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FRAMMENTO APOCRIFO

DI STRATONE DA LAMPSACO.

Questo frammento, che io per passatempo ho recato dal greco in volgare, è tratto da un codice a penna che trovavasi, alcuni anni sono, e forse ancora si trova, nella libreria dei monaci del monte Athos. Lo intitolo Frammento apocrifo, perchè, come ognuno può vedere, le cose che si leggono nel capitolo della fine del mondo, non possono essere state scritte se non poco tempo addietro; laddove Stratone da Lampsaco, filosofo peripatetico, detto il fisico, visse da trecento anni avanti l'èra cristiana. È ben vero che il capitolo della origine del mondo concorda a un di presso con quel poco che abbiamo delle opinioni di quel filosofo negli scrittori antichi. E però si potrebbe credere che il primo capitolo, anzi forse ancora il principio dell' altro, sieno veramente di Stratone; il resto vi sia stato aggiunto da qualche dotto Greco non prima del secolo passato. Giudichino gli eruditi lettori.

DELLA ORIGINE DEL MONDO.

Le cose materiali, siccome elle periscono tutte ed hanno fine, così tutte ebbero incominciamento. Ma la materia stessa niuno incominciamento ebbe, cioè a dire che ella è per sua propria forza ab eterno. Imperocchè se dal vedere che le cose materiali crescono e diminuiscono e all' ultimo si dissolvono, conchiudesi che elle non sono per se nè ab eterno, ma incominciate e prodotte; per lo contrario, quello che mai non cresce nè scema e mai non perisce, si dovrà giudicare che mai non cominciasse e che non provenga da causa alcuna. E certamente in niun modo si potrebbe provare che delle due argomentazioni, se questa fosse falsa, quella fosse pur vera. Ma poichè noi siamo certi quella esser vera, il medesimo abbiamo a concedere anco dell' altra. Ora noi veggiamo che la materia non si accresce mai di una eziandio menoma quantità, niuna anco menoma parte della materia si perde, in guisa che essa materia non è sottoposta a perire. Per tanto i diversi modi di essere della materia, i quali si veggono in quelle che noi chiamiamo creature materiali, sono caduchi e passeggeri; ma niun segno di caducità nè di mortalità si scuopre nella materia universalmente, e però niun segno che ella sia comin

LEOPARDI.

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ciata, nè che ad essere le bisognasse o pure le bisogni alcuna. causa o forza fuori di sè. 11 mondo, cioè l' essere della materia in un cotal modo, è cosa incominciata e caduca. Ora diremo della origine del mondo.

La materia in universale, siccome in particolare le piante e le creature animate, ha in sè per natura una o più forze sue proprie, che l'agitano e muovono in diversissime guise continuamente. Le quali forze noi possiamo congetturare ed anco denominare dai loro effetti, ma non conoscere in sè, nè scoprir la natura loro. Nè anche possiamo sapere se quegli effetti che da noi si riferiscono a una stessa forza, procedano veramente da una o da più, e se per contrario quelle forze che noi significhiamo con diversi nomi, sieno veramente diverse forze, o pure una stessa. Siccome tutto dì nell' uomo con diversi vocaboli si nomina una sola passione o forza: per modo di esempio, l'ambizione, l'amor del piacere e simili, da ciascuna delle quali fonti derivano effetti talora semplicemente diversi, talora eziandio contrari a quel delle altre, sono in fatti una medesima passione, cioè l'amor di sè stesso, il quale opera in diversi casi diversamente. Queste forze adunque o si debba dire questa forza della materia, movendola, come abbiamo detto, ed agitandola di continuo, forma di essa. materia innumerabili creature, cioè la modifica in variatissime guise. Le quali creature. comprendendole tutte insieme, e considerandole siccome distribuite in certi generi e certe specie, e congiunte tra sè con certi tali ordini e certe tali relazioni che provengono dalla loro natura, si chiamano mondo. Ma imperciocchè la detta forza non resta mai di operare e di modificar la materia, però quelle creature che essa continuamente forma, essa altresì le distrugge, formando della materia loro nuove creature. Insino a tanto che distruggendosi le creature individue, i generi nondimeno e le specie delle medesime si mantengono, o tutte o le più, e che gli ordini e le relazioni naturali delle cose non si cangiano o in tutto o nella più parte, si dice durare ancora quel cotal mondo. Ma infiniti mondi nello spazio infinito dell' eternità, essendo durati più o men tempo, finalmente sono venuti meno, perdutisi per li continui rivolgimenti della materia, cagionati dalla predetta forza, quei generi e quelle specie onde essi mondi si componevano, e mancate quelle relazioni e quegli ordini che li governavano. Nè perciò la materia è venuta meno in qual si sia particella, ma solo sono mancati que' suoi tali modi di essere, succedendo immantinente a ciascuno di loro un altro modo, cioè un altro mondo, di mano in mano.

