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et ebrietatis idolum, et moechiae asylum post calicem subsecuturae, de quo nihil libentius bibas quam ovem poenitentiae secundae: at ego eius pastoris scripturas (1) haurio, QUI NON POTEST FRANGI: dove Tertulliano evidentemente allude ai calici di vetro colla imagine del buon pastore. La seconda ed ultima conclusione, che voglio dedurne, è per que' vasi di vetro, che contengodei martiri. Poichè se ne sono trovati non pochi come attestano il Boldetti e il Bianchini (2); intrisi ancora di sangue, i quali in virtù delle loro iscrizioni debbono prima aver servito all'uso dell' eucaristia; e posto ciò sarebbe stravaganza intolerabile il credere che fossero vasi da profumi. Accrescono adunque i molti argomenti che a suo luogo abbiamo esposti per difendere questa certissima verità di storia ecclesiastica.

sangue

CAPITOLO VI ED ULTIMO.

Epoca del martirio e patria del santo giovane
Sabiniano.

Tre buoni argomenti mi convincono l'intelletto a credere che il nostro santo giovanetto abbia dato il sangue e la vita per la fede o nella penultima, o nell'ultima persecuzione. Il primo deriva dalla paleografia della lapida sepolcrale imperocchè noi abbiamo provato che quel genere di scrittura non è antichissimo; e quantunque non si possa fissarne il principio al terzo secolo, perchè in alcuni di que'vetri che servirono all'eucaristia, dee salire al secondo per lo meno: l'uso più comune però fu nel terzo secolo e verso la fine singolar

(1) Si rifletta per chiarezza che Tertulliano giuoca sulla voce scriptura traduzione di ypaq che in greco significa e pittura e scrittura insieme.

(2) Nelle note ad Anastasio Bibliot. Tom. II, pag. 247.

mente, onde si rese poi comunissimo nel quarto, come dimostrano le iscrizioni cronologiche. L'altro argomento ci è suggerito dal luogo, in cui fu sepolto, che è il cimitero cristiano di santa Giriaca. Questa illustre matrona romana, che possedeva il podere di campo Verano, e l'avea destinato alla sepoltura de'santi martiri, morì martire anch'essa nella persecuzione crudele di Valeriano. Siccome adunque il nostro Martire deve essere morto prima che Costantino concedesse la pace alla Chiesa; e d'altronde se fosse morto prima che il podere di campo Verano servisse alla sepoltura de' martiri, non sarebbe stato sepolto in quel cimitero, è manifesto che san Sabiniano solamente nelle persecuzioni racchiuse fra questi due limiti, sacrificò la sua vita a Gesù Cristo. Il terzo argomento infine a mio giudizio restringe an cor più questi limiti; e si trae facilmente dalla brevissima epigrafe della lapida. La lastra di marmo bianco, in cui fu scritta, avea quattro palmi in circa di lunghezza ed uno e mezzo d'altezza. Ella fu riquadrata e pulita per collocarla dentro l'urna: ma come io la vidi uscita dal sepolcro del martire, era di taglio irregolarissimo ed accusava un lavoro di somma fretta. Altrettanto indica l'epigrafe con tre parole e non più; mentre iscrizioni moltissime di quel cimitero non tacciono i genitori e gli anni del defunto, e neppure i personaggi che sosteneano in quell'anno i fasci consolari. Fu dunque un momento, in cui le vittime cadevano a migliaia; e per quanto fiera sia stata la persecuzione di Valeriano, o la penultima di Claudio Gotico, non credo che in queste tacessero i tribunali, come fu per lo più nell'ultima lasciandola al giudizio sommario della milizia, o all'arbitrio de'carnefici.

