nella ristampa che per noi s'è fatta delle Rime del Petrarca, dichiariamo colla possibile brevità in qual concetto si tenga da noi questo sommo fra i Lirici italiani. Potranno avervi opinioni assai dalla nostra discordanti; ma, data questa opinione, ne viene come di conseguenza doversi anteporre quel comento a qualsivoglia altro, e aver noi quindi ben fatto a ristamparlo così alla distesa.

Il Petrarca è poeta sommo: chi oserebbe negarlo? Perchè non ci avesse più luogo a dubitare della rara bellezza de' suoi versi, non ebbe egli a questi ultimi tempi un arrabbiato censore, che con la scurrilità d'un suo libro gli ha procacciato quell'ultimo grado di celebrità a cui salgono i grandi ingegni per le critiche de' mediocri, quasi colmo della lor gloria? E per verità, dacchè Tasso impazziva per le misere sofisti

cherie de' Cruscanti, e la Divina Commedia era malmenata da un bell' umore dello scorso secolo, non doveva aver anch'egli il suo Zoilo il Petrarca? E a chi ne domandasse perchè non l'abbia ancora avuto l'Ariosto, poeta che per la finezza del gusto e per l'abbondanza dello stile cammina più prossimo a Dante degli altri due, risponderemo: che i pedanti, da cui procedono simili guerre, si contentano di adoperare la forbice sulle parti licenziose del gran Poema, e leccare con segreta compiacenza que' brani che hanno occultati alla vista comune.

Il Petrarca è poeta sommo, ne piace ripeterlo. Ma chi il chiamava poeta del gusto per eccellenza, non ebbe a considerarlo pel suo vero verso. Arriccieranno il pelo a questa proposizione non pochi, e parrà loro che noi abbiamo pronunziato bestemmia. Ma vorranno essi esserne cortesi di tanto, che ci tengano dietro in quel poco d'esame che faremo del Canzoniere di questo divino? Osiamo pigliarne fiducia.

Ma prima che da noi si proceda in questo discorso, ne giova dichiarare, (sono pur sì discreti i pedanti!) che quando diciamo non esser bene ritratto il Petrarca con quelle parole poeta del gusto, non intendiamo già dire ch'egli ne manchi; chè anzi, come quindi a poco diremo, è per soverchianza, piuttosto che per difetto, ch'egli

ne spiace; ma s'intende invece non esser questa la più bella qualità de' suoi versi, e quella per cui vogliano essere riputati eccellenti. Detto questo, tiriamo innanzi.

A taluno è paruto di chiamare il Petrarca precursore de' pazzi secentisti; e questa proposizione per molti rispetti non può rigettarsi come falsa, sol che non si voglia scambiar per brillanti i cristalli, e rispettare, in grazia del secolo o della fama, in un dato scrittore quelle forme e maniere che si condannano in altri cento. Le metafore trasmodate, le prolisse allegorie de' secentisti non le avete, se non tutte, almeno in grandissima parte, nel Canzoniere di questo divino? Quante volte non vi trasforma egli una donna in un lauro, per questa sola ragione, che i segni dell' alfabeto sono presso poco gli stessi, vuoi pel nome della donna, vuoi per quello dell'albero? E chi fa un sì gran ridere di quel poeta che scherza con quella sua Marta che merta mirto, si terrà poi sul serio quando senta a dire che l'aura move il verde lauro, e quell'altre stiracchiature di simil tempera? Il Marini, e caviamoci il cappello sempre che nominiamo questo colosso di poesía, ci ha fatto storcere il naso con que' due Levanti che ha in viso la sua innamorata; ma per bacco che que sta graziosa immaginetta è uscita della officina

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