Credei ch' al tutto fossero I dolci affanni, i teneri Quante querele e lacrime Mancar gli usati palpití, Piansi spogliata, esanime Deserto il dì; la tacita Pur di quel pianto origine Era l'antico affetto: Nell' intimo del petto Ancor viveva il cor. Chiedea l'usate immagini La stanca fantasia; Era dolore ancor. Fra poco in me quell' ultimo Dolore anco fu spento, Giacqui insensato, attonito, Non dimandai conforto: Quasi perduto e morto, Qual fui! quanto dissimile La rondinella vigile, Non all' autunno pallido In solitaria villa, Il fuggitivo Sol. Invan brillare il vespero Vidi per muto calle, E voi, pupille tenere, Ed alla mano offertami D'ogni dolcezza vedovo, Desiderato il termine Qual dell' età decrepita Così quegl' ineffabili Chi dalla grave, immemore Moti soavi, immagini, Siete pur voi quell' unica Luce de' giorni miei? Gli affetti ch' io perdei Nella novella età? Se al ciel: s' ai verdi margini, Ovunque il guardo mira, Tutto un piacer mi dà. Meco ritorna a vivere La piaggia, il bosco, il monte; Chi mi ridona il piangere Dopo cotanto obblio? Forse la speme, o povero Propri mi diede i palpiti Non l'annullâr: non vinsela Il fato e la sventura; Non con la vista impura L' infausta verità. Dalle mie vaghe immagini Che non del ben sollecita So che pietà fra gli uomini Che ignora il tristo secolo E voi, pupille tremule, Nessuno ignoto ed intimo Anzi d' altrui le tenere Pur sento in me rivivere Da te, mio cor, quest'ultimo Spirto, e l' ardor, natio, Ogni conforto mio' Solo da te mi vien. Mancano, il sento, all' anima Alta, gentile e pura, La sorte, la natura, Il mondo e la beltà. Ma se tu vivi, o misero, XXI. A SILVIA. Silvia, rimembri ancora Quel tempo della tua vita mortale, Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, Sonavan le quïete Stanze, e le vie dintorno, Allor che all' opre femminili intenta Sedevi, assai contenta Di quel vago avvenir che in mente avevi. Così menare il giorno. Io gli studi leggiadri Talor lasciando e le sudate carte, Ove il tempo mio primo E di me si spendea la miglior parte, D' in su i veroni del paterno ostello Porgea gli orecchi al suon della tua voce, Ed alla man veloce Che percorrea la faticosa tela. Mirava il ciel sereno, Le vie dorate e gli orti, E quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Lingua mortal non dice Quel ch' io sentiva in seno. Che pensieri soavi, Che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia La vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme, Un affetto mi preme Acerbo e sconsolato, |