Quanto alla patria del giovane martire ella è cosa di fatto che egli è morto e sepolto in Roma fra i martiri romani lo attestano il suo sangue e il luogo del suo

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sepolcro. Vivea dunque in Roma all'epoca del suo martirio; e se non vi ha certezza, vi ha per lo meno bastevole presunzione che sia romano; imperocchè da una parte non vi ha ragione alcuna che provi il contrario, e in tal caso secondo la regola giustissima del possesso sempre migliore la condizione di chi possiede. Vi ha dall' altra parte fortissimi argomenti archeologici presi dal nome ordinario con cui si chiamava, che egli fosse di condizione ingenuo, e di buona famiglia oriunda della Sabina, come abbiamo dimostrato con molti esempi nel capo quarto egli è dunque probabilmente giovane di patria romano. Nel che si noti per evitare un equivoco; altra essere la patria maggiore, o degli antenati, a cui spesso accennano i cognomi derivati da luoghi, come Hadrianus, Vespasianus e simili; altra la patria minore, ossia quel luogo in cui nacque la persona, che col suo cognome accusa la patria maggiore. Nessuno fra i sabini si sarebbe chiamato Sabinus o Sabinianus perchè tutti lo erano egualmente: in Roma sì che un capo di famiglia venutovi dalla sabina poteva, e dovea spesso adottare un tal cognome per non confondersi con altri che in Roma portavano un nome identico di famiglia con lui. Il nome SABINIANVS adunque allude a due patrie, alla patria del giovane, nella quale egli nacque, e dove i suoi maggiori paterni o materni portavano il cognome SABINVS; e nessuna meglio di Roma ha questo diritto. Allude in fine alla patria di chi primo si chiamò in Roma SABINVS fra suoi antenati; e nessuno di questa può muovere neppur questione. Egli è pertanto probabilissima cosa che il nostro giovane martire non solo sia veramente di patria romano, ma che pur sia d'onorevole famiglia; perchè le famiglie oriunde della Sabina, e stabilite in Roma per impieghi civili, militari, e che perciò trassero dalla patria primitiva il cognome SABINVS, non doveano essere feccia di plebe,

e quante noi ne abbiamo enumerate, tutte presentano illustri personaggi. Dopo queste conclusioni appoggiate a non dispregevoli ragionamenti, tengo per fermo che il poeta Prudenzio avrebbe posta, e forse meglio, anche in bocca a lui nell'atto di morire la bella preghiera che pose sul labbro del martire san Lorenzo (1).

Cristo, Dio vero ed unico,

Di cui son creatura

La terra e il cielo empireo,

E le romane mura :

Che al Padre tuo riverberi

La luce e la virtù.

Deh tu, che d'ampia reggia

Hai posto in Roma il soglio,
Ed hai voluto suddito
Il mondo al Campidoglio,
Trofeo d'armi e romulea
Togata servitù :
Perchè di genti barbare
Discordi usi e costumi,
E varie lingue ed indoli,
E sacrifizi e numi
Sola una legge avvincoli
Che Roma ai vinti diè.

O Christe, numen unicum,

O splendor, o virtus Patris
O factor orbis et poli,
Alque auctor horum moenium.
Qui sceptra Romae in vertice
Rerum locasti, sanciens
Mundum quirinali togae
Servire et armis cedere:
Vt discrepantum gentium

Mores et observantiam

Linguasque et ingenia et sacra
Unis domares legibus

(1) Inno in lode di s. Lorenzo v. 413. Tom. II, pag. 291.

od Arev.

Ecco l'umano genere

Ecco già tutto unito

Di Remo al regno; e parlano,
Benchè in diverso rito,

Tutti una fede, e credono
Tutti una sola fè...
Concedi adunque, o provido
Cristo a' Romani tuoi,
Che la città di Romolo
Cristiana sia con noi,
Tu che fra lei de'popoli
Ergesti un solo altar.
Abbiano tutte un simbolo
Le collegate membra :
Con lei mansueto e placido
L'orbe universo assembra;
Ella di mansuetudine
Sia capo ed esemplar.
Vegga che piagge inospite

Tratte a cristiana scuola
Da noi disgiunte or cercano
Tutte una grazia sola:
Credan, se fia possibile,
Romolo e Numa ancor.

En omne sub regnum Remi
Mortale concessit genus:
Idem loquuntur dissoni
Ritus, id ipsum sentiunt...

Da, Christe, Romanis tuis

Sit christiana ut civitas:
Per quam dedisti, ut caeteris
Mens una sacrorum foret.

Confoederentur omnia

Hinc inde membra in symbolum:

Mansuescat orbis subditus

Mansuescat et summum caput.

Advertat, abiunctas plagas

Coire in unam gratiam:

Fiat fidelis Romulus

Et ipse iam credat Numa.

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