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Colombo. Io per me, se bene non mi ardisco più di promettermelo sicuramente, contutto ciò spererei che fossimo per goderla presto. Da certi giorni in qua, lo scandaglio, sai, tocca fondo; e la qualità di quella materia che gli vien dietro, mi pare indizio buono. Verso sera, le nuvole intorno al sole mi si dimostrano d'altra forma e di altro colore da quelle dei giorni innanzi. L'aria, come puoi sentire, è fatta un poco più dolce e più tepida di prima. Il vento non corre più, come per l'addietro, così pieno, nè così diritto, nè costante; ma piuttosto incerto, e vario, e come fosse interrotto da qualche intoppo. Aggiungi quella canna che andava in sul mare a galla, e mostra essere tagliata di poco; e quel ramicello di albero con quelle coccole rosse e fresche. Anche gli stormi degli uccelli, benchè mi hanno ingannato altra volta, nondimeno ora sono tanti che passano, e così grandi, e moltiplicano talmente di giorno in giorno, che penso vi si possa fare qualche fondamento; massime che vi si veggono intramischiati alcuni uccelli che, alla forma, non mi paiono dei marittimi. In somma tutti questi segni raccolti insieme, per molto che io voglia essere diffidente, mi tengono pure in aspettativa grande e buona.

Gutierrez. Voglia Dio questa volta ch' ella si verifichi.

ELOGIO DEGLI UCCELLI.

Amelio filosofo solitario, stando una mattina di primavera, co' suoi libri, seduto all' ombra di una sua casa in villa, e leggendo; scosso dal cantare degli uccelli per la campagna, a poco a poco datosi ad ascoltare e pensare, e lasciato il leggere; all' ultimo pose mano alla penna, e in quel medesimo luogo scrisse le cose che seguono.

Sono gli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo. Non dico ciò in quanto se tu li vedi o gli odi, sempre ti rallegrano; ma intendo di essi medesimi in sè, volendo dire che sentono giocondità e letizia più che alcuno altro animale. Si veggono gli altri animali comunemente seri e gravi; e molti di loro anche paiono malinconici: rade volte fanno segni di gioia, e questi piccoli e brevi; nella più parte dei loro godimenti e diletti, non fanno festa, nè significazione alcuna di allegrezza; delle campagne verdi, delle vedute aperte e leggiadre, dei soli splendidi, delle arie cristalline e dolci, se anco sono dilettati, non ne sogliono dare indizio di fuori:

eccetto che delle lepri si dice che la notte, ai tempi della luna, e massime della luna piena, saltano e giuocano insieme, compiacendosi di quel chiaro, secondo che scrive Senofonte 1. Gli uccelli per lo più si dimostrano nei moti e nell' aspetto lietissimi; e non da altro procede quella virtù che hanno di rallegrarci colla vista, se non che le loro forme e i loro atti, universalmente, sono tali, che per natura dinotano abilità e disposizione speciale a provare godimento e gioia: la quale apparenza non è da riputare vana e ingannevole. Per ogni diletto e ogni contentezza che hanno, cantano; e quanto è maggiore il diletto o la contentezza, tanto più lena e più studio pongono nel cantare. E cantando buona parte del tempo, s' inferisce che ordinariamente stanno di buona voglia e godono. E se bene è notato, che mentre sono in amore, cantano meglio, e più spesso, e più lungamente che mai; non è da credere però, che a cantare non li muovano altri diletti e altre contentezze fuori di queste dell' amore. Imperocchè si vede palesemente che al dì sereno e placido, cantano più che all' oscuro e inquieto: e nella tempesta si tacciono, come anche fanno in ciascuno altro timore che provano; e passata quella, tornano fuori cantando e giocolando gli uni cogli altri. Similmente si vede che usano di cantare in sulla mattina allo svegliarsi; a che sono mossi parte dalla letizia che prendono del giorno nuovo, parte da quel piacere che è generalmente a ogni animale sentirsi ristorati dal sonno e rifatti. Anche si rallegrano sommamente delle verzure liete, delle vallette fertili, delle acque pure e lucenti, del paese bello. Nelle quali cose è notabile che quello che pare ameno e leggiadro a noi, quello pare anche a loro; come si può conoscere dagli allettamenti coi quali sono tratti alle reti o alle panie, negli uccellari e paretai. Si può conoscere altresì dalla condizione di quei luoghi alla campagna, nei quali per l' ordinario è più frequenza di uccelli, e il canto loro assiduo e fervido. Laddove gli altri animali, se non forse quelli che sono dimesticati e usi a vivere cogli uomini, o nessuno o pochi fanno quello stesso giudizio che facciamo noi, dell' amenità e della vaghezza dei luoghi. E non è da maravigliarsene: perocchè non sono dilettati se non solamente dal naturale. Ora in queste cose, una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato nè quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese

