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per sigillo d'ogni cosa chiamava di nuovo Casimiro (1) in Francia a favor suo. Onde il re, entrato in gran sospetto di qualche nuova trattazione e congiura, si risolse d'armare. Così l'Altezza Sua, per manco male, si ritirò ne' suoi stati aspettando la venuta della regina madre, la quale, sebbene non ha potuto condurlo in corte, pur si spera che accomoderà in、 qualche maniera le cose; e mi fu detto che trattavano di dargli il nome di luogotenente generale, ma che l'Altezza Sua non potesse comandare alcuna cosa principale senza espresso ordine e scrittura del re.

Or vedendosi le cose del regno in gran confusione, fin quando monsignore era in Fiandra, essendosi diverse provincie sollevate, ma sopra tutte la Guienna, Linguadoca, Provenza e Delfinato, come più infette delle altre, si risolse la serenissima regina madre, con occasione di condur la figliuola Margherita (2) al re di Navarra suo marito, di passar in · quelle parti, dove finalmente s'accomodò al meglio che potè con gli Ugonotti; il che, per dir il vero, fu stimato più tosto impiastro lenitivo che vero medicamento. Pensò ancora la regina di potersi abboccare con il re di Spagna, e trattar seco il matrimonio d' una di quelle figliuole con monsignore; ma il Cattolico non volle attendervi, e nè meno mandar le principesse a' confini, come desiderava grandemente la regina di vederle, sendo pur figliuole di una sua figlia.

In questo mentre il maresciallo di Bellaguarda, mal contento di non esser più favorito e adoperato come prima, e di non aver altro governo che della terra di Carmagnola in Piemonte, intesosi con gli Ugonotti di Delfinato e altri di quelle valli, che lo soccorsero di gente, fece quei motivi che ognuno sa, e che diedero tanto allora da sospettare (3); perchè da ogni parte si dubitava, dicendosi in Italia che il

(1) Giovanni Casimiro fratello dell'Elettore Palatino. Veggasi la citala Relazione di Michiel, pag. 390.

(2) Di Margherita di Valois è discorso nella seguente relazione del Duodo. (3) Intorno a queste mene del maresciallo di Bellegarde veggasi il copioso discorso che ne fa. Francesco Barbaro nella sua Relazione di Savoja del 1581, da noi recata nel Tomo V della Serie II, pag. 86 e seg. ; alla cui testimonianza aggiunta la presente, si ha un sufliciente lume intorno un fatto rimasto ancora assai tenebroso, come dice il Sismondi nel cap. XXV della parte VII della sua Storia de' Francesi. APPENDICE. 6

maresciallo, d'accordo con monsignore e di consentimento del re Cristianissimo, metteva un esercito insieme di qua dai monti per far l'impresa di Milano ovvero del marchesato di Monferrato, essendosi pubblicato, sebben falsamente, che il duca di Nevers aveva cesso le sue ragioni Sua Altezza (1); e dall' altra parte temendo il re di Francia che gli Spagnuoli, sdegnati ch'esso monsignore sturbasse le loro cose di Fiandra, trovato questo soggetto di Bellaguarda, lo fomentassero col mezzo del duca di Savoja per levargli Saluzzo e escluderlo d'Italia. E così hanno ferma opinione in Francia che tal negozio abbia la sua origine e nascimento dal duca di Savoja, al quale non essendo parso sicuro partito, come essi dicono, d'intromettersi da sè solo (non tanto perchè tenesse dubbio che il maresciallo potesse ingannarsi nel credere di far quella impresa così facilmente, quanto per il timore de' suoi stati di Savoja tanto esposti alla Francia, onde veniva a mettersi in gran pericolo di perder molto per avanzar poco), fosse parso di accordarsi con Spagna per muovere Bellaguarda ad un'impresa, la quale poi dasse luogo a Savoja di accordarsi con Francia e divenir padrone di quel marchesato, sia con permuta sia con denari, e che in ciò gli Spagnuoli consentissero, sapendo che il signor duca a questo modo avrebbe dovuto riconoscere quel marchesato da loro, tutto che lo avesse comprato da' Francesi ; oltre che il loro principal fine era di serrar la porta d'Italia al re Cristianissimo, e levargli il modo in perpetuo di potervi più ritornare, assicurando in questa maniera i proprj stati in Italia. Onde il Cristianissimo, scoperte molto bene queste pratiche, scrisse alla regina madre, la quale inclinava al matrimonio di Lorena (2) con il principe di Piemonte, che non lo concludesse altrimenti, nè formasse altro partito a favore del duca; il quale venuto a Grenoble con ferma speranza di risolver ogni cosa a suo beneficio, avendo portato a