DELLA FINE DEL MONDO.

La

Questo mondo presente del quale gli uomini sono parte, cioè a dire l' una delle specie delle quali esso è composto, quanto tempo sia durato fino qui, non si può facilmente dire, come nè anche si può conoscere quanto tempo esso sia per durare da questo innanzi. Gli ordini che lo reggono paiono immutabili, e tali sono creduti, perciocchè essi non si mutano se non che a poco a poco e con lunghezza incomprensibile di tempo, per modo che le mutazioni loro non cadono appena sotto il conoscimento, non che sotto i sensi dell' uomo. quale lunghezza di tempo, quanta che ella si sia, è ciò non ostante menoma per rispetto alla durazione eterna della materia. Vedesi in questo presente mondo un continuo perire degl' individui ed un continuo trasformarsi delle cose da una in altra; ma perciocchè la distruzione è compensata continuamente dalla produzione, e i generi si conservano, stimasi che esso mondo non abbia nè sia per avere in sè alcuna causa per la quale debba nè possa perire, e che non dimostri alcun segno di caducità. Nondimeno si può pur conoscere il contrario, e ciò da più d'un indizio, ma tra gli altri da questo.

Sappiamo che la terra, a cagione del suo perpetuo rivolgersi intorno al proprio asse, fuggendo dal centro le parti dintorno all' equatore, e però spingendosi verso il centro quelle dintorno ai poli, è cangiata di figura e continuamente cangiasi, divenendo intorno all' equatore ogni dì più ricolma, e per lo contrario intorno ai poli sempre più deprimendosi. Or dunque da ciò debbe avvenire che in capo di certo tempo, la quantità del quale, avvengachè sia misurabile in sè, non può essere conosciuta dagli uomini, la terra si appiani di qua e di là dall' equatore per modo, che perduta al tutto la figura globosa, si riduca in forma di una tavola sottile ritonda. Questa ruota aggirandosi pur di continuo dattorno al suo centro, attenuata tuttavia più e dilatata, a lungo andare, fuggendo dal centro tutte le sue parti, riuscirà traforata nel mezzo. 11 qual foro ampliandosi a cerchio di giorno in giorno, la terra' ridotta per cotal modo a figura di uno anello, ultimamente andrà in pezzi; i quali usciti della presente orbita della terra, e perduto il movimento circolare, precipiteranno nel sole forse in qualche pianeta.

Potrebbesi per avventura in confermazione di questo discorso addurre un esempio, io voglio dire dell' anello di Saturno, della natura del quale non si accordano tra loro i fisici.

quantunque nuova e inaudita, forse non sarebbe perciò inverisimile congettura il presumere che il detto anello fosse da

principio uno dei pianeti minori destinati alla sequela di Saturno; indi appianato e poscia traforato nel mezzo per cagioni conformi a quelle che abbiamo dette della terra, ma più presto assai, per essere di materia forse più rara e più molle, cadesse dalla sua orbita nel pianeta di Saturno, dal quale colla virtù attrattiva della sua massa e del suo centro, sia ritenuto, siccome lo veggiamo essere veramente, dintorno a esso centro. E si potrebbe credere che questo anello continuando ancora a rivolgersi, come pur fa, intorno al suo mezzo, che è medesimamente quello del globo di Saturno, sempre più si assottigli e dilati, e sempre si accresca quell' intervallo che è tra esso e il predetto globo, quantunque ciò accada troppo più lentamente di quello che si richiederebbe a voler che tali mutazioni fossero potute notare e conoscere dagli uomini, massime così distanti. Queste cose, o seriamente o da scherzo, sieno dette circa all' anello di Saturno.

