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TIPOGRAFIA GRAZZINI, GIANNINI E C.

Pervenuti finalmente al termine di questa lunga fatica, innanzi di prendere commiato da quei benevoli che ci hanno con tanto amore proseguito fin qui, abbiam stimato conveniente di ritornare alquanto col discorso sull'origine e la natura di cosiffatta intrapresa, e porgere ai lettori il sussidio di talune avvertenze, che valgano a render loro più utile ed espedito l'uso di una raccolta, che per la sua intrinseca importanza ha oramai preso posto fra le più notevoli pubblicazioni di cui si siano a' giorni nostri arricchiti gli studi storici.

Mirabile a considerarsi, e debito il proclamarlo come solenne testimonianza d'italiana sapienza, che mentre giaceva ancora l'Europa nell' infanzia della nuova civiltà, fin dall'anno 1268 (1), la Repubblica di Venezia stabilisse

(1) Nel primo volume della nostra raccolta, dietro un'imprecisa indicazione del Tentori, assegnammo a questa legge la data del 1296, che è quella in vece di una legge posteriore confermativa della presente. Eccone il testo pubblicato dai Sigg. Barozzi e Berchet nell'avvertimento al 1.o tomo della loro raccolta delle Relazioni degli Ambasciatori Veneti nel secolo XVII, della quale avremo luogo di parlare più innanzi :

MCCLXVIII, die IX decembris in M. C.

Ambassatores in eorum redditu tencantur dicere prodem et honorem Ve netiarum si sciverint et facere scribi.

Capta fuit pars, quod quandocunque aliquis vel aliqui missi fuerint in aliqua ambassaria solemni per Dominum Ducem et Commune Venetiarum, teneantur in eorum redditu facere poni in scriptis qua sibi responsa fuerint super dicla ambassala et quidquid sciverint vel audiverint dici in ipsa via quod credant esse ad proficuum et honorem Venetiarum, infra XV dies postquam Venetiis

venerint.

(Ex libro intitulato Cerberus existente in officio advocariae communis ad fol. 20; et ex libro Bifronti pariter fol. 20.

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con apposita legge, più volte confermata ed ampliata, che tutti gli ambasciatori, che da lei si spedivano ai diversi potentati del mondo, compiuta la legazione, riferissero in iscritto i successi della medesima, non solo ad istruzione di chi doveva succedere in quel medesimo ufficio, ma a norma del governo in tutte le circostanze che la perpetua vicissitudine dei casi umani fosse per arrecare (1).

È conforme alla natura delle cose l'imaginare che queste Relazioni fossero da prima distese con minore ampiezza di discorso e di intendimento, si addentrassero meno di quel che accadde in progresso in tutti i particolari del paese dal quale ritornavano gli Ambasciatori, e che solo a poco a poco giungessero a quello sviluppo, a quel compito prospetto di tutte le condizioni dello stato, che vediamo aver esse conseguito nel secolo XVI, nel quale veramente abbracciarono tutte le parti che alla perfetta conoscenza dei moltiplici interessi di una nazione si richiedevano. Avvegnachè incominciando dalla descrizione del territorio, dei prodotti naturali ed artificiali, dei commerci interni ed esterni, delle inclinazioni e costumi degli abitanti, delle credenze religiose, della legislazione e della cultura intellettuale, passino alla considerazione delle forze militari di offesa e difesa, e delle entrate e spese del regno, per termi

(1) Da una legge del 1425 e da un'altra del 1533 sembra che l'obbligo di dare la relazione in iscritto non fosse sempre regolarmente osservato, come lo fu senza meno dopo quest' ultima epoca. Frattanto è bene notare che fino dalla più antica delle relazioni a noi pervenute, quella di Francia del 1492 di Zaccaria Contarini (giacchè le precedenti, per il caso che accenneremo più innanzi, sono andate perdute) è constatata la diuturnità di quella consuetudine, dicendo il Contarini al Senato, che delle cose dello Sforza e di quello stato avrà già inteso e sarà per intendere il di più mediante le relazioni che dagli oralori residenti a Milano, una più degna, più elegante e più copiosa dell' altra, vengono riferite alla Vostra Sublimilà (Serie I, T. IV, p. 7 della presente raccolta )

nare coll' accurata informazione della persona e del carattere del sovrano, delle origini della famiglia e dello stato, delle attinenze di parentado, della qualità dei ministri, e finalmente delle intelligenze che correvano fra il potentato in discorso e tutti gli altri del mondo.