1 Cyneget cap. 5, § 4.

abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le città, e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme; cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura. Dicono alcuni, e farebbe a questo proposito, che la voce degli uccelli è più gentile e più dolce, e il canto più modulato, nelle parti nostre, che in quelle dove gli uomini sono selvaggi e rozzi; e conchiudono che gli uccelli, anco essendo liberi, pigliano alcun poco della civiltà di quegli uomini alle cui stanze sono usati.

O che questi dicano il vero o no, certo fu notabile provvedimento della natura l'assegnare a un medesimo genere di animali il canto e il volo; in guisa che quelli che avevano a ricreare gli altri viventi colla voce, fossero per l' ordinario in luogo alto; donde ella si spandesse all' intorno per maggiore spazio, e pervenisse a maggior numero di uditori: e in guisa che l'aria, la quale si è l'elemento destinato al suono, fosse popolata di creature vocali e musiche. Veramente molto conforto e diletto ci porge, e non meno, per mio parere, agli altri animali che agli uomini, l'udire il canto degli uccelli. E ciò credo io che nasca principalmente, non dalla soavità de' suoni, quanta che ella si sia, nè dalla loro varietà, nè dalla convenienza scambievole; ma da quella significazione di allegrezza che è contenuta per natura, sì nel canto in genere, e sì nel canto degli uccelli in specie. Il quale è, come a dire, un riso, che l'uccello fa quando egli si sente star bene e piacevolmente.

Onde si potrebbe dire in qualche modo, che gli uccelli partecipano del privilegio che ha l'uomo di ridere: il quale non hanno gli altri animali; e perciò pensarono alcuni che siccome l'uomo è definito per animale intellettivo o razionale, potesse non meno sufficientemente essere definito per animale risibile; parendo loro che il riso non fosse meno proprio e particolare all' uomo, che la ragione. Cosa certamente mirabile è questa, che nell' uomo, il quale infra tutte le creature è la più travagliata e misera, si trovi la facoltà del riso, aliena da ogni altro animale. Mirabile ancora si è l'uso che noi facciamo di questa facoltà: poichè si veggono molti in qualche fierissimo accidente, altri in grande tristezza d'animo, altri che quasi non serbano alcuno amore alla vita, certissimi della vanità di ogni bene umano, presso che incapaci di ogni gioia, e privi di ogni speranza; nondimeno ridere. Anzi, quanto conoscono meglio la vanità dei predetti beni, e l' infelicità della vita; e quanto meno sperano, e meno eziandio sono atti a godere; tanto maggiormente sogliono i particolari uomini essere inclinati al riso. La natura del quale generalmente, e gl'intimi principii e modi, in quanto si è a quella parte che consiste nell' animo, appena si potrebbero definire

