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presa la mia protezione, e parlando onoratamente di me aveva voluto che io altrimenti fossi trattato, e che anco mi lasciassero in libertà; e più di una volta reiterò meco diversi officj, dimostrando dispiacere della guerra, e tuttavia gettando parole per sottrarre se io avessi avuto altra commissione d'introdurre qualche negozio.

Duolmi in estremo d' averlo a dire, poichè de præteritis non est consilium, che se allora, con quella prontezza di gagliarde provvisioni con le quali la S. V. si dimostrò così disposta alla guerra, mi avesse insieme dato commissione di trattenermi in negozio di trattazione, benchè anco ristretto fosse, si come le ne diedi con tante mie lettere occasione, sia sicurissima che le cose, con somma riputazione sua, anco con l'armi in mano, degnamente s'accomodavano, conoscendosi allora, così fra i grandi come fra i piccoli, non solamente dispiacere, ma timore di quella guerra. E siano di grazia contente le SS. VV. di ricevere questo mio officio gratamente, non detto per altro fine che per beneficio loro, poichè mantenendosi questo Senato con una perpetua rinnovazione di quelli che non si sono ritrovati a questi maneggi, sia almeno negli animi loro impressa la vera cognizione di negozio di tanta importanza, per ritrarne quell' importantissimo beneficio che dall' esempio si può e deve raccogliere. Perciò voglio che intendano ancora che il bassà allora mi fece dire che sempre aveva inteso, questa Repubblica governarsi con molta prudenza, ma non saper già con qual fine lei avesse fatta ora cotal risposta al Gran Signore; aggiungendo: È possibile che la Signoria volendo la pace proceda con questo modo di voler far paura al Gran Signore per ottenerla? e se anco vuole la guerra, a che proposito irritarlo con modi tali, tanto maggiormente a lei dannosi? accennando tuttavia parole di trattazione. Ai quali officj non potei rispondere come avrei voluto, non avendo mai da V. S. avuto lettere nè avvertimento alcuno.

E qui non posso contenermi di dirle che niuna cosa ha tanto travagliato l'animo mio in questa guerra, fra tante tribolazioni, quanto l'esser stato trenta mesi senza mai aver

avuto per un minimo motto da lei, salvo che quando, con poco utile suo, mandò il Ragazzoni (1); cosa invero che talvolta m' induceva a troppo travaglioso stato, vedendo da tante perpetue mani di lettere mie non poter ritrarne niuno avvertimento in tante urgentissime cose che tuttavia occorrevano, massime che sempre il bassà, con diversi modi, teneva meco come aperta la strada d'introdurre trattazioni sino alla miserabil perdita di Nicosia (2). Nel qual perniciosissimo successo voltando io l'animo a quelle considerazioni che si dovevano, vedendo massimamente con quanta incertezza procedevano i capitani, e in quanto disordine si ritrovava la nostra armata, nella quale non si comprendeva nè vivacità, nè cuore, nè cognizione alcuna delle debolezze e imperfezioni de' Turchi, andai tra me medesimo pensando di adoperarmi in tutto quello che per me si potesse a beneficio di V. S., con tutto che io mi ritrovassi nelle tenebre, e senza alcuna cognizione de' pensieri e disegni suoi. E sebbene avessi prima con mie lettere cercato d'imprimere nell' animo della S. V. la vera cognizione della debolezza de' Turchi, e fattole conoscere quanto era necessario di venir seco loro a fronte e adoperar l'armi; nondimeno volli anco di nuovo mettere in poter suo, se così lei avesse giudicato esser bene, l'occasione d'introdur pratica di accordo onoratamente. Però con bel modo andai operando alla Porta, sotto pretesto di negozio di mercanti, d'aver comodità di mandarle qua il mio mastro di casa; e questo negozio fu anco da me trattato in modo, che io feci che il bassà si dimostrasse più pronto di me, ed usai termini tali che allora egli uscì a più aperte parole, col mezzo di Janus bei, di proponer pratica d'accordo, sì come allora ne diedi conto a Vostra Serenità.

Feci dunque l'espedizione del mio mastro di casa, la quale fu tanto grata a V. S., parendole che a tempo molto opportuno fosse giunto, per lo stato travaglioso nel quale lei allora si trovava. Piacque a V. S. il rimandarmi seco lui messer Giacomo Ragazzoni con quelle commissioni per la tratta

(1) Del quale abbiamo la Relazione a pag. 77 e seg. del T. II della Serie III. (2) Espugnata da Mustafà il 9 settembre 1570.

zione della pace che lei giudicò bene. E qui io sono tenuto, con somma riverenza, a dirle, che siccome le lettere sue ch'io ebbi allora turbarono l'animo mio infinitamente per le cose che contenevano, così la venuta dell'uomo suo per tal effetto mi fu di molto maggior dispiacere; poichè (e qui notino bene le SS. VV. EE.) subito compresi il danno grandissimo che la S. V. sarebbe stata per ricevere da tale dimostrazione, distruggendo affatto la venuta di lui tutta quella riputazione che io mi ero sforzato di sostentare, che lei fosse volta con tutti i suoi pensieri alla guerra. Ed ebbe modo il bassà da quella occasione d'intendere e scoprire molte cose pregiudiziali a noi; e l'effetto dell' uomo mandato gli confermò quale fosse lo stato e quali i pensieri di questa Repubblica, perchè si scoperse che lei mandava a ricercar la pace.

