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Terra. E per questo non saranno già tutte bestie gli abitatori tuoi:

Luna. Nè bestie nè uomini; che io non so che razze di creature si sieno nè gli uni nè l'altre. E già di parecchie cose che tu mi sei venuta accennando, in proposito, a quel che io stimo, degli uomini, io non ho compreso un' acca.

Terra. Ma che sorte di popoli sono coteste ?

Luna. Moltissime e diversissime, che tu non conosci, come io non conosco le tue.

Terra. Cotesto mi riesce strano in modo, che se io non l'udissi da te medesima, io non lo crederei per nessuna cosa del mondo. Fosti tu mai conquistata da niuno de' tuoi? Luna. No, che io sappia. E come? e perchè?

Terra. Per ambizione, per cupidigia dell' altrui, colle arti politiche, colle armi.

Luna. Io non so che voglia dire armi, ambizione, arti politiche, in somma niente di quel che tu dici.

Terra. Ma certo, se tu non conosci le armi, conosci pure la guerra: perchè, poco dianzi, un fisico di quaggiù, con certi cannocchiali, che sono instrumenti fatti per vedere molto lontano, ha scoperto costì una bella fortezza, co' suoi bastioni diritti; che è segno che le tue genti usano, se non altro, gli assedi e le battaglie murali.

Luna. Perdona, monna Terra, se io ti rispondo un poco più liberamente che forse non converrebbe a una tua suddita o fantesca, come io sono. Ma in vero che tu mi riesci peggio che vanerella a pensare che tutte le cose di qualunque parte del mondo sieno conformi alle tue; come se la natura non avesse avuto altra intenzione che di copiarti puntualmente da per tutto. Io dico di essere abitata, e tu da questo conchiudi che gli abitatori miei debbono essere uomini. Ti avverto che non sono; e tu consentendo che sieno altre creature, non dubiti che non abbiano le stesse qualità e gli stessi casi de' tuoi popoli: e mi alleghi i cannocchiali di non so che fisico. Ma se cotesti cannocchiali non veggono meglio in altre cose, io crederò che abbiano la buona vista de' tuoi fanciulli; che scuoprono in me gli occhi, la bocca, il naso, che io non so dove me gli abbia.

Terra. Dunque non sarà nè anche vero che le tue provincie sono fornite di strade larghe e nette; e che tu sei coltivata cose che dalla parte della Germania, pigliando un cannocchiale, si veggono chiaramente 1.

Luna. Se io sono coltivata, io non me ne accorgo, e le mie strade io non le veggo.

1 Vedi nelle gazzette tedesche del mese di marzo del 1824 le scoperte attribuite al sig. Gruithuisen.

Terra. Cara Luna, tu hai a sapere che io sono di grossa pasta e di cervello tondo; e non è maraviglia che gli uomini m'ingannino facilmente. Ma io ti so dire che se i tuoi non si curano di conquistarti, tu non fosti però sempre senza pericolo: perchè in diversi tempi, molte persone di quaggiù si posero in animo di conquistarti esse; e a quest' effetto fecero molte preparazioni. Se non che, salite in luoghi altissimi, e levandosi sulle punte de' piedi, e stendendo le braccia, non ti poterono arrivare. Oltre a questo, già da non pochi anni, io veggo spiare minutamente ogni tuo sito, ricavare le carte de' tuoi paesi, misurare le altezze di cotesti monti, de' quali sappiamo anche i nomi. Queste cose, per la buona volontà ch' io ti porto, mi è paruto bene di avvisartele, acciò che tu non manchi di provvederti per ogni caso. Ora, venendo ad altro, come sei molestata da' cani che ti abbaino contro? Che pensi di quelli che ti mostrano altrui nel pozzo? Sei tu femmina o maschio? perchè anticamente ne fu varia opinione1. È vero o no che gli Arcadi vennero al mondo prima di te 2? che le tue donne, o altrimenti che io le debba chiamare, sono ovipare; e che uno delle loro uova cade quaggiù non so quando? che tu sei traforata a guisa dei paternostri, come crede un fisico moderno 1? che sei fatta, come affermano alcuni Inglesi, di cacio fresco ? che Maometto un giorno, o una notte che fosse, ti spartì per mezzo, come un cocomero; e che un buon tocco del tuo corpo gli sdrucciolò dentro alla manica? Come stai volentieri in cima dei minareti? Che ti pare della festa del bairam?