(1) Luigi Gonzaga, fratello di Guglielmo duca di Mantova, divenuto duca di Nevers in Francia pel suo matrimonio (1561) con Enrichetta di Cleves ereditiera di quel ducato, aveva già mostrato di pretendere una parte libera del Monferrato, passato nella sua casa, per sentenza imperiale, nel 1536. Suo fratello credette di dover nutrire qualche sospetto intorno a ciò nel 1567, ma in effetto non ne fu altro.

(2) Di una figlia del duca di Lorena, e per conseguenza nipote di Enrico III.

tal fine grandissimi presenti, trovò il negozio più difficile di quello che si era presupposto da principio. E il re di Francia, per render la partita al duca di Savoja, e per far quanto poteva per allora, concluse subito la lega, trattata già molti mesi, con la città di Ginevra, per aver quel passo libero, accettandola in protezione con quelle poco onorevoli condizioni ch'io scrissi allora, obbligandosi il Cristianissimo di darle ogni mese 15,000 scudi, e in tempo di sospetto pagar cinque compagnie di fanteria, e in guerra aperta difenderla contra ciascuno. Onde l'Altezza Sua, che vi pretende, non può ora pensare d'impadronirsene con l'arme; di che ne fece gagliarda condoglianza con la Maestà Sua, ma il tutto indarno. Ma Iddio benedetto, che non permette lungamente la malizia d'un uomo con danno e rovina degli altri, volle che il maresciallo morisse in tempo; il quale essendo sollecitato a confessarsi, dopo averlo recusato con sdegno e bestemmie, finalmente volle due confessori presenti, che vedendo...... .. (1).

Ma per venir a parlare delle cose generali del regno, dirò che teneva per fermo la Francia di vedersi finalmente rimessa nell' antiquo suo splendore con l'unione degli stati generali che si tennero a Blois (2), e che tutti gli ordini dovessero ricevere gran sollevamento. Nondimeno provarono poi tutto il contrario, vedendo, con estremo loro cordoglio, che le fatiche di tanti uomini savj ridotti insieme, con le belle rimostranze, com' essi dicono, che furono fatte, restavano del tutto inutili e senza alcuna esecuzione, andando le cose di male in peggio e gli affari talmente in disordine, che tutti quelli che hanno punto di giudizio non possono aspettar altro, continuandosi di questa maniera, che una calamitosa rovina e una miserabile rivoluzione di quello stato. Perciocchè, fra diverse cose a loro insopportabili, si sentono oppressi da tanti insoliti sussidj, che come disperati non pensano ad altro che a rovine, congiure ed ogni altra empietà, con fare una notabile e

(1) Mancano nell' originale diverse righe, soppresse forse siccome quelle che verosimilmente contenevano la confessione non solo del reato del maresciallo, ma della connivenza di Emmanuel Filiberto. È fama che il Bellegarde morisse di veleno faltogli propinare da Caterina de' Medici.

