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I I.

Memoria di Archeologia Cristiana per la invenzione del corpo e pel culto di s. Sabiniano martire che si venera nella congregazione delle scuole minori in Collegio romano, scritta dal P. Giampietro Secchi della compagnia di Gesù, e pubblicata nella solenne accademia di poesia, tenuta in onore del santo giovanetto nel giorno 28 di maggio dell'anno 1841.

Chiunque

hiunque ama la storia, e per meglio conoscere la scienza delle cose umane, profondamente la medita da vero filosofo, quando abbia misurate coll'animo le geste del più guerriero popolo che fosse in terra, ha un gran problema da sciogliere; ed è questa Roma vincitrice miracolosa di sè stessa co' martiri suoi. La miglior parte del mondo che conserva vestigie d'antica civiltà, conserva pur le vestigie del dominio romano: e se tante vittorie tutte cedono secondo Diodoro (1) alla sanguinosa vittoria della guerra italica, perchè Roma vinse allora que'popoli, che fuori d'Italia aveano vinto con lei tutti gli altri popoli; Roma cristiana che vince la pagana Roma, ne miete tutte le glorie di magnanima fortezza, chiaro dimostra che Roma finalmente fu vinta, perchè non vinsero gli uomini, ma vinse Iddio. E deh! chi mai, tranne lui, potea superare la prepotenza armata colla fede inerme, gli uccisori feroci colle vittorie degli uc cisi, la forza brutale del corpo colla semplicissima for za dello spirito? Eppure egli è fatto, o veramente prodigio della fede cristiana, che sul palazzo de' Cesari e sul Campidoglio s'inalza la croce e ne domina le ruine; e questa città, che fu la sede imperiale di Nerone e

(1) Collect. Vat. Ang. Maii. pag. 113, 114, tom. II.

e

degli altri tiranni, è divenuta la reggia sacerdotale di Pietro, e de'romani pontefici suoi successori. Centro una volta del paganesimo, che colla sua favolosa idolatria convertiva le colpe degli uomini in deità, teneva a giogo di ferro le nazioni vinte: centro adesso del cristianesimo e maestra di virtù riscuote obedienza spontanca da numerose provincie ignote agli antichi, e la maggior disgrazia che temono i suoi sudditi è quella che loro impedisca la volontaria obedienza a'suoi comandi. Sia dunque benedetta in eterno la provvidenza divina, che dove col sangue di Pietro fondò la pietra immobile della Chiesa, operò la mutazione più degna dell' onnipotente suo braccio; e noi che abitiamo questa città conquistata col sangue de' martiri, e murata intorno e difesa colle trionfali reliquie de'corpi loro, veneriamo divoti e baciama

Il Vaticano e l'altre parti elette

Di Roma che son state cimitero
Alla milizia che Pietro seguette (1).

Qui noi abbiamo invitti eroi d'ogni condizione, d' ogni sesso e d'ogni età; e quantunque fino dal secolo settimo per lo meno (2) incominciassero ad estrarsi dai nostri cimiteri i corpi de' martiri, e fossero trasferiti a petizione de'vescovi e de'principi in altre città, tanto è il numero che ne resta ne'sessanta e più cimiteri che circondano Roma, da non temere che manchino per molti secoli avvenire a chi ne chiederà. Nè già si creda che quanti corpi si scuoprono nelle catacombe, si diano tutti per martiri. Se non hanno i segni sicuri del loro martirio da lunga esperienza e tradizione riconosciuti per tali, si lasciano al luogo, in cui aspettano la risurre

(1) Dante, Parad. IX, 139.

(2) Boldetti, Osservazione sopra i cimiteri, pag. 664.

zione futura e il giudizio di Dio. Forse molti restano esclusi che gli atti genuini degli antichi notai della Chiesa avrebbero appalesati; ma questi furono rapiti e consunti nell'ultima e maggiore di tutte persecuzioni, qual fu quella di Diocleziano, chiamata poi l'era de'martiri; e Prudenzio così scrivea nel principio del quinto secolo:

Chartulas blasphemus olim nam satelles abstulit
Ne tenacibus libellis erudita saecula

Ordinem, tempus modumque passionis proditum
Dulcibus linguis per aures posterorum spargerent (1).