lo, obbedientissimo a' suoi comandi, introdussi il negozio con quella maggior riputazione e vantaggio che giudicai di poter fare, sforzandomi di separare al tutto il negozio per conto dei mercanti, ponendolo sopra le spalle del Ragazzoni, da quello della mia trattazione, per coprire che egli per cosa tale fosse venuto. Non verrò ora a dirle con quali termini introdussi e trattai degnamente quel negozio per ridurlo a buon fine; ma stando io sopra le condizioni proposte da V. S., il bassà, procedendo con modo turchesco, innalzò le sue dimande, richiedendo, oltre le altre cose, carazo (1) da questo Serenissimo Dominio. Alla qual cosa io risposi prima leggermente, dimostrando che dimanda tale fosse solamente fatta, come si dice, per ostentazione; ma dopo, perseverando egli più vivamente, gli fu da me risposto che a tal fine era superflua la trattazione. Ma non si mutando perciò il bassà da questo proposito, mi parve esser sforzato, con grave risentimento, di tagliar via questa pratica, e ridurmi a far partire il Ragazzoni, con tutto che nella commissione di V. S. fosse detto che se vi fosse qualche difficoltà, lui s' avesse a fermare in Costantinopoli. Ma io, che aveva preposto agl' interessi miei particolari il servizio di V. S., non volli aver rispetto

(1) Capitazione dei cristiani sudditi dell'impero turco. Qui significa addirittura tributo.

al dubbio, che avrebbe potuto alcuno avere, come tale risoluzione sarebbe stata accettata da V. S.; però, per non lasciar incorrere in tanto pregiudizio le cose della Repubblica, risolvei che in ogni modo esso Ragazzoni dovesse partire, perchè il fermarsi di più poteva confermare l'animo del bassà in qualche speranza che le cose della S. V. fossero in termini tali da sottostare al pagamento del carazo; il che quando si fosse divulgato, pensi la Serenità Vostra a quai termini si riducevano le cose nostre.

Risolvei dunque di farlo partire, e ciò tanto maggiormente, quanto che dopo la sua partita non mi era chiusa la strada di potere, con maggior riputazione ed avvantaggio, di nuovo tentare ogni pratica, e fare quel più che fosse parso a V. S. di commettermi ; sebbene sopraggiungendomi appunto nella sua partita nuove commissioni da lei, che tagliavano affatto la trattazione, sarebbe tornata più utile allora la scienza presa prima dal Ragazzoni, perchè il giorno appunto ch'esso parti, mori Janus bei, dragomanno grande, col mezzo del quale avevo trattato si può dir fino allora tutte le cose. Vero è che fin da principio che io fui ristretto in casa, essendo alquanto risentito (1), mi valevo dell'opera di Rabi Salomone (2), al quale il bassà, così richiesto da me, aveva dato facoltà di venire in casa mia liberamente; il qual Rabi essendo stato alquanti mesi prima introdotto col mezzo mio a curare Janus bei, ch' era indisposto, me ne valsi anco, non avendo altri soggetti che lui, per trattare con esso Janus bei, il quale aveva comunicato seco parte di questo negozio. Ed essendo Rabi Salomone uomo di spirito, e per opinione mia di buona volontà, andava tuttavia, come uomo dipendente da me, facendo destri e buoni officj per servizio di V. S.; poiche scoprendo anch'egli l'animo del bassà inclinato alla pace, andava pensando che si potesse venire un giorno a qualche appuntamento, dal qual ei fosse per conseguir onore ed utile. Cominciò egli dunque ad applicarvi l'animo, cercando d'in

(4) Pare che debba intendersi con Janus bey.

(2) Medico ebreo, del quale il Barbaro parla molto favorevolmente, contro l'opinione, a quel che pare, di molti, come vedremo più innanzi.

trodursi al bassà con diversi officj, mentr' io gli andavo somministrando tutte quelle considerazioni, che giudicavo di beneficio a questo Serenissimo Dominio.

Quest'uomo non aveva da principio pratica alcuna nè conoscenza con Mehemet bassà, ma era bene, come suddito di V. S., stato amico dei clarissimi baili Bragadin e Soranzo miei predecessori, e per tale in tutte le occasioni erasi fatto conoscere, avendo per lo avanti fatto confidentemente molti servigj; a tal che già, alla morte di Janus bei, esso dottore aveva operato molte cose in questo proposito, e Janus bei l'aveva introdotto al bassà. Onde conoscendo io questo soggetto atto a poter fare qualche bene, procedevo seco molto gratamente, cercando di farmelo tuttavia più confidente ed amorevole; e tanto più quanto che, prima ch' egli avesse conoscenza alcuna nè con Janus bei nè col bassà, io aveva avuto occasione di tener buona opinione di lui non solo per la relazione dei baili passati, ma anco per molte pratiche, avvisi e nuove delle cose turchesche da lui datemi, dimostrandosi di bonissimo animo verso questo Serenissimo Dominio, essendo nato suo suddito in Udine, ed avendo in Verona e Oderzo fratelli e nepoti.

Nella rottura poi della guerra, entrando egli solo in casa mia sempre, sempre mi comunicò i più importanti e veri avvisi che io avessi in quel tempo; mi servi con amore e fedelmente in ben recapitare molte lettere con molto suo pericolo, cosi a tempo che non aveva egli dipendenza con il bassà, come da poi; e mi trovò nascosti modi di mandar mie lettere in Candia, e molti vascelli ancora in aiuto di quell'isola, nel tempo della guerra, con vettovaglie ed altre cose necessarie; di che ne fu anco accusato con gran pericolo della vita, e fu sforzato, per liberarsi, di pagare di molti ducati. In queste e molte altre cose mi sono valuto di lui, e sempre l'ho trovato diligente e fedele; e dopo che s'introdusse con Janus bei e con il bassà, ebbe modo di avere in mano molte lettere di Candia e dell' armata de' Turchi mandate ad esso bassà con molte nuove importantissime e pregiudiciali agli interessi della Serenità Vostra, le quali egli, in vece di na

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