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1

ALL' ITALIA.

Simonide salia,

Guardando l' etra e la marina e il suolo.
E di lacrime sparso ambe le guance,
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglieasi in man la lira:

Beatissimi voi,

Ch' offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch' al Sol vi diede;

Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.
Nell' armi e ne' perigli

Qual tanto amor le giovanette menti,

Qual nell' acerbo fato amor vi trasse?
Come sì lieta, o figli,

L'ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e duro?

Parea ch' a danza e non a morte andasse

Ciascun de' vostri, o a splendido convito:
Ma v' attendea lo scuro

Tartaro, e l' onda morta;

Nè le spose vi fôro o i figli accanto

Quando su l' aspro lito

Senza baci moriste e senza pianto.

Ma non senza de' Persi orrida pena

Ed immortale angoscia.

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1 Il successo delle Termopile fu celebrato veramente da quello che in essa canzone s' introduce a poetare, cioè da Simonide, tenuto dall' antichità fra gli ottimi poeti lirici, vissuto, che più rileva, ai medesimi tempi della scesa di Serse, e greco di patria. Questo suo fatto, lasciando l' epitaffio riportato da Cicerone e da altri, si dimostra da quello che scrive Diodoro nell' undecimo libro, dove recita anche certe parole di esso poeta in questo proposito, due o tre delle quali sono espresse nel quinto verso dell' ultima strofe. Rispetto dunque alle predette circostanze del tempo e della persona, e d' altra parte riguardando alle qualità della materia per sè medesima, io non credo che mai si trovasse argomento più degno di poema lirico, nè più fortunato di questo che fu scelto, o più veramente sortito, da Simonide. Perocchè se l'impresa delle Termopile fa tanta forza a noi che siamo stranieri verso quelli che l' operarono, e con tutto questo non possiamo tenere le lacrime a leggerla semplicemente come passasse, e ventitrè secoli dopo ch' ella è seguita; abbiamo a far congettura di quello che la sua ricordanza dovesse potere in un Greco, e poeta, e dei principali, avendo veduto il fatto, si può dire, cogli occhi propri, andando per le stesse città vincitrici di un esercito molto maggiore di quanti altri si ricorda la storia d' Europa, venendo a parte delle feste, delle maraviglie, del fervore di tutta un' eccellentissima nazione, fatta anche più magnanime della sua natura dalla coscienza della gloria acquistata, e dall' emulazione di tanta virtù dimostrata pur dianzi dai suoi. Per queste considerazioni, riputando a molta disavventura che le cose scritte da Simonide in quella occorrenza fossero perdute, non ch' io presumessi di riparare a questo danno, ma come per ingannare il desiderio, procurai di rappresentarmi alla mente le disposizioni dell' animo del poeta in quel tempo, e con questo mezzo, salva la disuguaglianza degl' ingegni, tornare a fare il suo canto; del quale io porto questo parere, che o fosse maraviglioso, o la fama di Simonide fosse vana, e gli scritti perissero con poca ingiuria. Lettera a Vincenzo Monti premessa alle edizioni di Roma e di Bologna.

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SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE

CHE SI PREPARAVA IN FIRENZE.

Perchè le nostre genti

Pace sotto le bianche ali raccolga,
Non fien da' lacci sciolte

Dell' antico sopor l' itale menti
S'ai patrii esempi della prisca etade
Questa terra fatal non si rivolga.
O Italia, a cor ti stia

Far ai passati onor; chè d' altrettali
Oggi vedove son le tue contrade,
Nè v'è chi d' onorar ti si convegna.
Volgiti indietro; e guarda, o patria mia,
Quella schiera infinita d' immortali,
E piangi e di te stessa ti disdegna;
Chè senza sdegno omai la doglia è stolta:
Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti,
E ti punga una volta

Pensier degli avi nostri e de' nepoti.

D'aria e d'ingegno e di parlar diverso Per lo toscano suol cercando già

L'ospite desioso

Dove giaccia colui per lo cui verso

Il meonio cantor non è più solo.

Ed, oh vergogna! udia

Che non che il cener freddo e l'ossa nude

Giaccian esuli ancora

Dopo il funereo dì sott' altro suolo,

Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso,

Firenze, a quello per la cui virtude

Tutto il mondo t' onora.

Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso
Obbrobrio laverà nostro paese!

Bell' opra hai tolta e di che amor ti rende,

Schiera prode e cortese,

Qualunque petto amor d' Italia accende.

Amor d'Italia, o cari,

Amor di questa misera vi sproni,

Vêr cui pietade è morta

In ogni petto omai, perciò che amari

24

SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE.

Giorni dopo il seren dato n' ha il cielo.
Spirti v' aggiunga e vostra opra coroni
Misericordia, o figli,

E duolo e sdegno di cotanto affanno
Onde bagna costei le guance e il velo.
Ma voi di quale ornar parola o canto
Si debbe, a cui non pur cure o consigli,
Ma dell' ingegno e della man daranno
I sensi e le virtudi eterno vanto
Oprate e mostre nella dolce impresa?
Quali a voi note invio, sì che nel core,
Sì che nell' alma accesa

Nova favilla indurre abbian valore?

Voi spirerà l' altissimo subbietto,
Ed acri punte premeravvi al seno.
Chi dirà l'onda e il turbo

Del furor vostro e dell' immenso affetto?

Chi pingerà l' attonito sembiante ?

Chi degli occhi il baleno?

Qual può voce mortal celeste cosa

Agguagliar figurando?

Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante

Lacrime al nobil sasso Italia serba!

Come cadrà? come dal tempo rôsa

Fia vostra gloria o quando?

Voi, di che il nostro mal si disacerba,
Sempre vivete, o care arti divine,
Conforto a nostra sventurata gente,
Fra l'itale ruine

Gl' itali pregi a celebrare intente.
Ecco voglioso anch' io

Ad onorar nostra dolente madre
Porto quel che mi lice,

E mesco all' opra vostra il canto mio,
Sedendo u' vostro ferro i marmi avviva.

O dell' etrusco metro inclito padre,

Se di cosa terrena,

Se di costei che tanto alto locasti

Qualche novella ai vostri lidi arriva,
Io so ben che per te gioia non senti,
Chè saldi men che cera e men ch' arena,
Verso la fama che di te lasciasti,
Son bronzi e marmi; e dalle nostre menti
Se mai cadesti ancor, s' unqua cadrai,
Cresca, se crescer può, nostra sciaura,
E in sempiterni guai

Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.

Ma non per te; per questa ti rallegri
Povera patria tua, s' unqua l'esemplo
Degli avi e de' parenti

Ponga ne' figli sonnacchiosi od egri
Tanto valor che un tratto alzino il viso.
Ahi, da che lungo scempio

Vedi afflitta costei, che si meschina
Te salutava allora

Che di novo salisti al paradiso!

Oggi ridotta sì che, a quel che vedi,
Fu fortunata allor donna e reina.
Tal miseria l'accora

Qual tu forse mirando a te non credi.
Taccio gli altri nemici e l'altre doglie,
Ma non la più recente o la più fera,
Per cui presso alle soglie

Vide la patria tua l'ultima sera.
Beato te che il fato

A viver non dannò fra tanto orrore;
Che non vedesti in braccio

L'itala moglie a barbaro soldato;
Non predar, non guastar cittadi e côlti
L'asta inimica e il peregrin furore;
Non degl' itali ingegni

Tratte l'opre divine a miseranda
Schiavitude oltre l' alpe, e non de' folti
Carri impedita la dolente via;

Non gli aspri cenni ed i superbi regni;
Non udisti gli oltraggi e la nefanda
Voce di libertà che ne schernia

Tra il suon delle catene e de' flagelli.
Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto
Che lasciaron quei felli?

Qual tempio, quale altare o qual misfatto?
Perchè venimmo a sì perversi tempi?
Perchè il nascer ne desti o perchè prima
Non ne desti il morire,

Acerbo fato? onde a stranieri ed empi
Nostra patria vedendo ancella e schiava,
E da mordace lima

Roder la sua virtù, di null' aita

E di nullo conforto

Lo spietato dolor che la stracciava
Ammollir ne fu dato in parte alcuna.
Ahi non il sangue nostro e non la vita
Avesti, o cara; e morto

Io non son per la tua cruda fortuna.

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