S'adopra nel lavoro Musa, la lima ov'è? Disse la Dea: La lima è consumata; or facciam senza. Non vi cal, soggiungea, quand' ella è stanca? FRAMMENTI. XXXVII. ALCETA. Odi, Melisso: io vo' contarti un sogno Che quanto nel cader s' approssimava, Si forte come quando un carbon vivo Nell' acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo La luna, come ho detto, in mezzo al prato Si spegneva annerando a poco a poco, E ne fumavan l' erbe intorno intorno. Allor mirando in ciel, vidi rimaso Come un barlume, o un' orma, anzi una nicchia, Ond' ella fosse svelta; in cotal guisa, Ch' io n' agghiacciava; e ancor non m' assicuro. MELISSO. E ben hai che temer, chè agevol cosa ALCETA. Chi sa? non veggiam noi spesso di state MELISSO. Egli ci ha tante stelle, Che picciol danno è cader l' una o l'altra XXXVIII. Io qui vagando al limitare intorno, Pure il vento muggìa nella foresta, O care nubi, o cielo, o terra, o piante, O turbine, or ti sveglia, or fate prova S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto Spento il diurno raggio in occidente, Quand' ella, vôlta all' amorosa meta, Spandeva il suo chiaror per ogni banda Limpido il mar da lungi, e le campagne *) Portion (remodells) of the Cantica della morte,, Appressamento della morte, written in 1818. In queta ombra giacea la valle bruna, E i collicelli intorno rivestia Del suo candor la rugiadosa luna. Sola tenea la taciturna via La donna, e il vento che gli odori spande, Se lieta fosse, è van che tu dimandi: Un nugol torbo, padre di procella, Spiegarsi ella il vedea per ogni canto, E si fea più gagliardo ogni momento, E già muggiva il tuon simile al metro E il tuon veníale incontro come fera, LEOPARDI. 8 Rugghiando orribilmente e senza posa E d'ogni intorno era terribil cosa E si rivolse indietro. E in quel momento Si spense il lampo, e tornò buio l'etra, Ed acchetossi il tuono, e stette il vento. Taceva il tutto; ed ella era di pietra. XL. DAL GRECO DI SIMONIDE. Ogni mondano evento È di Giove in poter, di Giove, o figlio, Che giusta suo talento Ogni cosa dispone. Ma di lunga stagione Nostro cieco pensier s' affanna e cura, Benchè l' umana etate, Come destina il ciel nostra ventura, Di giorno in giorno dura. La bella speme tutti ci nutrica Di sembianze beate, Onde ciascuno indarno s'affatica: Altri l'aurora amica, Altri l'etade aspetta; E nullo in terra vive Cui nell' anno avvenir facili e pii Con Pluto e gli altri iddii La mente non prometta. Ecco pria che la speme in porto arrive, E qual da morbi al bruno Lete addutto; Circondando, sotterra si rifugge. I miseri mortali Volgo fiero e diverso agita e strugge. Uom saggio e sciolto dal comune errore Ne porrebbe al dolore Ed al mal proprio suo cotanto amore. XLI. DELLO STESSO. Umana cosa picciol tempo dura, E certissimo detto Disse il veglio di Chio, Conforme ebber natura Raccolgon pochi. All' inquieta speme, Figlia di giovin core, Tutti prestiam ricetto. Mentre è vermiglio il fiore Di nostra etade acerba, L'alma vota e superba Cento dolci pensieri educa invano, Nè morte aspetta nè vecchiezza; e nulla Cura di morbi ha l' uom gagliardo e sano. Ma stolto è chi non vede La giovanezza come ha ratte l'ale, Poco il rogo è lontano. Tu presso a porre il piede In sul varco fatale Della plutonia sede, Ai presenti diletti La breve età commetti. |