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Si trova dove tu non puoi vedere.
Poi guardo i bracci fuoi diftefi e groffi,
La bianca mano morbida e pulita;
Guardo le lunghe e fottilette dita,
Vaghe di quello anel, che l'un tien cinto;
E il mio penfier mi dice: or fe tu foffi
Dentro a que' bracci, fra quella partita;
Tanto piacer avrebbe la tua vita,
Che dir per me non fi potrebbe il quinto.
Vedi ch'ogni fuo membro par depinto,
Formofi e grandi, quanto a lei s'avvene,
Con un color angelico di perla,
Graziofa a vederla

E difdegnofa, dove fi convene:
Umile, vergognofa e temperata,
E fempre a vertù grata,

Intra'fuoi be' coftumi un atto regna,
Che d'ogni riverenza la fa degna.
Soave a guifa va di un bel pavone,
Diritta fopra fe, come una grua.
Vedi che propiamente ben par fua,
Quanto effer puote onefta leggiadria;
E fe ne vuoi veder viva ragione,
Dice il penfier: guarda alla mente tua
Ben fifamente allorch'ella s'indua
Con donna, che leggiadra o bella fia;
E come move, par che fugga via
Dinanzi al fol ciafcun' altra chiarezza
Così coftei ogni adornezza sface.
Or vedi s'ella piace,

Che Amore è tanto, quanto fua biltate,
E fomma, e gran biltà con lei fi trova,
Quel che le piace e giova,

E' fol

E' fol d'onefta, e di gentil ufanza;
Ma folo in fuo ben far prende fperanza.
Canzon, tu puoi ben dir fta veritate,
Pofciachè al mondo bella donna nacque,
Neffuna mai non piacque
Generalmente, quanto fa coftei,
Perchè fi trova in lei

Biltà di corpo, e d'anima bontate:
Fuorchè le manca un poco di pietate.

La bella ftella che 'l tempo mifura,
Sembra la donna, che mi ha innamorato;
Pofta nel Ciel d'amore,

E come quella fa di fua figura

A giorno a giorno il mondo illuminato;
Così fa quefta il core

Alli gentili, ed a quei c'han valore,
Col lume che nel vifo le dimora;
E ciafchedun l'onora;

Perocchè vede in lei perfetta luce,
Per la qual nella mente fi conduce
Piena vertute a chi fe ne innamora.
E quefto è che colora

Quel Ciel d'un lume, ch'agli buoni è duce
Con lo fplendor che fua bellezza adduce.
Da bella donna più ch'io non divifo,
Son io partito innamorato tanto,
Quanto convene a lei;

E porto pinto nella mente il vifo,
Onde procede il dolorofo pianto,

Che

1 Questa Canzone fu stampata dal Pilli fra le rime di M. Cino; e fi ritrova nelle Rime antiche fra le canzoni degli autori incerti: "ma fotto il nome di Dante fi legge nell'impreffione del 1518.

Che fanno gli occhi miei.
O bella donna, luce ch'io vedrei,
S'io foffi là dove io mi fon partito,
Dolente, sbigottito,

Dice tra fe piangendo il cor dolente;
Più bella affai la porto nella mente,
Che non farà nel mio parlar udito;
Perch'io non fon fornito,

D'intelletto a parlar così altamente,
Nè a contare il mio mal perfettamente.
Da lei fi move ciafcun mio penfiero,
Perchè l'anima ha prefo qualitate
Di fua bella perfona;

E viemmi di vederla un defidero,
Che mi reca il penfier di fua biltate,
Che la mia voglia sprona

Pur ad amarla: e pur non mi abbandona;
Ma fallami chiamar senza ripofo.

Laffo! morir non ofo,

E la vita dolente in pianto meno;
E s'io non poffo dir mio duolo appieno,
Non mel voglio però tenere afcoso;
Ch'io ne farò pietofo

Ciascun, cui tien il mio Signore a freno,
Ancorach'io ne dica alquanto meno.
Riede alla mente mia ciafcuna cofa,
Che fu da lei per me giammai veduta,
O ch'io l'udiffi dire.

E fo come colui che non ripofa,
E la cui vita a più a più fi ftuta
In pianto ed in languire.

Da lei mi vien d'ogni cofa il martire:
Che fe da lei pietà mi fu moftrata,

Ed

Ed io l'aggio laffata;

Tanto più di ragion mi dee dolere,
E s'io la mi ricordo mai parere

Ne' fuoi fembianti verfo me turbata,
Ovver difnamorata,

Cotal m'è or, quale mi fu a vedere,
E viemmene di pianger più volere.
L'innamorata mia vita fi fugge

Dietro al defio che a madonna mi tira
Senza niun ritegno;

E il grande lacrimar che mi diftrugge,
Quando mia vifta bella donna mira,
Divene affai più pregno;

E non faprei io dir qual io divegno:
Ch'io mi ricordo allor, quando io vedia
Tallor la donna mia;

E la figura fua ch'io dentro porto,
Surge sì forte, ch'io divengo morto.
Ond' io lo ftato mio dir non pozria,
Laffo, ch'io non vorria

Giammai trovar chi mi deffe conforto,
Finch'io farò dal fuo bel vifo fcorto.
Tu non fei bella, ma tu fei pietofa,
Canzon mia nova, e cotal tene andrai
Là dove tu farai

Per avventura da madonna udita;
Parlavi riverente e sbigottita,
Pria falutando, e poi si le dirai;
Com'io no fpero mai

Di più vederla anzi la mia finita;
Perchè io non credo aver sì lunga vita.

Per

Perchè nel tempo rio

Dimoro tuttavia afpettando peggio,
Non fo come io mi deggio

Mai confolar, fe non m'ajuta Iddio
Per la morte, ch'io cheggio

A lui, che vegna nel foccorfo mio:
Che miferi, com'io,

Sempre difdegna, come or provo e veggio.
Non mi vo'lamentar di chi ciò face;
Perch'io aspetto pace

Da lei ful ponto dello mio finire;
Ch'io le credo fervire

Laffo, così morendo,

Poi le difervo, e difpiaccio vivendo. Deh or m'aveffe Amore,

Prima che 'l vidi, immantenente morto;

Che per biafmo del torto

Avrebbe a lei, ed a me fatto onore;

Tanta vergogna porto

Della mia vita, che teftè non more:
E peggio ho, che 'l dolore,

Nel qual d'amar la gente difconforto;
Che Amor è una cofa, e la ventura,
Che foverchian natura,

L'un per ufanza, e l'altro per fua forza:
E me ciafcuno sforza,

Sicch'io vo' per men male,

Morir contra la voglia naturale.

Questa mia voglia fera

E'tanto forte, che fpeffe fiate

Per l'altrui podeftate

Da

a Nelle Rime antiche quefta Canzone è d'autore inserto; e dal Pilli fu attribuita a M. Cino ; ma fu attribuita a Dante nell'impreffione del 1518.

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