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O Torquato, o Torquato, a noi l'eccelsa
Tua mente allora, il pianto

A te, non altro, preparava il cielo.
Oh misero Torquato! il dolce canto

Non valse a consolarti o a sciorre il gelo
Onde l'alma t' avean, ch' era sì calda,
Cinta l'odio e l'immondo

Livor privato e de' tiranni.

Amore,
Amor, di nostra vita ultimo inganno,
T'abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e il mondo

Inabitata piaggia. Al tardo onore 1

Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
L'ora estrema ti fu. Morte domanda
Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
Torna, torna fra noi, sorgi dal muto
E sconsolato avello,

Se d'angoscia sei vago, o miserando
Esemplo di sciagura. Assai da quello
Che ti parve sì mesto e sì nefando,
È peggiorato il viver nostro. O caro,
Chi ti compiangeria,

Se, fuor che di se stesso, altri non cura?
Chi stolto non direbbe il tuo mortale

Affanno anche oggidì, se il grande e il raro
Ha nome di follia;

Nè livor più, ma ben di lui più dura
La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
Se più de' carmi, il computar s' ascolta,
Ti appresterrebbe il lauro un' altra volta?
Da te fino a quest' ora uom non è sorto,
O sventurato ingegno,

Pari all' italo nome, altro ch' un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
Allobrogo feroce, a cui dal polo
Maschia virtù, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,

Venne nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena
Mosse guerra a' tiranni: almen si dia
Questa misera guerra

E questo vano campo all' ire inferme

Del mondo. Ei primo e sol dentro all' arena

T. V.

Vist. Alfieri

1 Di qui alla fine della stanza si ha riguardo alla congiuntura della morte del Tasso, accaduta in tempo che erano per incoronarlo poeta in Campidoglio.

Scese, e nullo il seguì, chè l' ozio e il brutto
Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
Disdegnando e fremendo, immacolata

Trasse la vita intera,

E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Paghi viviamo, e scorti

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Da mediocrità: sceso il sapiente

E salita è la turba a un sol confine,
Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso;
Segui; risveglia i morti,

Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de' prischi eroi; tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni

E sorga ad atti illustri, o si vergogni.

IV.

NELLE NOZZE DELLA SORELLA PAOLINA.

Poi che del patrio nido

I silenzi lasciando, e le beate
Larve e l'antico error, celeste dono,
Ch' abbella agli occhi tuoi quest' ermo lido,
Te nella polve della vita e il suono
Tragge il destin; l' obbrobriosa etate

... Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Sorella mia, che in gravi

E luttuosi tempi

L' infelice famiglia all' infelice

Italia accrescerai. Di forti esempi

Al tuo sangue provvedi. Aure soavi
L'empio fato interdice

All' umana virtude,

Nè pura in gracil petto alma si chiude.
O miseri o codardi

Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose

Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
E nella sera dell' umane cose,

Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.

Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr' ogni cura,

Che di fortuna amici

Non crescano i tuoi figli, e non di vile
Timor gioco o di speme: onde felici
Sarete detti nell' età futura:

Poichè (nefando stile

Di schiatta ignava e finta)

Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.
Donne, da voi non poco

La patria aspetta; e non in danno e scorno
Dell' umana progenie al dolce raggio
Delle pupille vostre il ferro e il foco
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E il forte adopra e pensa: e quanto il giorno
Col divo carro accerchia, a voi s' inchina.
Ragion di nostra etate

Io chieggo a voi. La santa

Fiamma di gioventù dunque si spegne
Per vostra mano? attenuata e franta
Da voi nostra natura? e le assonnate
Menti, e le voglie indegne,

E di nervi e di polpe

Scemo il valor natio, son vostre colpe?
Ad atti egregi è sprone

Amor, chi ben l' estima, e d'alto affetto
Maestra è la beltà. D' amor digiuna
Siede l'alma di quello a cui nel petto
Non si rallegra il cor quando a tenzone
Scendono i venti, e quando nembi aduna
L'Olimpo, e fiede le montagne il rombo
Della procella. O spose,

O verginette, a voi

Chi de' perigli è schivo, e quei che indegno
È della patria e che sue brame e suoi
Volgari affetti in basso loco pose,

Odio mova e disdegno;

Se nel femmineo core

D' uomini ardea, non di fanciulle, amore.

Madri d' imbelle prole

V' incresca esser nomate. I danni e il pianto

Della virtude a tollerar s' avvezzi

La stirpe vostra, e quel che pregia e cole
La vergognosa età,, condanni e sprezzi;
Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto
Agli avi suoi deggia la terra, impari.
Qual de' vetusti eroi

LEOPARDI.

3

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V.

A UN VINCITORE NEL PALLONE.

Di gloria il viso e la gioconda voce,
Garzon bennato, apprendi,

E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s' alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi, e il core
Movi ad alto desio. Te l' echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;

Te rigoglioso dell' età novella
Oggi la patria cara

Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona

Non colorò la destra

Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupito mirò l' ardua palestra,
Nè la palma beata e la corona

D'emula brama il punse. E nell' Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi

Delle cavalle vincitrici asterse

Tal che le greche insegne e il greco acciaro

Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi

Nelle pallide torme; onde sonaro

Di sconsolato grido

L'alto sen dell' Eufrate e il servo lido.
Vano dirai quel che disserra e scote

Della virtù nativa

Le riposte faville? e che del fioco
Spirto vital negli egri petti avviva
Il caduco fervor? Le meste rote

Da poi che Febo instiga, altro che giuoco
Son l'opre de' mortali? ed è men vano
Della menzogna il vero? A noi di lieti

Inganni e di felici ombre soccorse

Natura stessa: e là dove l' insano

Costume ai forti errori ésca non porse,

Negli ozi oscuri e nudi

Mutò la gente i gloriosi studi.

Tempo forse verrà ch' alle ruine

Delle italiche moli

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