Insultino gli armenti, e che l'aratro Dal rimembrar delle passate imprese. Chiaro per lei stato saresti allora Che del serto fulgea, di ch' ella è spoglia, Chè nullo di tal madre oggi s' onora: Sè stessa obblia, nè delle putri e lente Spinto al varco leteo, più grata riede. VI. BRUTO MINORE. 1 Poi che divelta, nella tracia 1 polve L'italica virtute, onde alle valli A spezzar le romane inclite mura Si usa qui la licenza, usata da diversi autori antichi, di attribuire alla Tracia la città e la battaglia di Filippi, che veramente furono nella Macedonia. Similmente nel nono Canto si seguita la tradizione volgare intorno agli amori infelici di Saffo poetessa, benchè il Visconti ed altri critici moderni distinguano due Saffo; l' una famosa per la sua lira, e l'altra per l' amore sfortunato di Faone, quella contemporanea d'Alceo, e questa più moderna. Invan la sonnolenta aura percote. Stolta virtù, le cave nebbie, i campi Son le tue scole, e ti si volge a tergo A cui templi chiedeste, e frodolenta Dunque tanto i celesti odii commove Ne' giusti e pii la sacra fiamma stringi? Schiavi di morte: e se a cessar non vale Si consola il plebeo. Men duro è il male Guerra mortale, eterna, o fato indegno, Di cedere inesperto; e la tiranna Tua destra, allor che vincitrice il grava, Quando nell' alto lato L'amaro ferro intride, E maligno alle nere ombre sorride. Tanto valor ne' molli eterni petti. Ma libera ne' boschi e pura etade Natura a noi prescrisse, Reina un tempo e Diva. Or poi ch' a terra 38 BRUTO MINORE. Sparse i regni beati empio costume, Virile alma ricusa, Riede natura, e il non suo dardo accusa? Serena adduce al non previsto passo Al misero desio nulla contesa O tenebroso ingegno. A voi, fra quante Se il fato ignavo pende, Soli, o miseri, a voi Giove contende. É tu dal mar cui nostro sangue irriga, E l' inquieta notte e la funesta All' ausonio valor campagna esplori. Tu si placida sei? Tu la nascente Lieti vedesti, e i memorandi allori; Sotto barbaro piede Ritornerà quella solinga sede. Ecco tra nudi sassi o in verde ramo E la fera e l' augello, Del consueto obblio gravido il petto, L'alta ruina ignora e le mutate Sorti del mondo: e come prima il tetto Rosseggerà del villanello industre, Al mattutino canto Quel desterà le valli, e per le balze Agiterà delle minori belve. Oh casi! oh gener vano! abbietta parte 1 ༣ Non gli ululati spechi Nè scolorò le stelle umana cura. Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi E non la notte moribondo appello; Precipitano i tempi; e mal s' affida L'onor d' egregie menti e la suprema Tratti l' ignota spoglia; E l'aura il nome e la memoria accoglia. VII. ALLA PRIMAVERA, O DELLE FAVOLE ANTICHE. Perchè i celesti danni Ristori il sole, e perchè l' aure inferme Gli augelli al vento, e la diurna luce La bella età, cui la sciagura e l'atra Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti Primavera odorata, inspiri e tenti Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara? |