è

Ora quel cangiamento che noi sappiamo essere intervenuto e intervenire ogni giorno alla figura della terra, non è dubbio alcuno che per le medesime cause non intervenga somigliantemente a quella di ciascun pianeta, comecchè negli altri pianeti esso non ci sia così manifesto agli occhi come egli ci pure in quello di Giove. Nè solo a quelli che a similitudine della terra si aggirano intorno al sole, ma il medesimo senza alcun fallo interviene ancora a quei pianeti che ogni ragion vuole che si credano essere intorno a ciascuna stella. Per tanto in quel modo che si è divisato della terra, tutti i pianeti in capo di certo tempo, ridotti per sè medesimi in pezzi, hanno a precipitare gli uni nel sole, gli altri nelle stelle loro. Nelle quali fiamme manifesto è che non pure alquanti o molti individui, ma universalmente quei generi e quelle specie che ora si contengono nella terra e nei pianeti, saranno distrutte insino, per dir così, dalla stirpe. E questo per avventura, o alcuna cosa a ciò somigliante, ebbero nell' animo quei filosofi, così greci come barbari, i quali affermarono dovere alla fine questo presente mondo perire di fuoco. Ma perciocchè noi veggiamo che anche il sole si ruota dintorno al proprio asse, e quindi il medesimo si dee credere delle stelle, segue che l' uno e le altre in corso di tempo debbano non meno che i pianeti venire in dissoluzione, e le loro fiamme dispergersi nello spazio. In tal guisa adunque il moto circolare delle sfere mondane, il quale è principalissima parte dei presenti ordini naturali, e quasi principio e fonte della conservazione di questo universo, sarà causa altresì della distruzione di esso universo e dei detti ordini.

Venuti meno i pianeti, la terra, il sole e le stelle, ma non la materia loro, si formeranno di questa nuove creature, distinte in nuovi generi e nuove specie, e nasceranno per le

forze eterne della materia nuovi ordini delle cose ed un nuovo mondo. Ma le qualità di questo e di quelli, siccome eziandio degl' innumerabili che già furono e degli altri infiniti che poi saranno, non possiamo noi nè pur solamente congetturare.

DIALOGO

DI TIMANDRO E DI ELEANDRO.

Timandro. Io ve lo voglio anzi debbo pur dire liberamente. La sostanza e l'intenzione del vostro scrivere e del vostro parlare, mi paiono molto biasimevoli.

Eleandro. Quando non vi paia tale anche l' operare, io non mi dolgo poi tanto: perchè le parole e gli scritti importano poco.

Timandro. Nell' operare, non trovo di che riprendervi. So che non fate bene agli altri per non potere, e veggo che non fate male per non volere. Ma nelle parole e negli scritti, vi credo molto riprensibile; e non vi concedo che oggi queste cose importino poco; perchè la nostra vita presente non consiste, si può dire, in altro. Lasciamo le parole per ora, e diciamo degli scritti. Quel continuo biasimare e derider che fate la specie umana, primieramente è fuori di moda.

Eleandro. Anche il mio cervello è fuori di moda. E non è nuovo che i figliuoli vengano simili al padre.

come

Timandro. Nè anche sarà nuovo che i vostri libri, ogni cosa contraria all'uso corrente, abbiano cattiva fortuna. Eleandro. Poco male. Non per questo andranno cercando pane in sugli usci.

Timandro. Quaranta o cinquant'anni addietro, i filosofi solevano mormorare della specie umana; ma in questo secolo fanno tutto al contrario.

Eleandro. Credete voi che quaranta o cinquant'anni addietro, i filosofi, mormorando degli uomini, dicessero il falso o il vero?

Timandro. Piuttosto e più spesso il vero che il falso. Eleandro. Credete che in questi quaranta o cinquant'anni, la specie umana sia mutata in contrario da quella che era prima?

Timandro. Non credo; ma cotesto non monta nulla al nostro proposito.

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