(2) Nel 1576.

re,

generale sollevazione. Non più si parla ora di Ugonotti e di Cattolici, perchè ognuno vive come più gli piace, ma tutti insieme d'accordo si lamentano delle oppressioni, gravezze ed ingiustizie che ricevono per ogni parte, per essere malissimo amministrato e dispensato il pubblico denaro, il quale è convertito in utile di alcuni pochi particolari favoriti, che maneggiano i consigli pubblici col disegno degl' interessi privati. In modo che le genti di guerra, quelle della giustizia, gli officiali della corona e della casa regale, con tanti provvisionati che altre volte solevano participare delle grazie e salarj del ora non solo non sono pagati, ma nè meno hanno alcuna parte di ricognizione; e in somma tutti tre gli stati del regno, il clero, la nobiltà e il popolo, si lamentano pubblicamente, dicendo che gli estremi disordini della Francia ricercano grandissima riforma, e che questi particolari, i quali governano e sono dintorno al re, e si arrichiscono con impoverire e rovinar tutti gli altri, non permettono che S. M., col suo bel giudizio e buona natura, intenda i disordini che di mano in mano van minacciando la corona, ma cercano di conservarsi con adulazioni e calunnie, avendo i loro fini volti più al proprio e particolar interesse, che ad alcun bene del regno; il quale camminando di questa maniera, a gran passi se ne va in un precipizio irreparabile. Nientedimeno non voglio negare che non resti qualche speranza di ritornarlo, se non in tutto, in parte almeno, nella sua prima grandezza e splendore, se la maestà del re cercherà con ogni mezzo, prima, di mitigare la giusta ira di Dio che è sopra quella provincia, poi di attendere un poco più assiduamente ai negozj della giustizia e a regolare i grandissimi disordini che vi sono, come pur si va sperando che farà, e come dirò poi (1).

Ora, Serenissimo Principe, Signori Eccellentissimi, perchè chiaramente conoscano che quanto la natura è stata liberale in quella provincia, altrettanto la malignità de' tempi ha guasto quel bel paese, verrò a trattar del governo di esso,

(1) Segue una breve descrizione della Francia, la quale non ci dice nulla che non sia stato avvertito da altri ambasciatori, e che per ciò pretermettiamo.

della natura de' popoli, e a dire particolarmente come il tutto è in estremo disordine e ruina.

in

Tre cose con diligente cura osservate, come ben sanno l'EE. VV., mantengono gli stati floridi e sicuri lungamente; la religione, la polizia e l'amministrazione delle pubbliche entrate. Ma vedendosi tutte queste tre, e il resto ancora, estremo disordine in Francia, come particolarmente dirò, è facil cosa pronosticare il suo fine, se non si prende altro rimedio, poichè tutti i mali donde suol nascere la distruzione dei regni par che abbiano congiurato alla rovina sua.

Siccome anticamente i vescovi e altri prelati solevano per meriti e proprie virtù loro essere nominati a quella tal dignità, e perciò con la prudente e pietosa cura del buon pastore il popolo era nutrito ed allevato cattolico e virtuosamente, così dopo la facoltà concessa da papa Leone al re Francesco e suoi successori della nominazione di essi, più a favor di dame che per merito e virtù si distribuiscono le dignità a persone indegne e incapaci, anzi alle dame istesse, che ne fanno mille contratti illeciti, causa potissima delle eresie della Francia, e del trovarsi ora che delle tre parti una è ugonotta, l'altra ateista, e la terza poco zelante, e tutte insieme poi malcontente e desiderose di novità. Molte cose potrei dire similmente degli officj e magistrati, che come merci e possessioni si comprano e vendono, onde la giustizia o per favori o per denari è retta, e si amministra corrottamente, e si può con verità affermare di tutta la Francia quello che disse il re africano di Roma, che non v'era bisogno d'altro che di trovar un compratore, poichè la città era fatta tutta vendibile. Così è quel regno contaminato, che in ogni parte, si nei governi, come nei parlamenti, e molto più nella corte istessa, col denaro l'uomo si fa fare quella maggior ragione che vuole in tutte le cose; e in somma non vi essendo timor d'Iddio nè del principe, ma una sfrenata licenza in tutto, senza pena nè premio alcuno alle operazioni degli uomini, i tristi diventano più risoluti e cattivi ognora, e i buoni fatti più tepidi finalmente si disperano.

In tre ordini di persone è diviso tutto quel regno, nel

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