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Gli occhi pien di letizia e d'onestate,
E'l parlar di dolcezza e di salute.
Tutte lingue son mute

A dir di lei quel che tu sol ne sai.
Sì chiaro ha 'l volto di celesti rai,
Che vostra vista in lui non può fermarse,
E da quel suo bel carcere terreno
Di tal foco hai 'l cor pieno,

Ch' altro più dolcemente mai non arse.
Ma parmi che sua subita partita
Tosto ti fia cagion d'amara vita.

Detto questo,

alla sua volubil rota

Si volse, in ch'ella fila il nostro stame, Trista e certa indovina de' miei danni; Che, dopo non molt' anni,

Quella perch' io ho di morir tal fame, Canzon mia, spense morte acerba e rea, corpo occider non potea.

Che più bel

SONETTO LV.

ARGOMENTO.

Conforto della morte di Laura, sua beatitudine in cielo, e gloriosa fama su la terra.

OR hai fatto l'estremo di tua possa,

O crudel Morte; or hai 'l regno d' Amore
Impoverito; or di bellezza il fiore,
E'l lume hai spento, e chiuso in poca

Or hai spogliata nostra vita e scossa

fossa.

D'ogni ornamento e del sovran suo onore;
Ma la fama e 'l valor che mai non more
Non è in tua forza; abbiti ignude l' ossa;

Che l' altro ha 'l cielo, e di sua chiaritate,
Quasi d'un più bel sol, s' allegra e gloria,
E fia 'l mondo de' buon sempre in memoria.

Vinca 'l cor vostro in sua tanta vittoria,
Angel novo, lassù di me pietate,

Come vinse qui 'l mio vostra beltate.

SONETTO LVI.

ARGOMENTO.

Morta colei ch' era sua vita e riposo, non gli rimane altro conforto che morte, benchè temperi il dolore il pensiero di sua felicità, e la speranza di far lei eterna co' versi suoi.

L'AURA, e l'odore, e 'l refrigerio, e l'ombra
Del dolce lauro, e sua vista fiorita,

Lume e riposo di mia stanca vita,

Tolto ha colei che tutto 'l mondo sgombra.

Come a noi'l sol, se sua soror l' adombra,
Così l'alta mia luce a me sparita,

Io cheggio a morte incontr' a morte aita;
Di sì scuri pensieri amor m' ingombra.

Dormito hai, bella donna, un breve sonno,
Or se' svegliata fra gli spirti eletti,
Ove nel suo fattor l'alma s' interna.

E, se mie rime alcuna cosa ponno,
Consecrata fra i nobili intelletti,
Fia del tuo nome quì memoria eterna.

SONETTO LVII.

ARGOMENTO.

Ahi! fu ben da prevedere che più non rivedrebbe la donna sua, l' ultima volta che la vide.

L'ULTIMO, lasso! de' miei giorni allegri,

Che pochi ho visto in questo viver breve,
Giunt' era, e fatto 'l cor tepida neve,
Forse presago de' dì tristi e negri.

Qual ha già i nervi, e i polsi, e i pensier egri,
Cui domestica febbre assalir deve,

Tal mi sentia, non sapend' io che leve
Venisse 'l fin de' miei ben non integri.

Gli occhi belli, ora in ciel chiari e felici
Del lume onde salute e vita piove,
Lasciando i miei quì miseri e mendici,

Dicean lor con faville oneste e nove :
Rimanetevi in pace, o cari amici,

Qui mai più no, ma rivedrenne altrove.

SONETTO LVIII.

ARGOMENTO.

Lamento, che, quando si partì da Laura, non s'accorgesse di quello che già era ordinato di lei nel cielo, e palese in quella dolce nebbia ond' era il gran lume dei begli occhi temperato.

O giorno! o ora! o ultimo momento!
O stelle congiurate a 'mpoverirme!
O fido sguardo! or, che volei tu dirme,
Partend' io per non esser mai contento?

Or conosco i miei danni, or mi risento,
Ch'i' credeva (ahi credenze vane e 'nfirme!)
Perder parte, non tutto, al dipartirme. I
Quante speranze se ne porta il vento !!!

Che già 'l contrario era ordinato in cielo;
Spegner l'almo mio lume ond' io vivea,
E scritto era in sua dolce amara vista.

I.

Ma 'nnanzi agli occhi m' era posto un velo,
Che mi fea non veder quel ch'i' vedea,
Per far mia vita subito più trista.

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