Luna. Va' pure avanti; chè mentre seguiti così, non ho cagione di risponderti, e di mancare al silenzio mio solito. Se hai caro d'intrattenerti in ciance, e non trovi altre materie che queste; in cambio di voltarti a me, che non ti posso intendere, sarà meglio che ti facci fabbricare dagli uomini un altro pianeta da girartisi intorno, che sia composto e abitato alla tua maniera. Tu non sai parlare altro che d' uomini e di cani e di cose simili, delle quali ho tanta notizia, quanta

1 Vedi Macrobio, Saturnal. lib. 3, cap. 8. Tertulliano, Apologet. cap. 15. Era onorata la luna anche sotto nome maschile, cioè del dio Luno. Sparziano, Caracall. cap. 6 et 7. Ed anche oggi nelle lingue teutoniche il nome della luna è del genere del maschio.

2 Menandro rettorico, lib. 1, cap. 15. in Rhetor. graec. veter. A. Manut. vol. 1, pag. 604. Meursio, ad Lycophron. Alexandr. opp. ed. Lamii, vol. 5,

col. 951.

3 Ateneo, lib. 2, ed. Casaub. pag. 57.

4 Antonio di Ulloa. Vedi Carli, Lettere Americane, par. 4, lett. 7, opp. Milano 1784, tom. 14, pag. 313 e seguente; e le Memor.. encicloped. dell' anno 1781, compilate dalla Società letterar. di Bologna, pag. 6 e seguente.

5 That the moon is made of green cheese. Si dice in proverbio di quelli che danno ad intendere cose incredibili.

di quel sole grande grande, intorno al quale odo che giri il nostro sole.

Terra. Veramente più che io propongo, nel favellarti, di astenermi da toccare le cose proprie, meno mi vien fatto. Ma da ora innanzi ci avrò più cura. Dimmi: sei tu che ti pigli spasso a tirarmi l'acqua del mare in alto, e poi lasciarla cadere?

Luna. Può essere. Ma posto che io ti faccia cotesto o qualunque altro effetto, io non mi avveggo di fartelo: come tu similmente, per quello che io penso, non ti accorgi di molti effetti che fai qui; che debbono essere tanto maggiori de' miei, quanto tu mi vinci di grandezza e di forza.

Terra. Di cotesti effetti veramente io non so altro se non che di tanto in tanto io levo a te la luce del sole, e a me la tua; come ancora, che io ti fo gran lume nelle tue notti, che in parte lo veggo alcune volte 1. Ma io mi dimenticava una cosa che importa più d' ogni altra. Io vorrei sapere se veramente, secondo che scrive l' Ariosto, tutto quello che ciascun uomo va perdendo; come a dire la gioventù, la bellezza, la sanità, le fatiche e spese che si mettono nei buoni studi per essere onorati dagli altri, nell' indirizzare i fanciulli ai buoni costumi, nel fare o promuovere le instituzioni utili; tutto sale e si raguna costà: di modo che vi si trovano tutte le cose umane; fuori della pazzia, che non si parte dagli uomini. In caso che questo sia vero, io fo conto che tu debba essere così piena, che non ti avanzi più luogo; specialmente che, negli ultimi tempi, gli uomini hanno perduto moltissime cose (verbigrazia l'amor patrio, la virtù, la magnanimità, la rettitudine), non già solo in parte, e l'uno o l'altro di loro, come per l'addietro, ma tutti e interamente. E certo che se elle non sono costì, non credo si possano trovare in altro luogo. Però vorrei che noi facessimo insieme una convenzione, per la quale tu mi rendessi di presente, e poi di mano in mano, tutte queste cose; donde io penso che tu medesima abbi caro di essere sgomberata, massime del senno, il quale intendo che occupa costì un grandissimo spazio; ed io ti farei pagare dagli uomini tutti gli anni una buona somma di danari.

Luna. Tu ritorni agli uomini; e, con tutto che la pazzia, come affermi, non si parta da' tuoi confini, vuoi farmi impazzire a ogni modo, e levare il giudizio a me, cercando quello di coloro; il quale io non so dove si sia, nè se vada o resti in nessuna parte del mondo; so bene che qui non si trova; come non ci si trovano le altre cose che tu chiedi.

Vedi gli astronomi dove parlano di quella luce, detta opaca o cenerognola, che si vede nella parte oscura del disco lunare al tempo della luna nuova.

Terra. Almeno mi saprai tu dire se costì sono in uso i vizi, i misfatti, gl' infortuni, i dolori, la vecchiezza, in conclusione i mali? Intendi tu questi nomi?

Luna. Oh cotesti sì che gl' intendo; e non solo i nomi, ma le cose significate, le conosco a maraviglia: perchè ne sono tutta piena, in vece di quelle altre che tu credevi.

