che non pera, E torni a Dio quel ch' era; Ch' ella non muor, ma viene in gravitate: Ch' a ciò per soverchianza no' mi muova N' avrà forse mercede Allor di me il Signor, che questo vede. Ch' io non ho dove possa salvo andare: A ciascun' altra gioja Non vo', che vadi altrui facendo noja . XXVI. Giovene Donna dentro al cor mi siede E mostra in se biltà tanto perfetta , I non saprò dischiarar ciò Questa lor nuova vita: che vede cui diletta Perch' ogni lor virtù ver lei è ita ; Per l'accidente piano Dunque soccorso chero e 'n parte fero . i Da quel Signor, ch' apparve nel chiar viso, Quando mi prese per mirar sì fiso Dimorasi nel centro la gentile Leggiadra, adorna, e quasi vergognosa; Appresso de' suoi piedi l' alma umile E, poscia che nel gran piacer s'accende Per confortar la sua cara ancilla; Onde qui ne scintilla L' aspra saetta che percosso m' ave ave, Tosto che sopra me strinse la chiave . E tuttor sempre, nè si chiama stanco Fin ch' a porto m' ha scorto ; Che 'l si converta in amaro sospiro: E, s'egli avvien, ch' io colga alcun conforto, Imaginando l' angelica vista, Ancor di certo ciò non m' assicura ; Anzi sto in paura: Perchè di rado nel vincer s' acquista ; Luce ella nobil nell' ornato seggio; Poi su la mente dritto lì per meggio Ched ella onora e tiene : Sicchè li pensier, ch' hanno vaga spene, Fra lor medesmi si coviglia, e strigne : La fantasia, la qual mi spolpa, e snerba, Così m' incontra insieme bene e male; Che la ragion, che 'l netto vero vuole Ed è conversa in senso naturale : E di qualunque prima mi rammenta Appellomi soggetto al dolce volto; duole Ne mai lieto sarò s' ei mi fia tolto Fra le person, E di lor; ch' io non nego, Nè temo che lo palegiar m' offenda: Io porto nera vesta, e sottil benda XXVII. Da che ti piace, Amore Nell' usurpato oltraggio . ch' io ritorni Dell' orgogliosa e bella, quanto sai; Con l'amoroso raggio, A non gradir, che sempre traggia guai : La nova pace, e la mia fiamma forte, E lo sdegno, che mi crucciava a torto, E la ragion, per cui chiedeva morte; Sarai ivi in tutto accorto : Poscia, se tu m' uccidi, ed haine voglia, Morrò sfogato e fiemene men doglia Tu conosci, Signore, assai di certo, Che m' creasti sempre atto A servirii; ma non era io ancor morso Quando di sotto il ciel vidi scoperto Lo volto ond' io son catto; Di che gli spiritelli ferno corso Quella leggiadra, che sopra vertute E poi che furon stretti nel suo manto Molte fiate corsi avanti lei: L' anima che per ver dovea tenersi Ch'io mirai fiso gli occhi di costei; Che mi chiamasti col viso soave; Ond io sperai allento al maggior carco : Mi compiagnevi, e 'n atto sì pietoso Ed aggradiami ciascun suo contegno, Posposi per guardar nel chiaro segno: Per consumarmi ciò che ne fu manco Onde discese lo quadrel nel fianco Ed ella si godea vedermi in pene Sol per provar ? I' così lasso innamorato e stracco Quasi per campo diverso martiro; Che 'l pianto m' avea già sì rotto, e fiacco, Oltra l'umana sorte Ch' io mi credea ultimo ogni sospiro: Tanto poi mi costrinse a sofferire, Che per l'angoscia tramortiti in terra; Che di cotesta guerra Ben converrà ch' io ne perisse ancora ; La vita, ch' io sostenni teco stando : Ma se di tale impresa Rimarrò morto, e che tu m' abbandoni ; XXVIII. L'uom, che conosce, è degno ch' aggia ardire E che s' arrischi, quando s'assicura Ver quello, onde päura Рид per natura, o per altro avvenire: Che non fu per ardir,.s' io puosi cura |