Oh! se questa perdita fosse riparata da qualche felice scoperta ne'cimiteri medesimi, allora il mondo saprebbe quanto sia vero ciò che disse lo stesso Prudenzio (2) invidiando a Roma la sua fortuna:

È fama nota appena

Quanto Roma di martiri sia piena;

(1) Juno in lode de'ss. martiri Emeterio e Celedonio v. 75. Tom. II, pag. 882, ed. Arev.

(2) Inno in lode di s. Lorenzo, v. 541. Tom. II, pag. 936 ed. Arev.

Vix fama nota est, abditis

Quam plena sanctis Roma sit,
Quam dives urbanum solum

Sacris sepulcris floreat.

Sed qui caremus his bonis,

Nec sanguinis vestigia

Videre coram possumus,
Caelum intuemur eminus.

Sono da notarsi le parole, con che Prudenzio esprime i segui del martirio ai sepolcri de'martiri nelle catacombe romane, nelle quali dice che sanguinis vestigia videre coram possumus, ed è fatto che si verifica tuttora dopo tanti secoli.

Fasc. XXXVII.

2

A

1

E quale abbiano fior di sacre tombe
Le urbane catacombe.

Ma noi che questi pegni

Non possediamo: nè del sangue i segni
Veggiamo innanzi agli occhi e senza velo:
Guardiam da lungi il cielo.

Privi di quelle venerande memorie, e privi ancora dei martirologi scritti nel quarto secolo, che avrebbero scemata questa lacuna vastissima della istoria ecclesiastica, alla invenzione del corpo d'un qualche martire noi ci stimiamo assai fortunati, se per illustrarne il martirio abbiamo la lapida sepolcrale e le ampolle del sangue. Tanto e non più ci presenta il nostro giovane martire san Sabiniano: anzi la lapida è così muta che quanto è larga e lunga altre non ha che tre parole. Sarebbe adunque ingiustizia non compatire a chi scrive, e pretendere notizie che non può dare uno scrittore che ama la verità. Solo per via di ragionamento si potrebbe ampliar la materia, ma dentro i solchi del seminato e se in grazia di que'giovani romani che saranno gli affettuosi clienti del giovane martire, stenderemo in alcuni capi alquante osservazioni di sacra archeologia; spero che nessuno aggrotterà da critico le sopraciglia, ma vorrà piuttosto lodare i nostri studi, o per lo meno la buona volontà.

CAPO I.

Invenzione del corpo di s. Sabiniano martire
nel cimitero di santa Ciriaca.

Le catacombe, onde fu tratto il corpo di san Sabiniano martire, sono quelle di santa Ciriaca in campo Verano, forse le più vaste che Roma possegga in lar

ghezza e profondità. Circondano a molte miglia la basilica di san Lorenzo, e faceano parte di queste anche le catacombe di santo Ippolito martire, che tutte abbondano di corpi uccisi per la fede e d'antichi monumenti cristiani. Ad esse meglio che ad altre si addice la bella descrizione che ce, ne lasciò san Girolamo nel suo dottissimo comentario ad Ezechiele (1). Dum essem Romae puer, et liberalibus studiis erudirer, solebam cum cacteris eiusdem aetatis et propositi, diebus dominicis sepulcra apostolorum et martyrum circumire; crebroque cryptas ingredi, quae in terrarum profunda defossae, ex utraque parte ingredientium per parietes habent corpora sepultorum, et ita obscura sunt omnia, ut propemodum illud propheticum compleatur: Descendant ad infernum viventes: et raro desuper lumen admissum horrorem temperet tenebrarum, ut non tam fenestram, quam foramen demissi luminis putes: rursumque pedetentim acceditur, et caeca nocte circumdatis illud virgilianum proponitur

Horror ubique animos, simul ipsa silentia terrent.

Propria è pure di questo luogo la descrizione che ne fece il poeta Prudenzio su la fine del quarto secolo. Poichè celebrando il martirio di santo Ippolito, vescovo d'Ostia, la cui statua sedente in cattedra di marmo col suo ciclo pascale, conservata tuttora nella biblioteca vaticana, fu per lo appunto trovata in campo Verano, a giudizio dell' Aringhi descrisse esattamente il cimitero di santa Ciriaca. Egli dice (2):

(1) Tom. V, pag. 968, ed. Vallars.

(2) Delle corone Inno XI, 151. Tom. II, pag. 1178, ed. Arev.

Metando eligitur tumulo locus : Ostia linquunt:

Roma placet, sanctos quae teneat cineres.

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