e spiegare se non se forse dicendo che il riso è specie di pazzia non durabile, o pure di vaneggiamento e delirio. Perciocchè gli uomini, non essendo mai soddisfatti nè mai dilettati veramente da cosa alcuna, non possono aver causa di riso che sia ragionevole e giusta. Eziandio sarebbe curioso a cercare, donde e in quale occasione più verisimilmente l'uomo fosse recato la prima volta a usare e a conoscere questa sua potenza. Imperocchè non è dubbio che esso, nello stato primitivo e selvaggio, si dimostra per lo più serio, come fanno gli altri animali; anzi alla vista malinconico. Onde io sono di opinione che il riso, non solo apparisse al mondo dopo il pianto, della qual cosa non si può fare controversia veruna; ma che penasse un buono spazio di tempo a essere sperimentato e veduto primieramente. Nel qual tempo, nè la madre sorridesse al bambino, nè questo riconoscesse lei col sorriso, come dice Virgilio. Che se oggi, almeno dove la gente è ridotta a vita civile, incominciano gli uomini a ridere poco dopo nati; fannolo principalmente in virtù dell' esempio, perchè veggono altri che ridono. E crederei che la prima occasione e la prima causa di ridere, fosse stata agli uomini la ubbriachezza; altro effetto proprio e particolare al genere umano. Questa ebbe origine lungo tempo innanzi che gli uomini fossero venuti ad alcuna specie di civiltà; poichè sappiamo che quasi non si ritrova popolo così rozzo, che non abbia provveduto di qualche bevanda o di qualche altro modo da inebbriarsi, e non lo soglia usare cupidamente. Delle quali cose non è da maravigliare; considerando che gli uomini, come sono infelicissimi sopra tutti gli altri animali, eziandio sono dilettati più che qualunque altro, da ogni non travagliosa alienazione di mente, dalla dimenticanza di se medesimi, dalla intermissione, per dir così, della vita; donde o interrompendosi o per qualche tempo scemandosi loro il senso e il conoscimento dei propri mali, ricevono non piccolo benefizio. E in quanto al riso, vedesi che i selvaggi, quantunque di aspetto seri e tristi negli altri tempi, pure nella ubbriachezza ridono profusamente; favellando ancora molto e cantando, contro al loro usato. Ma di queste cose tratterò più distesamente in una storia del riso, che ho in animo di fare: nella quale, cercato che avrò del nascimento di quello, seguiterò narrando i suoi fatti e i suoi casi e le sue fortune da indi in poi, fino a questo tempo presente; nel quale egli si trova essere in dignità e stato maggiore che fosse mai; tenendo nelle nazioni civili un luogo, e facendo un officio, coi quali esso supplisce per qualche modo alle parti esercitate in altri tempi dalla virtù, dalla giustizia, dall' onore simili; e in molte cose raffrenando e spaventando gli uomini dalle male opere. Ora conchiudendo del canto degli accelli, dico, che

imperocchè la letizia veduta o conosciuta in altri, della quale non si abbia invidia, suole confortare e rallegrare; però molto lodevolmente la natura provvide che il canto degli uccelli, il quale è dimostrazione di allegrezza, e specie di riso, fosse pubblico; dove che il canto e il riso degli uomini, per rispetto al rimanente del mondo, sono privati: e sapientemente operò che la terra e l'aria fossero sparse di animali che tutto dì, mettendo voci di gioia risonanti e solenni, quasi applaudissero alla vita universale, e incitassero gli altri viventi ad allegrezza, facendo continue testimonianze, ancorchè false, della felicità delle cose.

E che gli uccelli sieno e si mostrino lieti più che gli altri animali, non è senza ragione grande. Perchè veramente, come ho accennato a principio, sono di natura meglio accomodati a godere e ad essere felici. Primieramente, non pare che sieno sottoposti alla noia. Cangiano luogo a ogni tratto; passano da paese a paese quanto tu vuoi lontano, e dall' infima alla somma parte dell' aria, in poco spazio di tempo, e con facilità mirabile; veggono e provano nella vita loro cose infinite e diversissime; esercitano continuamente il loro corpo; abbondano soprammodo della vita estrinseca. Tutti gli altri animali, provveduto che hanno ai loro bisogni, amano di starsene quieti e oziosi; nessuno, se già non fossero i pesci, ed eccettuati pure alquanti degl' insetti volatili, va lungamente scorrendo per solo diporto. Così l'uomo silvestre, eccetto per supplire di giorno in giorno alle sue necessità, le quali ricercano piccola e breve opera; ovvero se la tempesta, o alcuna fiera, o altra sì fatta cagione non lo caccia; appena è solito di muovere un passo: ama principalmente l'ozio e la negligenza; consume poco meno che i giorni intieri sedendo neghittosamente in silenzio nella sua capannetta informe, o all'aperto, o nelle rotture e caverne delle rupi e dei sassi. Gli uccelli, per lo contrario, pochissimo soprastanno in un medesimo luogo; vanno e vengono di continuo senza necessità veruna; usano il volare per sollazzo; e talvolta, andati a diporto più centinaia di miglia dal paese dove sogliono praticare, il dì medesimo in sul vespro vi si riducono. Anche nel piccolo tempo che soprasseggono in un luogo, tu non li vedi stare mai fermi della persona; sempre si volgono qua e là, sempre si aggirano, si piegano, si protendono, si crollano, si dimenano; con quella vispezza, quell' agilità, quella prestezza di moti indicibile. In somma, da poi che l'uccello è schiuso dall' uovo, insino a quando muore, salvo gl' intervalli del sonno, non si posa un momento di tempo. Per le quali considerazioni parrebbe si potesse affermare, che naturalmente lo stato ordinario degli altri animali, compresovi ancora gli uomini, si è la quiete; degli uccelli, il moto.

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