Terra. Quali prevalgono ne' tuoi popoli, i pregi o i difetti?

Luna. I difetti di gran lunga.

Terra. Di quali hai maggior copia, di beni o di mali?
Luna. Di mali senza comparazione.

Terra. E generalmente gli abitatori tuoi sono felici o infelici?

Luna. Tanto infelici, che io non mi scambierei col più fortunato di loro.

Terra. Il medesimo è qui. Di modo che io mi maraviglio come essendomi sì diversa nelle altre cose, in questa mi sei conforme.

Luna. Anche nella figura, e nell' aggirarmi, e nell' essere illustrata dal sole io ti sono conforme; e non è maggior maraviglia quella che questa: perchè il male è cosa comune a tutti i pianeti dell' universo, o almeno di questo mondo solare, come la rotondità e le altre condizioni che ho detto, nè più nè meno. E se tu potessi levare tanto alto la voce, che fossi udita da Urano o da Saturno, o da qualunque altro pianeta del nostro mondo; e gl' interrogassi se in loro abbia luogo l' infelicità, e se i beni prevagliano o cedano ai mali; ciascuno ti risponderebbe come ho fatto io. Dico questo per aver dimandato delle medesime cose Venere e Mercurio, ai quali pianeti di quando in quando io mi trovo più vicina di te; come anche ne ho chiesto a alcune comete che mi sono passate dappresso: e tutti mi hanno risposto come ho detto. E penso che il sole medesimo, e ciascuna stella risponderebbero altrettanto.

Terra. Con tutto cotesto io spero bene: e oggi massimamente, gli uomini mi promettono per l'avvenire molte felicità.

Luna. Spera a tuo senno: e io ti prometto che potrai sperare in eterno.

Terra. Sai che è? questi uomini e queste bestie si mettono a romore: perchè dalla parte dalla quale io ti favello, è notte, come tu vedi, o piuttosto non vedi; sicchè tutti dormivano; e allo strepito che noi facciamo parlando, si destano con gran paura.

Luna. Ma qui da questa parte, come tu vedi, è giorno. Terra. Ora io non voglio essere causa di spaventare la mia gente, e di rompere loro il sonno, che è il maggior bene

che abbiano. Però ci riparleremo in altro tempo. Addio dunque; buon giorno.

Luna. Addio; buona notte.

LA SCOMMESSA DI PROMETEO.

L'anno ottocento trentatremila dugento settantacinque del regno di Giove, il collegio delle Muse diede fuora in istampa, e fece appiccare nei luoghi pubblici della città e dei borghi d' Ipernéfelo, diverse cedole, nelle quali invitava tutti gli Dei maggiori e minori, e gli altri abitanti della detta città, che recentemente o in antico avessero fatto qualche lodevole invenzione, a proporla, o effettualmente o in figura o per iscritto, ad alcuni giudici deputati da esso collegio. E scusandosi che per la sua nota povertà non si poteva dimostrare così liberale come avrebbe voluto, prometteva in premio a quello il cui ritrovamento fosse giudicato più bello o più fruttuoso, una corona di lauro, con privilegio di poterla portare in capo il dì e la notte, privatamente e pubblicamente, in città e fuori; e poter essere dipinto, scolpito, inciso, gittato, figurato in qualunque modo e materia, col segno di quella corona dintorno al capo.

Concorsero a questo premio non pochi dei celesti per passatempo; cosa non meno necessaria agli abitatori d' Ipernéfelo, che a quelli di altre città; senza alcun desiderio di quella corona; la quale in sè non valeva il pregio di una berretta di stoppa; e in quanto alla gloria, se gli uomini, da poi che sono fatti filosofi, la disprezzano, si può congetturare che stima ne facciano gli Dei, tanto più sapienti degli uomini, anzi soli sapienti secondo Pitagora e Platone. Per tanto, con esempio unico e fino allora inaudito in simili casi di ricompense proposte ai più meritevoli, fu aggiudicato questo premio, senza intervento di sollecitazioni nè di favori nè di promesse occulte nè di artifizi: e tre furono gli anteposti: cioè Bacco per l'invenzione del vino; Minerva per quella dell' olio, necessario alle unzioni delle quali gli Dei fanno quotidianamente uso dopo il bagno; e Vulcano per aver trovato una pentola di rame, detta economica, che serve a cuocere che che sia con piccolo fuoco e speditamente. Così dovendosi fare il premio in tre parti, restava a ciascuno un ramuscello di lauro ma tutti e tre ricusarono così la parte come il tutto; perchè Vulcano allegò che stando il più del tempo al fuoco della fucina con gran fatica e sudore, gli sarebbe importunis

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