La qualità degli uomini che la Repubblica adoperava in ufficj di così grande importanza, e la gelosa custodia in cui erano tenute le Relazioni negli archivi secreti dello Stato, tantochè pare che gli stessi ambasciatori avessero divieto di ritenerne copia presso di sè, ci danno il più sicuro criterio della veracità ed indipendenza delle informazioni in esse contenute. Elettori d'altronde ed eligibili alla suprema dignità dello stato, i veneti senatori sentirono per lungo tempo troppo altamente di sè medesimi e della repubblica, perchè la devozione o il timore potessero in loro soggiogare od offuscar l'intelletto. Le Relazioni insomma, alle quali si riferisce il nostro discorso, son la parola di uomini consumati nell' esercizio dei pubblici negozj, di uomini che non a pompa ma a porte chiuse, e per sola reciproca istruzione, si ripetevano scambievolmente quel che avevano veduto ed osservato sulla gran scena del mondo, di uomini pei quali la conoscenza degl' interessi universali e un vero amore di patria erano a un tempo istituto e tradizione.

E veramente non si riscontra in cosiffatte scritture favore o disfavore sistematico verso di alcuno, non avventati giudizj, non istudiata ricercatezza di stile; sibbene attenta e spassionata osservazione dei fatti, la misura della lode e del biasimo derivata con stretta deduzione da quelli, amore della chiarezza più assai che di una pericolosa eleganza. Vediamo il senno di consumati negoziatori non subordinare i fatti alle idee, o, per il vizio contrario, trascurar l'importanza dei generali prin

cipj, ma agli uni ed alle altre assegnare la parte che si conviene nelle vicende delle nazioni. E non di rado ci accade di veder fatto gran caso di tal leggiero incidente, che fu la causa o l'occasione, dagli storici non avvertita, di qualche grande successo, e di trovare appena considerate altre cose, che o fallaci tradizioni o il pregiudizio dei dotti hanno tenute sino ad oggi in onore. Nè il continuo succedersi delle ambascierie nuoceva alla varietà dei referti e dei giudizj; imperocchè, oltre l'arte peculiare ai veneti ambasciatori di osservar sempre gli oggetti sotto nuovi e diversi punti di vista, le cose de' principi e stati umani (dice appunto uno di loro) andandosi di giorno in giorno in diversi modi mulando (4), ogni Relazione ciò almeno abbia di nuovo, che l'intercorso tempo era venuto arrecando così rispetto alle cose che alle persone.

Bene è da deplorare che l'incendio del palazzo ducale, avvenuto nel 1577, il quale distrusse alcune sale della cancelleria, ci abbia irreparabilmente privati delle Relazioni precedenti al sedicesimo secolo, dalla quale epoca soltanto incomincia la serie di quelle che sono a noi pervenute; unica forse sopravissuta delle precedenti, quella di Francia di Zaccaria Contarini del 1492, che pure ha luogo nella presente raccolta.

Il gran numero e l'esimia qualità dei diplomatici veneziani darebbe luogo a un giusto sentimento di meraviglia, quante volte non si avesse presente la natura stessa del governo al quale appartenevano. I veneti patrizj, alle cui mani esclusivamente era affidato tutto il maneggio dei pubblici negozj, avevan posto all'età di venticinque anni in Senato, dove appunto riferivano gli ambasciatori, e dove di buon ora non solo apprendevano la cognizione, ma contracvano l'abitudine dei grandi affa

(1) N Tiepolo nella Relazione di Germania del 1532. Serie I, T. 1, p. 34.

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